Il tappeto volante. Il non racconto di Julia Varley su mezzo secolo di Odin Teatret

immagine per Julia Varley
Julia Varley
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Julia Varley

Chi arriva in sala – uno spazio altro, non un teatro, nello specifico l’Auditorium del Centro culturale San Gaetano di Padova – e si trova davanti una scena abitata solo da un leggio coperto da un drappo, forse già sa. Forse conosce quell’attrice che domina l’attesa dell’ultimo spettatore solo con lo sguardo e sa che non ci sarà un sipario, che non ci sarà buio in sala né una (sola) storia da raccontare.

Non è possibile infatti racchiudere, o meglio rinchiudere, cinquant’anni di Odin Teatret – gruppo di ricerca teatrale nato per iniziativa di Eugenio Barba e divenuto elemento fondante della storia del teatro del secondo Novecento – in un unico testo fatto di parole, laddove non esistono confini di luoghi, di lingue e di artisti.

Il tappeto volante, per la regia di Eugenio Barba, è un viaggio condotto da Julia Varley – arrivata nei primi anni Settanta all’Odin Teatret e divenuta uno dei pilastri del gruppo – che si inserisce nell’ambito di IMPRonTE – prospettive tra IMPResa e TEatro, format sulla sostenibilità del fare artistico promosso dall’associazione MetaArte di Padova in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova e sostenuto da Fondazione CARIPARO, articolato in spettacoli, seminari di approfondimento, incontri con gli artisti.

Julia Varley fa tappa a Padova per incontrare face á face i soci di MetaArte, poi come regista di Rovine del tempo – incentrato sull’immaginario legame tra la scrittrice Anna Banti e la pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi – e appunto come unica attrice protagonista de Il tappeto volante, spettacolo-dimostrazione sul metodo di lavoro dell’Odin Teatret.

Il testo è un tappeto che deve volare molto lontano”: il leit motiv della prima parte dello spettacolo arriva come un invito allo spettatore – ogni singolo spettatore, non l’entità collettiva più indefinitamente definita “pubblico” – a salire su quel tappeto che, come nelle Mille e una notte, può magicamente condurre attraverso un percorso fatto di non-tempo e di non-spazio, un sollevarsi da terra per attraversarne molte di terre, lontane dal terreno della drammaturgia tradizionale e abitate da un’azione, uno stato d’animo, ma soprattutto un suono.

Se il significante rimane invariato, ci sono tantissimi significati che lo abitano con figure composte di vocalità e gesto, tra ricordo e scoperta nel qui ed ora del momento scenico, sia per l’attrice che per lo spettatore, uniti nel vivere un’esperienza metateatrale che, pur nella citazione, non è mai uguale a se stessa e assume certamente un significato diverso in relazione alle conoscenze e alle esperienze di ciascuno, spaziando da un ri-conoscere i capisaldi della ricerca teatrale contemporanea alla visione inedita dell’esercizio scenico.

La seconda parte dello spettacolo presenta attraverso brevi passaggi alcuni tra i lavori più importanti dell’Odin Teatret dagli anni Sessanta ad oggi – da Il Milione e Le ceneri di Brecht a Talabot, Mythos e Il Sogno di Andersen, per citarne solo alcuni – che rivivono nei personaggi di Julia Varley.

Il rapporto tra interprete e personaggio emerge nella ricerca scenica come elemento preponderante mentre il corpo e la voce riescono a mostrare l’invisibile, perché non è la descrizione ma l’astrazione a costruire l’azione.

Non è l’interprete ad essere asservito al testo ma quest’ultimo nasce dal gruppo di lavoro come creatura viva, una creatura che cresce preda del cambiamento – di natura linguistica, spaziale, temporale – e viene abitata dal corpo dell’attore, trascendendo i confini della recitazione a vantaggio di un’arte totale.

Nell’Odin c’è musica, danza, esercizio vocale e ricerca antropologica, incontro di lingue e culture, una babele creativa che ogni attore del gruppo porta con sé e che nella dimostrazione del metodo di lavoro passa allo spettatore come un segreto svelato, accendendo il desiderio di vedere nella loro compiutezza quegli spettacoli appena accennati, quasi pregustando ciò che potrebbero essere.

Julia Varley è immagine viva del lavoro sul corpo, sulla voce, sulla lingua, sul suono, un lavoro che indubbiamente attraversa tutta la sua esistenza, che richiede un impegno duro e mai interrotto, aperto alla relazione con lo spettatore.

Lei, che quasi per caso è finita a fare l’attrice, non smette di portare nel mondo una scelta e quella carica di cambiamento della drammaturgia contemporanea che l’Odin Teatret ha creato, illuminando l’interpretazione della realtà, degli eventi anche più bui e violenti, di una scomposta meraviglia estetica.

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La Sicilia non solo terra d'origine ma luogo dell'anima, culla del teatro e fonte di ispirazione dove nasce l'amore per la scrittura. Dopo una laurea in Comunicazione e una specializzazione in Discipline dello spettacolo, scelgo di diventare giornalista e continuare ad appassionarmi alla realtà e ai suoi riflessi teatrali e cinematografici.

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