Super Dog Party aperto anche ai bipedi!

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Quando le infinite grottesche possibilità del lavoro interinale si spalancano davanti ai piedi come un abisso pieno di infantili complotti governativi contro il gggiovane, ma quando, nonostante ciò, il pischello si sente smuovere a singhiozzo qualcosa nei boxer ed ogni consegna espresso di supplì in giro per la città gli sembra un’occasione per conoscere intimamente studentesse fuori sede senza voglia di studiare o casalinghe quarantenni annoiate in vestaglia, è il momento di organizzare un Super Dog Party in cui la birra sazi il pancreas, gli amici soddisfino la voglia di cazzeggio e i linguoni scodinzolanti dei botoli sostituiscano le prestazioni delle squinzie che non son volute venire perché non si possiede una piscina riscaldata a Natale! Personalmente restiamo sconcertati quando prendiamo atto, spulciando su Facebook, che il gruppo Super Dog Party, messo su con sfacciataggine e cattiva creanza da Alessandro Peana, può ben contare su una piscina, e allora i conti non ci tornano.

Vediamo di fare chiarezza: il gruppuscolo di dissidenti della mala del cibo per… gatti è composto, e pure stabilmente, direi, da Alessandro Peana (voce e chitarre), Nando Amorese (basso e backing vocals) e Maxim alias Massimiliano Di Santo (drums & percussions), ed è presumibile che (oltre alle loro legittime consorti, se ne hanno) abbiano bisogno di ragazze, per fare le roadies, non di cani. Però… altolà, mi raggiunge una chiamata anonima mentrre sono in bagno a sciacquarmi i piedi stile garage rock e vengo informato da una voce da manager rosicone che in realtà la più grande ispirazione del gruppo è fornita dal cane di Nando, all’anagrafe battezzato come “Pedro Ditak Abuoss Lupino di Ditakkini O Pamma mia”; l’informatore subito dopo riattacca, ma quello che mi ha spifferato è abbastanza per lasciarmi dedurre che le ragazze devono passare in secondo piano se una lobby canina che finge di porsi come associazione no-profit di amici dell’uomo, in realtà congiura per sobillare questi giovinastri incitandoli molto più del lecito a condurre una vita da cani, al limite del rock. E loro accettano, forse per indispettire (ma in grande amicizia!) certe conventicole italiote di neo-melodici ingenui ma rosiconi che non hanno frequentato il Saint Louis College of Music – da cui Peana proviene avendone derivato una tonificazione dell’ispirazione e della tecnica – e che perciò sono vagamente ostili perfino verso chi imbastisce sottili divagazioni acid-jazz, figuriamoci nei confronti di chi preferisce le smanettate ruvide e accidentate e ricambia la loro simpatia accorata guardandoli… in cagnesco!

Ne consegue che la giovane vita di Peana è stata da lui stesso percepita come una sequenza di sacrifici, nel senso che ha dovuto imporsi centinaia di volte di non sbroccare alla gente nella vita privata, ma farlo solo in musica, con quell’energia sarcastica che piace molto ai cani randagi veri e a quelli metaforici! Tante son state le esperienze destabilizzanti del leader, dalla natìa terra sarda alla tentacolare e balorda Roma, da richiedergli la fondazione di due diversi gruppi; dei The Boomers ci occuperemo in modo abbastanza accanito un’altra volta, nei Super Dog Party secondo alcuni assistiamo però ad una nuova versione dello spettacolo del cane che si morde la coda: infatti da una parte l’egocentrismo bulboso di Peana va alla deriva sonora portandolo a comporre quasi tutti i pezzi e facendo la parte del leone, pardon, del cane, ululando al microfono tutti i testi, dall’altra si agita tanto sul palco, dal vivo, proprio per attirare l’attenzione sugli altri due cagnoloni, che si fingono bastonati ma invece ci danno giù come indemoniati che hanno il controllo totale della sezione ritmica trascinandola pezzo dopo pezzo senza mai pestarsi la coda neanche a vicenda Vicenza. Il punk’n’roll trasuda da questo CD d’esordio, “The big show”, come se fosse la bava di un bulldog palestrato, e quando al Trio piglia bene, il mood piega il muso verso la mollezza della cuccia bluesy, il contesto in cui rifugiarsi quando il beat sa di sconfitta esistenziale (temporanea, che scherzi?).

