Festival della letteratura di viaggio #6. Stefano Malatesta chiude la settima edizione del Festival

Stefano Malatesta e Alessandro Scillitani. © Simona Fossi
Stefano Malatesta e Alessandro Scillitani. © Simona Fossi
Stefano Malatesta e Alessandro Scillitani. © Simona Fossi

È Stefano Malatesta a chiudere la settima edizione del Festival della letteratura di viaggio: artista, scrittore, giornalista (di Repubblica), nonché presidente onorario della manifestazione, nella conversazione con il collega Omero Ciai regala al pubblico il racconto di esperienze vissute in uno dei luoghi più amati tra quelli toccati nei suoi innumerevoli viaggi: l’America Latina. Ha 74 anni, Malatesta (è nato a Roma nel 1940), ma gli evidenti limiti di un fisico ormai anziano non arginano affatto l’energia e la vitalità che scaturiscono dal suo racconto. Il pubblico ascolta il romanzo parlato di una vita in viaggio a metà tra nostalgia, ironia e testimonianza. E ci si accorge presto di quanto i viaggi sudamericani di Malatesta abbiano toccato alcuni tra gli eventi storici e tra i personaggi più rilevanti (scrittori, politici, imprenditori) del Novecento.

Si parte (quale verbo più appropriato in un festival che tratta di viaggio?) con il golpe di Pinochet e i funerali di Pablo Neruda, tenutisi in quella casa del poeta così “tarzanesca” perché scavata tra le rocce. Funerali in cui Malatesta nota spiccare, tra la folla di giovani presenti, un giovane oratore dalla barba scura, che reincontrerà anni dopo scoprendolo essere lo scrittore cileno Francisco Coloane.

E dalla citazione di Terra del fuoco di Coloane è facile il passaggio narrativo a quel paesaggio all’estremo sud del continente: la “tierra de fuego”, appunto, quella “terra dolce” col sole debole e con gli alberi modellati dalla forza furiosa del vento, e Capo Horn, con quello scontro tra Atlantico e Pacifico fonte di morte per spericolati avventurieri e di leggende demoniache.

Si parla poi di scrittori e letteratura: Malatesta esprime la propria predilezione per Neruda, Coloane, Mutis, mentre non nasconde di non avere particolarmente amato Cent’anni di solitudine di García Márquez; cita infine Chatwin e Vargas Llosa. Esprime la difficoltà nello scrivere di viaggi, la complessità nel mantenersi al di fuori di luoghi comuni e noiose minuzie, quando si dovrebbe invece fornire un prodotto palpitante, dalla struttura narrativa accattivante e viva.

Il racconto prosegue tra aneddoti curiosi e incontri con personalità da romanzo: l’imprenditore Luciano Benetton e la sua tenuta in Patagonia, dove si sarebbe rifugiato persino Butch Cassidy; la pittrice messicana Frida Kahlo; il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, a cui Malatesta impone la propria visione di un reportage che esuli dalla mera descrizione politica (e partitica) del luogo meta di viaggio. Malatesta, parlando della propria attitudine all’esplorazione e alla scoperta, si definisce un “bibliotecario in trasferta”, e lo si immagina in partenza con la valigia piena di libri, strumenti fondamentali per uno studio senza il quale il viaggio diventa un’esperienza sterile.

Il Cile è la terra più amata, il luogo del cuore eletto nel profondo rapporto con l’America Latina. Ce ne sono altri, ovviamente: la Bolivia; l’Argentina con le sue spiagge incorniciate da ossa di balena. Ma la varietà del territorio cileno rapisce l’anima: si va dal caldo arido del deserto di Atacama al gelo della Terra del fuoco, passando per le Ande e l’arcipelago di Chiloé.

Malatesta saluta quando è però chiaro che il racconto potrebbe continuare all’infinito. La serata si chiude con Blues highway di Giuliano Malatesta, figlio di Stefano, letto dall’attore Giuseppe Alagna, accompagnato musicalmente da Claudio Falco. È il racconto di un viaggio nel delta del Mississippi, patria del jazz e del blues, attraversando luoghi-simbolo della storia del genere come Clarksdale o New Orleans, e citando nomi del firmamento musicale del calibro di Robert Johnson e Louis Armstrong. È il ritratto di un’area segnata dalla guerra di secessione e dalla lotta per l’emancipazione dei neri d’America, e quindi di una musica che nasce da una sofferenza al contempo intima e sociale. È la storia di luoghi visti attraverso le note che hanno generato, i ritmi che vi sono nati.

Su Palazzetto Mattei si spengono le luci, e Villa Celimontana si appresta a mettere da parte il ruolo di cornice di un festival per viaggiatori e lettori (in fondo, non sono categorie molto simili?). La manifestazione si dà appuntamento al 2015, come quando ricomincia settembre, e già si programmano i viaggi per la prossima estate.

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Lorenzo Moltedo nasce a Roma nel 1991. Laureato (triennale) in Lettere Moderne presso “Sapienza” Università di Roma con una tesi sull’Orlando Furioso, è davvero curioso di conoscere cosa gli riserva il futuro. Non saprebbe immaginare una vita senza libri (e lo scrive con il rischio di sembrare retorico). Tra gli altri suoi interessi: viaggi, corsa, cinema e, in generale, ogni forma di manifestazione artistica. Quella con artapartofcult(ure) è la sua prima esperienza “ufficiale” di scrittura.

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