Everard, a modo suo. Una storia incredibile e appassionante

Quando un vicino di casa che non ci siamo mai filati in tanti anni ci approccia in prossimità dei cassonetti e ci chiede cos’abbiamo fatto in tanti anni, se abbiamo moglie e figli e conto in banca, viene il dubbio che non voglia solo impicciarsi ma che abbia una puntina di malignità; figuriamoci se ci chiamassimo Everard e fossimo presumibilmente al centro dei pettegolezzi del quartiere. Lui però, Everard, con i suoi circa sessant’anni pare che se ne infischi e prosegua a vivere e fare le cose a modo suo. Per certi versi, vien proprio da fare il tifo per lui visitando la mostra, in corso alla galleria Interzone, che lo vede al centro del progetto fotografico di Annalisa Falcone. Naturalmente la giovane artista, classe 1984, con una laurea in Disegno Industriale ed un corso di Foundation Degree a Londra in tasca, è perfettamente consapevole che l’uomo potrebbe anche essere stato ribattezzato, alle sue spalle, Ever Hard, lì nel suo neighbourhood, ma proprio per questo lei si è presto convinta che fosse necessario offrire una visione completa su questa persona così particolare.

Stiamo parlando di qualcuno che non dev’essere affatto un cattivo diavolo: integrato nella società con il suo lavoro come informatico, questo gentleman dai modi delicati vive nella quieta provincia inglese, nel Dorset, a Christchurch, una cittadina anonima di villette curate, tutte uguali, più o meno, a poca distanza dal mare, ed il suo torto più evidente consiste nel vivere in una casa decisamente meno ben tenuta di altre, ma soprattutto in compagnia di una diecina abbondante di bambole in silicone dalle fattezze femminili bellissime, a grandezza naturale.

Perfettamente inserita nella linea di ricerca privilegiata della galleria, quella dell’intimità e della memoria, questa mostra di Annalisa Falcone documenta perfettamente come una delle vocazioni primarie di un fotografo debba essere quella di approfondire storie rifuggendo al tempo stesso da ogni forma di invadenza; la Falcone si è fatta dunque testimone invisibile e rispettosa, e senza turbare il contesto originalissimo composto dall’uomo e dal suo ambiente è riuscita a fornirci una visione immersiva e globale sia nello spazio che nei tempi di vita di Everard, lasciandoci percepire l’intensità della sua esperienza di fotoreporter artistica.

Naturalmente, questa visione intimistica del mezzo fotografico introduce nell’esperienza estetica un’autenticità che può essere scomoda da gestire, ma questo vale in particolare per chi si sente in tutto allineato, e non per chi è aduso a riflettere sulle deviazioni, magari minime, magari tollerate, di cui un po’ tutti siamo portatori. Si diceva dello spazio e dei tempi di Everard; in effetti la mostra è suddivisa in due parti: la prima illustra, con una documentazione fotografica fornita dal protagonista, alcune delle sue pagine di vita precedenti la sua condizione attuale, mentre la seconda si compone per la maggior parte delle foto scattate da Annalisa nella casa con giardino in cui Everard vive con le sue compagne. Nella prima sala siamo dunque di fronte ad autoritratti del personaggio che appare col volto un po’ sognante, da persona sensibile, incline forse a formarsi un mondo tutto suo, ma anche a immagini della sua adorata madre, scomparsa nel 1995, e inquadrata nel giardino e accompagnata da didascalie da cui risulta l’attaccamento del figlio ed il suo rispetto che si spinge ad atteggiamenti ora toccanti ma pure un po’ estremi, come la volontà di conservare tutto, di lei, e la sua intera stanza, come se nulla fosse cambiato da quando lei lo ha lasciato.