Rispetto ai 13 pezzi del disco dei The Boomers, i 7 brani su questa prima release dei Super Dog Party, più che uno sberleffo a me medesimo, mi pare sia il segno di un’ambizione smodata a fare di ogni brano un più lungo compianto delle manchevolezze del pianeta o un più consistente contrattacco contro gli elettori di Putin! Queste mire espansionistiche (rispetto alla durata) sono forse il segno che gli scenari socio-politici stanno cambiando e che il punk’n’roll non basta più a se stesso ed esige delle strutture più stirate per poter esprimere tutto il suo coefficiente di auspicabile imprevedibilità? No, mi sa che non ho capito niente. Questo resta materiale di genere, che si confronta con dei canoni di freschezza esprimendosi con dei latrati da pitbull sconquassato, ed è improbabile che il terzetto voglia fornire una interpretazione extended degli stilemi della rabbia secca e del riff sbrindellato e dell’assolo da scatenamento di bicicletta. Però il dubbio m’aveva còlto, per un attimo… Mentre per alcuni dei componenti dei Boombaroli pare si faccia risentire di tanto in tanto l’eco di un passato hardcore, sui dinoccolati membri dei Super Dog Party sembra pesare il rischio di essere considerati animatori scavezzacollo di feste di compleanno su tema canino, mentre sentendoli suonare risulta chiaro dalle prime note che non siamo mica di fronte a dei Beastie Boys, cioè ragazzacci bestiali disponibili ad integrare il rap nella loro formula sonora, ma a dei bluesmen del terzo millennio con un’aggressività da working class punk impegnati nel sociale a far capire che non suonano certo come cani nel senso peggiore del termine! E dato che non si preoccupano certo di non riuscirci, vista la loro comprovata e maliziosa tecnica da scannagatti, io stesso, contagiato dalla loro abrasiva, aspra e sghemba andatura, sono peggiorato e scrivo queste righe attingendo la concentrazione dalle occhiaie!

Sarà una fase transitoria? Alcuni se lo chiedono pensando allo stile dei Super Dog Party, ed è facile rispondere che, vista la loro giovane età e le premesse delle loro influenze, i Ramones, i Clash, Captain Beefheart, i tre potrebbero sia radicalizzarsi decidendo di voler contrastare i coetanei restando legati alla vecchia guardia, sia scoperchiare il pentolone e mettere nella loro zuppa per cani qualcosa di ancora più insolito da suonare e rodere, qualche osso tipo quello che viene spezzato con le zanne dal volpino in copertina, e trasformare così il loro output in un crossover di più problematica definizione; d’altronde, con “Ghouls and Goblins” ci hanno appena mostrato che anche a loro piacciono le sorprese e le deviazioni dal solito percorso intorno all’isolato, al guinzaglio. Fermo restando che la gente, comunque, già adesso sballa da matti ai loro Super Dog Party anche così come sono: ci sono spiriti burloni che convincono i loro amici ad entrare nel garage a quattro zampe e a mangiare da scodelle coco pops in palline per simulare pepite di manzo, e strisce di merluzzo rinseccolito per simulare ossa, e li identificano mettendogli collari fatti con spago e perline di plastica colorate e infine li mandano così nudi a familiarizzare a suon di sniffate con “treni di pulci” usciti dal canile per vedere se ‘sti cani derelitti li adottano; il primo finto cane che subisce un attacco sessuale da parte di un cane vero vince la possibilità di far nascere invece una cucciolata con la squinzia più carina della scuola, che assiste da tronista alla scena mentre tutti gli altri ondeggiano seguendo il ritmo languidone di Seamus (il brano dei Pink Floyd, da Meddle, in cui canta il cane che dà il nome alla canzone). La differenza è che Seamus, così dice la canzone, mentre il sole affondava lentamente, si sedette e pianse, invece Pedro Ditak Abuoss Lupino di Ditakkini O Pamma mia vede il sole sorgere, ha un erezione, e pronuncia tutto il suo nome con accento messicano. I tempi cambiano, ed è lui il massimo punto di riferimento per i Super Dog Party, e questo non me lo dice l’informatore, è riportato nei credits!

“Asshole” è un opener innervato e stizzito, nonché sporchetto, come ci si può aspettare, e l’aspetto del dispiegamento tecnico è l’equivalente musicale dello sforzo semiotico di sviscerare tutti i possibili sensi del termine, da quello più clinico-anatomico a quello più dispregiativo, dalla connotazione più incentrata sulla cattiveria a quella che insiste sull’inettitudine di chi si becca l’appellativo. Il ritmaccio è andante, non vi dico dove, la voce è filtrata, il ritornello fa chiarezza con bruciante franchezza, mentre la chitarra, partendo da un caracollare rock’n’roll allegramente disgustato, inventa in continuazione intrecci con se stessa e l’indisponen-za che la muove; l’assolo è hard rock sciolto e greve, insieme, e si scuote di dosso il fastidio di vedersi quell’ asshole intorno. Caspita, glielo dicono tutti, anche la backing voice, dovrebbe provare a darsi una ripulita!

