Quando arrivare al capolinea (del tram 19) non è un brutto segno. Albinati vs Ceccotti

Sergio Ceccotti

Quando i segni della crisi ci si infiltrano sotto la porta di casa tutti i giorni costringendoci a nasconderci sotto il letto, si dice che ormai siam giunti al capolinea! Se qualcuno invece si decide a spezzare l’isolamento andando al lavoro o, in mancanza di esso, vagabondando per la città, magari a Roma prende il tram 19 e, nel secondo caso, da capolinea a capolinea. Chi invece si sente più raffinato, a torto o a ragione, e preferisce rincorrere l’ineffabile nelle sue forme più quotidiane, vorrà magari recarsi alla mostra Capolinea 19 presso la galleria d’arte contemporanea La Stellina a Roma, area Pigneto, dove i rimasugli di una ordinaria esperienza della metropoli si declinano sia in forma visiva sia in forma di scrittura. Dell’aspetto artistico è responsabile Sergio Ceccotti con i suoi quadri, realizzati in un arco temporale che va dagli anni ‘80 ad oggi, mentre la letteratura è presente grazie a pagine estratte dal romanzo 19 di Edoardo Albinati ed appese accanto ai quadri come a completare il corpus indiziario di un’indagine peculiarmente frammentata e screziata a volte di sottile inquietudine che può ricordare, ma da lontano, per caleidoscopica inconcludenza e intreccio tra spaccato borghese e popolare, quella del commissario Ingravallo ne Quel pasticciaccio brutto di Via Merulana di Gadda.

In effetti, da Prati e i Parioli passando per San Lorenzo e il Pigneto fino a Centocelle, lo storico tram, nato nel 1975, segue un tragitto che lo porta ad essere vettore delle più disparate tipologie di anime, lungo più di 14 km di rotaie che solcano la città dal centro alla periferia. La linea unisce quartieri diversissimi, e chi segue il percorso da un capo all’altro passa da zone altoborghesi a quelle che circondano la città universitaria, sino alle periferie multietniche, permettendo di incrociare una eterogenea fauna umana, dal colletto bianco alla pensionata, dallo studente barbuto all’extracomunitario senza permesso di soggiorno. Il romano Sergio Ceccotti ritrae con cura proto-iperrealista tutti i dettagli degli ambienti attraversati dal 19, mostrando o meno il tram ma soprattutto esplorando lo spazio, a volte come su un dolly cinematografico, ovvero alternando le facciate dei palazzi umbertini ai filari di alberi lungo Via delle Milizie, ma anche entrando in immaginari appartamenti, soprattutto all’ora del crepuscolo, per mostrarci com’è vista da lì la strada e la sua pista ferrata, e lasciandoci immaginare le esistenze di chi abita quegli spazi o piuttosto includendo nell’immagine presenze enigmatiche che rimandano a narrazioni giallistiche tratte da Simenon o forse anche dal Dario Argento del primo periodo. È appunto per questa valenza narrativa delle tele di Ceccotti, tanto più precise quanto più di limitate proporzioni, che la valente ed esperta curatrice Maria Stella Bottai ha inteso accompagnare a queste visioni le parole di uno scrittore affermato come Edoardo Albinati, anch’egli di Roma, che in “19” ha ripercorso appunto la sua personale esperienza del leggendario tram per restituire tutta la ric-chezza di un repertorio di facce, figure, scorci, strade, umori e ricordi con uno stile che conferisce sospen-sione alla cronaca spicciola.

Mentre infatti Ceccotti, allievo di Oskar Kokoschka a Salisburgo nel ’56-’57, essendo influenzato dal cinema e dal noir francese anni ’50 in particolare, inserisce nella sua visione elementi di mistero e attesa, la suggestione di elementi che inducono interrogativi, la presenza di ombre o di personaggi sottilmente sinistri sollevando il desiderio di una narrazione compiuta che invece resta fuori portata, così come accade nello scorrere inarrestabile di luoghi e facce fuori e dentro i finestrini del tram, Edoardo Albinati nel suo 19, che Mondadori ha recentemente rieditato dopo la prima uscita del 2001, e vincitore del premio Viareggio 2004, segue rigorosamente il filo del percorso tramviario, ma espande la sua rapsodica rievocazione anche all’esterno dalla vettura: ci descrive l’andirivieni dei passeggeri, il loro aspetto, e la visione del paesaggio urbano, soffermandosi anche sui cartelloni pubblicitari, i nomi delle strade, gli immancabili turisti, finché, ogni tanto, d’un tratto scaturisce l’associazione che abbina ad un luogo noto un vecchio ricordo.