Sulla parete, poco più in là, l’occhio cade su uno scatto invece molto dinamico, che ci mostra un Everard avventuroso ragazzo in bicicletta intento a scendere da un declivio quasi a rotta di collo, e la didascalia recita: Mi sono sempre visto come il classico ragazzo magro, intelligente e con le lentiggini, il protagonista del film della vita, il più veloce, il più forte e capace di tutti. Un membro di una razza superiore”. Capita spesso, malinconicamente, che caratteri esuberanti, entusiasti, comunicativi e carichi di vita, se colpiti duramente dalla medesima, soffrano in modo particolare del cambiamento e non riescano facilmente a risollevarsi, come se non riuscissero a rassegnarsi all’idea di aver perduto parte della verve di un tempo. L’ex ragazzo continua ancor oggi ad avere delle risorse non comuni: va in deltaplano come quando era più giovane, gli piace il modellismo (di aerei soprattutto), pratica la fotografia ritraendosi a volte insieme alle sue “belle”, e occasionalmente dipinge (interessante il quadro che ritrae un astronauta walkin’ on the Moon durante la missione Apollo, immagine presumibilmente ricavata da una fotografia d’epoca. Il dipinto compare in una delle migliori foto in mostra). Ma sono intriganti, come parte del mosaico, anche le vecchie foto analogiche che lui, dopo qualche garbata insistenza, ha fornito alla Falcone e che ritraggono alcune sue conoscenze femminili di diverso tempo fa: alcune volte insieme a lui, che appare baffuto e abbastanza disinvolto, ma anche da sole; in uno di questi ultimi casi, lui ha specificato, con una didascalia, che la foto è dell’’86 e che lui ha conosciuto quella donna per un breve periodo.

La foto pare sia scattata in estate perché la ragazza porta i pantaloni ma dalla cintola in su è in bikini, ed è seduta su una sedia a sdraio, ma non è possibile giungere a conclusioni sulla sua avvenenza perché il suo volto è stato da lui schermato digitalmente con un effetto di disturbo tipo grana squagliata, e non si sa se per un’esigenza di privacy che egli sente più viva per lei (e anche per le altre donne, nelle altre foto, trattate allo stesso modo) o per lui stesso, che magari non vuole essere associato a donne vere, troppo definite. La logica farebbe propendere per la prima ipotesi, ovviamente, ma cosa è lecito pensare di un uomo che, da alcune sparute conoscenze sia arrivato a concludere che è meglio lasciar perdere l’universo femminile in carne ed ossa e circondarsi solo di bambole, anche se molto ben fabbricate? Queste bambole di ultima generazione, simulacri umani quasi perfetti, per Everard “…rappresentano un passo in più nella concezione dei normali sex toys, sono infatti delle creature di cui prendersi cura e con le quali si può condividere molto di più di un rapporto sessuale”. Lui accolse infatti la falcone, la prima volta, invitandola a venire nel suo studio, dove trovò tre-quattro bambole sedute su altrettante sedie, di poco discoste dalla scrivania, come se fossero stagiste ad una riunione di redazione, come testimonia perfettamente, con grande suggestione, una delle opere in mostra. E mentre la sua vita sconfina quindi in una realizzazione domestica della società-simulacro baudrillardiana in cui il falso, l’inautentico, prendono il posto del vero, la sua intera casa si fa diario inalterabile, museo cadente delle tracce lasciate dagli esseri veri che l’abitarono un tempo: i genitori e il fratello.

Questo luogo in cui i resti – come la moneta caduta di tasca al fratello anni prima e lasciata lì, nello stesso punto da allora – sopravvivono e si mescolano a feticci più artefatti è del tutto chiuso ed invisibile al mondo esterno, tranne quando Everard decide di passare del tempo in giardino con le sue partner. È dunque un cosmo bizzarro e che induce al sospetto, quello in cui Annalisa Falcone s’è introdotta al termine di una ricerca sugli acquirenti di questa marca di bambole perfette, una ricerca iniziata dopo essersi imbattuta, leggendo il giornale nella subway londinese, in un articolo su queste particolari dolls per adulti; la casa di Everard, l’unico tra i frequentatori del forum dei possessori di bambole, ad aver risposto all’appello di Annalisa, è un ambiente che trasmette una certa incertezza sullo status psichico del padrone di casa mentre tuttavia non si resta indifferenti al suo garbo, al suo linguaggio forbito di ingegnere che si interessa anche di filosofia e che aggiorna regolarmente il suo blog.

La routine è sacralizzata, non c’è altro cambiamento se non il logoramento degli oggetti e perfino delle pareti – numerose le crepe – determinato dal tempo trascorso da quando la famiglia era ancora al completo, e molti oggetti sono catalogati con etichette complete di date o presentano le istruzioni d’uso per visitatori che, a parte Annalisa, restano ipotetici. In effetti le creature in silicone portano una nota di gaiezza e di fascino e di colore, abbigliate come sono da Everard ognuna in modo diverso e sempre rinnovato ogni giorno (con abiti spesso vintage acquistati per lo più in charity shops), così come a volte il loro ospite alterna le loro teste intercambiabili, e c’è infatti una foto che ritrae una delle teste poggiata su un letto in attesa del corpo su cui andrà innestata. Lui dunque le veste, ne cura l’aspetto e le fotografa, non di rado facendosi degli autoscatti tra loro; gradevolissimo e molto fashion lo scatto che di lui mostra solo la testa, con un’espressione soddisfatta, accanto a quelle di tre-quattro di loro, con gli occhiali da sole a schermare la bella luce, con i corpi per lo più fuori campo distesi a raggera sul prato.