“On monday” (by Marco Marraccini dei The Boomers) mantiene ovviamente la predisposizione al “dare la sveglia” con grinta, e per di più accelera il ritmo con la massiccia intro spessa e rugosa, e lo sviluppo che de-clama i fastidi del manic monday con una carica da mitraglietta armata a parole, il basso che fa il suo lavoro appoggiando il discorso, e gli stop and go che fanno da cesure in uno sfogo a tratti molto sodo, che fila schitarrando come un treno e macinando il drumming a pistone senza perder tempo a prendere in esame i se ed i ma di chi va per il sottile e crea ostacolo senza neanche accorgersene. È lunedì!!

“Ghosts & goblins” è più di una cover della colonna sonora (creata da Ayako Mori) dell’omonimo gioco dell’ Atari degli anni ’80, ne recupera le 8 battute principali ma ne cambia ovviamente le sonorità, rendendolo me-no freddo e toy-keyboardoso e più avventuroso-trash, pur nel piglio ludico mattacchione, come se un fan-cazzista abituato solo alle lordure dell’ipocrisia del college si ritrovasse a cercare il motorino rubato nella zona del cimitero e fosse costretto a fuggire da minacce splatter tra trabocchetti sordidi e funerei di spiritelli maligni e lupetti mannari, in un clima musicale che, analizzato con la lente d’ingrandimento, si vede che schi-zofrenicamente alterna rassicurazioni fumettistiche (le rifiniture soft) ad abbozzi di scale allarmanti, ad inter-pretazione vocale tesa nel ritornello ed in certi passaggi, e alla spettrale partecipazione della tastiera neb-biosa; le parti felpate suggeriscono pertanto una certa cautela nel muovere le zampe: nella notte certi teschi escono illuminati dalle zolle, ma anche di giorno l’ambiente discografico ha le sue trappole!

“Big Show” inizia con degli snodi chitarristici avvincenti con trovate avvitate che prendono poi il via come un ritmo autocelebrativo da grande evento, appunto, in cui ci si mette in gioco e si mette sul piatto un bel po’ della propria faccia in un’esibizione arrabbiata, e si punta forte. Il ritmo è suggerito dall’impiccio legato della chitarra, ma quando arriva l’assolo, la voce già da qualche secondo ha ceduto il palco a quell’interpretazione chitarristica incendiaria dell’hardrock più contratto e swingato. La pausa jazzata con i piatti spazzolati sembra utile a sbirciare di sottecchi l’audience per vedere se è rimasta impressionata dall’urto di nervi, e poi si riprende, al segnale della voce fomentata da un groviglio viscerale forse immotivato. C’è poi un’alternanza tra frasi ritmiche solistiche e tocchetti di arrangiamento corale, ed infine si riaccende la furia cantata della manifestazione di prepotenza spettacolare.

“Nip Tuck” è un altro omaggio all’entertainment, stavolta alla serie televisiva dei due chirurghi plastici dei quali uno, Christian Troy, è capace di uscirsene con: “Non importa se hai le palle come mirtilli, alle ragazze interessa che tu sappia come si fa!” L’approccio del brano è davvero speed, e lucido come le superfici spec-chianti della city, il centro della metropoli, là dove solo i vincenti si incontrano e di noi preferiscono ignorare l’esistenza per non essere risucchiati nel nostro patetico limbo; l’energia qui è irrefrenabile, Christian nips & tucks, (pizzica e piega), taglia e cuce nasi e pelli senza scrupoli e facendosele tutte, è un rock’n’roll ascen-dente, molleggiato in velocità e su di giri, con gridolini da strippo, come quando lo si fa nell’ ascensore del-l’azienda con una top manager mostrandosi selvaggi sotto la divisa del blazer blu e poi lo si racconta al socio mentre si cena sghignazzando al The View, il ristorante panoramico che gira di 360 gradi su se stesso in un’ora e venti. “Bravo, ragazzo, hai fregato la tua prima malattia venerea!”

“Greyhounds city” è in sfacciato contrasto col pezzo precedente, l’indolenza degli stati USA del sud si la-scia visualizzare in una stazione dei torpedoni caratteristici yankee, intorno ai quali vagolano a volte avvinaz-zati che vogliono far perdere le loro tracce ai danni del portafoglio di qualcun altro. Il brano è strumentale, e si presenta come uno scalcinato polveroso blues da margini dell’autostrada, con tutti i fremiti dell’effettistica slide con l’ascendenza di Ray Cooder (ricordate “Paris, Texas” di Wim Wenders?). Qui la voce biascica stancamente appunti di viaggio e sensazioni stanche che non va di spiegare, mentre un altro cane uggiola sotto all’arpeggio morbido e cullante, e la bestiola partecipa come Mademoiselle Nobs nella versione Live in Pompei di “Seamus” di cui sopra, ma qui non ci sono metafisiche cosmiche, è più una dimensione quo-tidiana spiegazzata che si mostra slabbrata, ed è una apprezzatissima chicca il finale pianistico piagnu-coloso con classe, una rarefazione pulviscolare.