Il tram, veicolo urbano con la sua tradizione e la sua tipicità che riporta alla prima espansione delle metropoli, quando andò a sostituire il tram a cavalli, è un’icona della ormai superata modernità e resta deputato alle lunghe tratte, mettendo in comunicazione diversi quartieri e diversi strati sociali. Osservatorio privilegiato sul tessuto urbano, conserva un’aura nostalgica, insieme al colore verde delle sue lamiere. Il 19 poi detiene il record della linea ferrata più lunga della Capitale e si può dire che attraversi tre o quattro diverse Rome, tra cui quella sud est che comprende il Pigneto, quartiere che ospita la galleria e che è omaggiato da questa originale mostra.

Come accennato in precedenza, i quadri di Ceccotti, definito detective della quotidianità e artigiano dell’enigma, allo sguardo dell’osservatore offrono con lucidità allarmante viali, edifici e interni – lungo il percorso del 19 – che al di là dell’esattezza realistica (Ceccotti si giova di fotografie per non dimenticare i dettagli della realtà da ritrarre) si caricano di un’atmosfera sospesa, di una suspence che sono ben esemplificati dal suo dipinto (non in mostra) con l’uomo sospeso nel vuoto, di sera, aggrappato ad un davanzale dove restano appoggiati il suo cappello borsalino, il cellulare e le chiavi di casa, mentre l’angolazione dell’immagine, che esprime una squisita soggettività, permette di apprezzare il viale sottostante attraversato proprio da un tram, il palazzo di fronte e uno scorcio di periferia urbana con una sopraelevata. In altri innumerevoli casi l’inquietudine è solo suggerita, ad esempio da una lama di luce che filtra da una porta aperta e che inquadra l’ombra di un uomo in impermeabile, forse l’antagonista in un thriller dall’happy ending non garantito, come in Il ritorno del Sig. Y (anche questo è un suo noto lavoro, ma non è incluso nell’esposizione). Il risultato è affascinante e dal gusto un po’ retrò, a parte il ricorrente telefono cellulare, perché riconducibile, come afferma lo stesso artista, al cinema noir degli anni Quaranta e Cinquanta. Il carattere allarmante e il senso di oscuro presagio che animano queste composizioni, annota Maria Stella Bottai, è anche però debitore del fumetto e della cultura statunitense, compreso secondo noi Edward Hopper, ed è per questo, e pensando al tram 19, nato nel ’75, che più sopra ci siamo sentiti di citare il Dario Argento giallista, coi suoi film degli anni ’70 ed i suoi attori americani. Ceccotti, classe 1935, ha tenuto la sua prima personale a Roma a L’Albatro, nel 1960, e da allora ha esposto in moltissime città in Italia e all’estero, partecipando anche a due edizioni della Quadriennale di Roma e al padiglione italiano – sezione Lazio – della Biennale di Venezia 2011, e le sue opere sono presenti in diversi musei e collezioni private.

Edoardo Albinati, nato nel 1956 è autore di diversi libri di narrativa e poesia, dalla raccolta di racconti Arabeschi della vita morale (Longanesi), del 1988, cui segue l’anno successivo Il polacco lavatore di vetri (da cui è stato tratto il film La ballata del lavavetri di Peter Del Monte) a Svenimenti (Einaudi 2004, vincitore del Premio Viareggio), e i due pubblicati con la Fandango nel 2006 e nel 2009, Tuttalpiù muoio (con l’attore Filippo Timi, che poi lo mise in scena a Milano per la regia di Giorgio Barberio Corsetti) e Guerra alla tristezza!. Nel 2002 ha lavorato presso l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati in Afghanistan da cui è nato il reportage Il ritorno. Diario di una missione in Afghanistan (Mondadori).

Il tram, sostiene Albinati, è un “mondo perfetto” per chi vuole osservare il mondo, un ideale specchio, “come il caffè per gli esistenzialisti”.