In un’altra foto – questa scattata dalla Falcone – Everard è sorpreso a girarsi e guardare in macchina con sguardo compiaciuto e penetrante mentre sistema la sua fotocamera sul cavalletto, pronto a immortalare una delle sue fidanzate vestita con un’abitino rosso e un po’ sfumata sullo sfondo verde dell’erba illuminata dal sole del primo pomeriggio: potrebbe essere una domenica ideale. Altri appassionati pare che condividano immagini simili su appositi forum sul web, in cui la bizzarria dei topic la fa da padrone. Nel caso di Everard a turbare è il connubio tra il suo privato cristallizzato e regolato da una metodicità maniacale, e la straordinarietà di quelle presenze colorate e fascinose quanto fittizie che compongono un harem improbabile e che lui sa descrivere con accuratezza sia dal punto di vista tecnico sia attribuendo a ciascuna di loro una personalità particolare e diversa, senza contare le numerosissime immagini di donne ritagliate da riviste, anche solo i visi, e attaccate qua e là, per tutta casa, anche in cucina. La Falcone ha replicato questo aspetto creando, in galleria, una parete intera fitta di ritagli di donne alla stessa maniera di Everard, un’installazione consacrata con maniacalità alla bellezza femminile. Come lo spettatore, invitato a stabilire la sua personale percentuale di comprensione/diffidenza verso il personaggio, ma naturalmente molto, molto di più, Annalisa si è relazionata con l’uomo e ne ha valutato le dimensioni psicologiche da vicino ottenendo la sua fiducia ma non riuscendo a nutrirne altrettanta.

Anche oggi, a mostra in corso, alcune persone hanno fatto commenti inquietati o osservazioni sullo stato mentale dell’uomo, ma la Falcone non ha mai inteso trasmettere questo tipo di impressioni su Everard, anzi si è concentrata sulla persona apprezzandone l’intelligenza e i molteplici interessi da condividere, tuttavia, anche se è rimasta in contatto telematico con lui e ritiene che l’amicizia durerà nel tempo, ha dedotto piuttosto chiaramente che Everard ha avuto trascorsi non facili e che, data l’età, sarà difficile che lui abbandoni l’idea distorta di non essere attraente per le donne e che con essa abbandoni anche le sue attuali, silenti compagne di silicone. Di certo se lo facesse, riflette l’artista, potrebbe regalarsi del tempo di qualità anziché restarsene autoconfinato in casa con compagnie fittizie.

Di certo la situazione disastrata della famiglia – col padre molto anziano che scomparve per primo, la madre molto amata che lui assistè a lungo durante la lunga malattia che l’ha portata alla morte, evento-spartiacque nella vita di Everard, ed il fratello affetto da schizofrenia che lui ha perso di vista – l’ha profondamente segnato. E così la fotografa, quando per la prima volta è andata a trovarlo senza sapere quante bambole avesse, si è ritrovata in un mondo dove non solo le molte bambole turbano con la loro presenza, ma dove quasi ogni dettaglio racconta una storia. Dettagli, come il segno lasciato dalla moquette rimossa dalle scale, su cui la fotografa ha appuntato la sua attenzione restituendoli come elementi di una narrazione per immagini che non può essere neutra ma che è connotata da una certa delicatezza. La difficoltà del personaggio nel lasciare scorrere il tempo e la sua sensibilità si traducono infatti in fotografie in cui spesso la luce è morbida e le apparenze delle “ragazze” creano un mood di dolce sospensione, una fantasmagoria incantata che non si sa quanto potrà durare prima del confronto con la realtà. Una realtà ipostatizzata che naturalmente imponeva una riflessione preliminare sulla necessità di conciliare l’attrattiva estetica e la potenza documentaria, ma per Annalisa Falcone tutto è stato piuttosto naturale sia per la sua capacità empatica verso questo tipo di soggetti, sia perché il suo senso estetico era di continuo stimolato da ciò che era in quella casa. Ovviamente, le foto dall’impatto maggiore sono quelle in cui appare Everard mentre accudisce una delle sue bambole in camera da letto, usando del talco, ma non si va oltre, perché la fotografa ha incontrato nella sua natura di donna un limite che le ha impedito di scavare più a fondo. Lo stesso odore di tutto quel talco misto a quello di polvere creava a momenti un’atmosfera di ottundimento che risulta, nelle opere fotografiche in mostra, come detto, dalla morbidezza quasi ovattata dei colori e dall’amorevolezza dei gesti.