Ci si riscuote con la conclusiva “The Masterchef”, un nuovo esercizio di stile sagomato da una chitarra che si getta di qua e di là arrabbattando riff per creare un polpettone da “capocuoco”; d’altro canto, nella compo-sizione servono degli ingredienti base e delle spezie, ed i Super Dog Party sanno come impastarsi la pappa. La voce procede a scatti come in certe prese a male dei Red Hot Chili Peppers, e gli spigoli si susseguono dispiegandosi solo in parte nella sezione che conduce all’assolo visionario, psichedelico schizzato; l’andamento sghembo prosegue con vigore inesausto funky fino alla fase finale, in cui gli stop & go esprimono un singhiozzo esuberante che finta più volte la conclusione improvvisa e tronca per meglio sottolineare la capricciosità d’un estro squilibrato che ricerca il Gran Gourmet anche se senza pretese ipertecniciste, pur mantenendo cioè la ruvidità sbracona del genere. Il risultato di questo brano sicuramente è un pastone iperproteico rollè destinato alle fauci avide da degustatore di Tuco Pacifico Juan Maria Ramirez detto “El Puerco”, il cane (dalla notevole aerodinamica facciale) della cugina della ragazza di Alessandro Peana. Se ce ne lascia un po’, a risentire il CD, ce lo sbaferemo anche noi, ogni volta con identico appetito!

L’artwork agile e scientificamente cazzone del CD è un incentivo a sciallarsela sapendo tuttavia come farlo in modo artisticamente produttivo, mentre il marketing è disperatamente alternative e generoso, dato che è possibile scaricare gratuitamente il disco in MP3 dal sito, cosa che se non altro scoraggerà i più bruciati ad andare a rubarlo nei negozi, dove peraltro non si trova mica in vendita al prezzo di un occhio della testa di un cane!

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il7 - Marco Settembre, laureato cum laude in Sociologia ad indirizzo comunicazione con una tesi su cinema sperimentale e videoarte, accanto all'attività giornalistica da pubblicista (arte, musica, cinema) mantiene pervicacemente la sua dimensione da artistoide, come documentato negli anni dal suo impegno nella pittura (decennale), nella grafica pubblicitaria, nella videoarte, nella fotografia (fa parte delle scuderie della Galleria Gallerati). Nel 1997 è risultato tra i vincitori del concorso comunale L'Arte a Roma e perciò potè presentare una videoinstallazione post-apocalittica nei locali dell'ex mattatoio di Testaccio; da allora alcuni suoi video sono nell'archivio del MACRO di Via Reggio Emilia. Come scrittore, ha pubblicato il libro fotografico "Esterno, giorno" (Edilet, 2011), l'antologia avantpop "Elucubrazioni a buffo!" (Edilet, 2015) e "Ritorno A Locus Solus" (Le Edizioni del Collage di 'Patafisica, 2018). Dal 2017 è Di-Rettore del Decollàge romano di 'Patafisica. Ha pubblicato anche alcuni scritti "obliqui" nel Catalogo del Loverismo (I e II) intorno al 2011, sei racconti nell'antologia "Racconti di Traslochi ad Arte" (Associazione Traslochi ad Arte e Ilmiolibro.it, 2012), uno nell'antologia "Oltre il confine", sul tema delle migrazioni (Prospero Editore, 2019) ed un contributo saggistico su Alfred Jarry nel "13° Quaderno di 'Patafisica". È presente con un'anteprima del suo romanzo sperimentale Progetto NO all'interno del numero 7 della rivista italo-americana di cultura underground NIGHT Italia di Marco Fioramanti. Il fantascientifico, grottesco e cyberpunk Progetto NO, presentato da il7 già in diversi readings performativi e classificatosi 2° al concorso MArte Live sezione letteratura, nel 2010, è in corso di revisione; sarà un volume di più di 500 pagine. Collabora con la galleria Ospizio Giovani Artisti, presso cui ha partecipato a sei mostre esponendo ogni volta una sua opera fotografica a tema correlata all'episodio tratto dal suo Progetto NO che contestualmente legge nel suo rituale reading performativo delle 7 di sera, al vernissage della mostra. ll il7 ha quasi pronti altri due romanzi ed una nuova antologia. Ha fatto suo il motto gramsciano "pessimismo della ragione e ottimismo della volontà", ed ha un profilo da outsider discreto!

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