Il suo racconto-reportage 19 resoconto dei suoi viaggi sul tram che ogni giorno dal 1994 lo porta al carcere di Rebibbia, dove insegna Lettere ai detenuti, nella riedizione data alle stampe da Mondadori fa parte, insieme a Il ritorno – anistan, del volume Ai confini della realtà. Ed ecco un paio di estratti da 19, a loro volta estrapolati da una delle pagine appese alle pareti della galleria: “Tagliamo il quartiere di palazzoni umbertini che ironicamente si chiama Prati. Al capolinea, in Piazza Risorgimento, il guidatore mi invita a scendere e a cambiare tram, ce n’è uno sul binario accanto pronto a partire, ma è del modello vecchio, senza aria condizionata, e io che fretta ho? L’autista è stupito, ma non sono il solo, oltre a me anche un vecchio opta per restare a bordo. Due generazioni di sfaccendati. Oltre una certa età forse non si paga il biglietto. E l’aria condizionata diventa gratis; sono numerose, ovviamente, le pagine brulicanti di apparizioni, ma a noi piace riportare questo stralcio, una nota un po’ spettrale: “…sicché al capolinea in Piazza dei Gerani ci arrivo da solo e il conducente smonta spegnendo le luci, chissà se ne ripartirà un altro, di 19, mi chiedo, nella piazza non ci sono gerani né un’anima viva e senza occhiali da vista tutto è confuso e tenebroso, pazienza, animo, mai chiedere aiuto, mai disperare, mica è il Bronx…”. È chiara la carica d’umanità con cui l’autore utilizza la quotidianità del familiare, di ciò che rischia di passare inosservato, per intessere una descrizione lievemente, sapientemente, trasognata anche se profondamente partecipe.

La direzione della galleria ha anche inteso sollecitare i ricordi e/o l’immaginario, legati al tram 19, di tutti i visitatori che vogliano lasciare un proprio segno. E così ecco che nella collezione dei Post-It verdi appesi anch’essi ad una parete, si legge, tra l’altro, il sintetico e simpatico flash: “#tram19. Un tizio che sale con due materassi. Esperienze uniche e irripetibili. :)”, ma anche la piccola testimonianza che s’accompagna all’amore per la città: “Il #tram19 scandisce le mie giornate, mi sveglia la mattina con voci chiassose, curve traballanti, lunghe attese alla fermata, e mi culla la sera, nel silenzio notturno, quasi dondolando i pensieri mentre mi ricorda che nonostante tutto, Roma è bella”, e la memoria che si accende e stenografa: “Ricordo del 19 affollato da L. Preneste a R. Margherita (Anni ‘70”). Crisi di panico per la mancanza di aria”.

A questo punto io stesso, da scrittore outsider, non mi sottraggo allo stimolante giochino e, anche se non sono mai salito sul 19, libero l’immaginazione e mi proietto cialtronescamente in un futuro chissà quanto improbabile.