La fotografa chiude la serie con l’immagine che mostra di spalle il padrone di casa mentre lava i piatti dopo cena mentre lei sta per salire al piano di sopra per passare nella casa una notte – in realtà senza riuscire a chiudere occhio; ha il valore di una foto di commiato, perché il giorno dopo la Falcone partì, e ci fa apparire quest’uomo immerso nella sua quotidianità, nella cucina illuminata, mentre fuori, ai lati degli stipiti della porta si colgono pile di oggetti accatastati in penombra, tipiche dello scapolo che vive secondo regole sue.

Rispondendo ad una nostra domanda, Annalisa ha spiegato che le sue bellissime donne amano a tal punto Everard – secondo la visione di lui – che, pur di stare con lui, accettano anche che lui affigga in giro per casa anche i ritagli delle fotomodelle prelevati dalle riviste. È così che, in un allestimento che produce un’esperienza immersiva per il visitatore, l’appeal sognante e solo vagamente malsano delle fotografie determina anche nei visitatori il desiderio di trattenersi di più – se non altro col pensiero, acquistando magari qualche esemplare delle opere in mostra – sulla vicenda umana di Everard e di farsi aggiornare da Annalisa sull’andamento di questa vita così singolare, in cui comunque l’equilibrio va rispettato.

  • La Galleria INTERZONE presenta, fino al 4 marzo 2016, un’esposizione di oltre cento fotografie in bianconero e colore, insieme a foto vintage e ritagli di giornale. Con questa mostra la galleria romana, al suo terzo anno di vita, inaugura il ciclo dedicato all’identità.
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il7 - Marco Settembre, laureato cum laude in Sociologia ad indirizzo comunicazione con una tesi su cinema sperimentale e videoarte, accanto all'attività giornalistica da pubblicista (arte, musica, cinema) mantiene pervicacemente la sua dimensione da artistoide, come documentato negli anni dal suo impegno nella pittura (decennale), nella grafica pubblicitaria, nella videoarte, nella fotografia (fa parte delle scuderie della Galleria Gallerati). Nel 1997 è risultato tra i vincitori del concorso comunale L'Arte a Roma e perciò potè presentare una videoinstallazione post-apocalittica nei locali dell'ex mattatoio di Testaccio; da allora alcuni suoi video sono nell'archivio del MACRO di Via Reggio Emilia. Come scrittore, ha pubblicato il libro fotografico "Esterno, giorno" (Edilet, 2011), l'antologia avantpop "Elucubrazioni a buffo!" (Edilet, 2015) e "Ritorno A Locus Solus" (Le Edizioni del Collage di 'Patafisica, 2018). Dal 2017 è Di-Rettore del Decollàge romano di 'Patafisica. Ha pubblicato anche alcuni scritti "obliqui" nel Catalogo del Loverismo (I e II) intorno al 2011, sei racconti nell'antologia "Racconti di Traslochi ad Arte" (Associazione Traslochi ad Arte e Ilmiolibro.it, 2012), uno nell'antologia "Oltre il confine", sul tema delle migrazioni (Prospero Editore, 2019) ed un contributo saggistico su Alfred Jarry nel "13° Quaderno di 'Patafisica". È presente con un'anteprima del suo romanzo sperimentale Progetto NO all'interno del numero 7 della rivista italo-americana di cultura underground NIGHT Italia di Marco Fioramanti. Il fantascientifico, grottesco e cyberpunk Progetto NO, presentato da il7 già in diversi readings performativi e classificatosi 2° al concorso MArte Live sezione letteratura, nel 2010, è in corso di revisione; sarà un volume di più di 500 pagine. Collabora con la galleria Ospizio Giovani Artisti, presso cui ha partecipato a sei mostre esponendo ogni volta una sua opera fotografica a tema correlata all'episodio tratto dal suo Progetto NO che contestualmente legge nel suo rituale reading performativo delle 7 di sera, al vernissage della mostra. ll il7 ha quasi pronti altri due romanzi ed una nuova antologia. Ha fatto suo il motto gramsciano "pessimismo della ragione e ottimismo della volontà", ed ha un profilo da outsider discreto!

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