Un giorno, per caratterizzare la narrazione trasmessa via skin-tablet a tutti gli spettatori di instant-visual-book fanatici di cronache cittadine, verranno mostrate, su appositi schermi in 4D disposti dietro il posto riservato al conducente del 19 e nel fondo della vettura, schiere di comparse agghindate con costumi anche anni ’40, cioè con marsine d’ordinanza e scarpe alla Duilio, oppure schiere di fricchettoni sudati del terzo millennio armati di massicce stereo-sound machines a rimorchio (nel qual caso va pagato il doppio biglietto), il cui sound prog-afrobeat si sprigiona ovattato dalle casse autoequalizzate per confondersi con le chiacchiere fitte-fitte di un gruppuscolo di classiche matrone romane con due strati di fard sulle gote biancastre che con le loro movenze popolaresche ed elefantiache vanno ad intralciare l’avanzata verso le porte, nel tram, di solerti impiegati con giacchetta quadrettata un po’ torinese che sfogliano l’agenda-app dello smartphone cercando di trovare posto, in settimana, per una visita dal cyber-programmatore di innesti di memoria. Già, la memoria: al Prenestino sale anche un vecchio profeta maestro dei tarocchi che ad alta voce si mette a ricordare l’architetto Gaudì, che morì a Barcellona investito proprio da un tram: che fine ingloriosa. A proposito di stranezze: gli sceneggiatori del percorso tramviario avranno immaginato anche l’intrusione di qualche elemento surreale, per non smentire lo stile prevalente degli anni 80 del Duemila. Ad esempio, una volta saliti sul tram, tre tipi loschi simili a zingari, in realtà performers bohemienne de noantri, potrebbero estrarre, dai rispettivi sacchettoni della spesa, un paperotto vivo, una maschera da Berluskoni ed un ombrello fallico, per poi spargere nel tram banconote da 50 petroldollari l’una, strillando che l’iperdestra repubblicana USA ha qualcosa da farsi perdonare! Peccato che i verdoni sono finti… Inoltre, poco prima di arrivare a casa sua, a Centocelle, i pozzi di malinconia che si riversavano fuori dalle occhiaie del bancario Feltrizzi, all’approssimarsi del crepuscolo potrebbero diventare più luminosi dei fari del 19, perché magari qualche alieno nostalgico proveniente dal futuro l’ha invasato senza farsene troppo accorgere, tanto per poter osservare, attraverso gli occhi del suo ospite, come da tempo a Roma il melting pot fosse una realtà talmente invadente, onnicomprensiva e disorientante da snervare già così tutta la popolazione senza che lo scenario urbano dovesse per forza essere trasformato in uno spazioporto di Antares.

Info mostra

  • Capolinea 19
  • Galleria d’arte contemporanea La Stellina
  • Via Braccio da Montone 93, Roma
  • Prorogata sino al 29 aprile 2014
  • Patrocinio: Roma Capitale (Municipio V)
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il7 - Marco Settembre, laureato cum laude in Sociologia ad indirizzo comunicazione con una tesi su cinema sperimentale e videoarte, accanto all'attività giornalistica da pubblicista (arte, musica, cinema) mantiene pervicacemente la sua dimensione da artistoide, come documentato negli anni dal suo impegno nella pittura (decennale), nella grafica pubblicitaria, nella videoarte, nella fotografia (fa parte delle scuderie della Galleria Gallerati). Nel 1997 è risultato tra i vincitori del concorso comunale L'Arte a Roma e perciò potè presentare una videoinstallazione post-apocalittica nei locali dell'ex mattatoio di Testaccio; da allora alcuni suoi video sono nell'archivio del MACRO di Via Reggio Emilia. Come scrittore, ha pubblicato il libro fotografico "Esterno, giorno" (Edilet, 2011), l'antologia avantpop "Elucubrazioni a buffo!" (Edilet, 2015) e "Ritorno A Locus Solus" (Le Edizioni del Collage di 'Patafisica, 2018). Dal 2017 è Di-Rettore del Decollàge romano di 'Patafisica. Ha pubblicato anche alcuni scritti "obliqui" nel Catalogo del Loverismo (I e II) intorno al 2011, sei racconti nell'antologia "Racconti di Traslochi ad Arte" (Associazione Traslochi ad Arte e Ilmiolibro.it, 2012), uno nell'antologia "Oltre il confine", sul tema delle migrazioni (Prospero Editore, 2019) ed un contributo saggistico su Alfred Jarry nel "13° Quaderno di 'Patafisica". È presente con un'anteprima del suo romanzo sperimentale Progetto NO all'interno del numero 7 della rivista italo-americana di cultura underground NIGHT Italia di Marco Fioramanti. Il fantascientifico, grottesco e cyberpunk Progetto NO, presentato da il7 già in diversi readings performativi e classificatosi 2° al concorso MArte Live sezione letteratura, nel 2010, è in corso di revisione; sarà un volume di più di 500 pagine. Collabora con la galleria Ospizio Giovani Artisti, presso cui ha partecipato a sei mostre esponendo ogni volta una sua opera fotografica a tema correlata all'episodio tratto dal suo Progetto NO che contestualmente legge nel suo rituale reading performativo delle 7 di sera, al vernissage della mostra. ll il7 ha quasi pronti altri due romanzi ed una nuova antologia. Ha fatto suo il motto gramsciano "pessimismo della ragione e ottimismo della volontà", ed ha un profilo da outsider discreto!

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