Letterature Festival #13. Ovidio 2000 anni dopo: il poeta della rivoluzione

Mariangela Gualtieri

Settimo appuntamento nella cornice della Basilica di Massenzio per il Festival Internazionale delle Letterature di Roma. Titolo della serata: Ritorno dall’esilio: Ovidio 2000 anni dopo.

Non è da escludere che, richiamato dalle melodie struggenti della fisarmonica di Ivano Battiston, il poeta latino si sia effettivamente mosso dal suo esilio sul Mar Nero, dove lo aveva relegato ormai un paio di millenni or sono l’autorità imperiale del divo Augusto. Da protagonista assoluto a spettatore incuriosito, forse lo si sarebbe potuto intravedere seduto su una sedia delle ultime file, stupito di quanto, nella continua metamorfosi del mondo, poco sia effettivamente cambiato.

Le Metamorfosi, per l’appunto; quel catalogo così multicolore di storie di trasformazione e mutamento in cui capelli germogliano in rami d’alloro, corpi si consumano fino a ridursi a una voce d’eco, dita da tessitrice si ispessiscono in zampe di ragno. Racconti di amori, gelosie, ambizioni che coinvolgono assieme uomini e dèi.

La voce dell’attrice Anna Bonaiuto e il commento del filologo Francesco Ursini danno vita dapprima all’incessante fuga di Dafne dalla passione inappagabile del dio Apollo, poi alla disperazione della giovane Ifi per non poter sposare l’adorata Iante, e infine all’amore di Pigmalione per quella donna tanto perfetta da poter essere solo ricavata dal marmo con le sue abili mani di scultore. Amori impossibili, più che proibiti, narrando i quali Ovidio introduce, a tutti gli effetti, l’idea di «amore» caratteristica dell’Occidente moderno.

La sensiblità ovidiana delle Metamorfosi, tuttavia, si espande fino ad anticipare (anche qui) un nuovo modo di sentire (nuovo rispetto alla classicità latina, certo): «simpatico» nell’accezione etimologica del termine, improntato a una comunione emotiva di tutti gli esseri viventi, come testimoniato dall’accorato appello al vegetarianesimo, che Pitagora pronuncia e che Ovidio riporta nell’ultimo libro delle sue Metamorfosi. Passando attraverso la leggerezza calviniana e la società liquida di Zygmunt Bauman, Francesco Ursini identifica nell’indistinzione dei confini (ancora Italo Calvino) un’efficace chiave di lettura per le Metamorfosi, dove si rompono le linee di demarcazione e separazione tra esseri diversi, e si manifesta la contiguità tra regno animale e regno vegetale, uomini e donne, giovinezza e vecchiaia.

Dalla concezione delle Metamorfosi come opera della realtà fluida e indefinibile riparte Nicola Gardini, scrittore e docente di letteratura italiana a Oxford, anticipato dalla voce tagliente e sussurrata con cui la poetessa Mariangela Gualtieri racconta le storie ovidiane di Fetonte e Medea.

L’inedito di Nicola Gardini, Tutta colpa delle Metamorfosi, è una lettera aperta al poeta latino, ma anche una riflessione sulle potenzialità inesauribili e nascoste delle parole, e sul triste destino che attende chi le utilizza per attentare all’ordine costituito. Augusto può, a tutti gli effetti, essere considerato uno dei più attenti lettori di Ovidio di tutti i tempi se, comprendendo la carica eversiva nascosta nel suo abolire ogni confine, ogni ordine, ogni struttura tra le cose, lo ha condannato all’esilio a Tomi, nella Scizia, in quell’estremo limitare di mondo in cui l’assenza di altri confini da superare non avrebbe potuto stimolare la carica creativa e dissidente della scrittura. L’arte di Ovidio è rivoluzionaria nel senso etimologico del termine; «re + volvo»: riavvolge, torna indietro nel tempo e nello spazio, abolisce conformismi, convenzioni, contorni. E, se Nicola Gardini puntualizza come anche il latino volumen (il nostro «libro») nasce dalla stessa radice, allora appare chiaro come la letteratura sia dotata di una carica davvero rivoluzionaria, e come anche i passaggi e i mutamenti tra le parole siano sottoposti a un incessante e invisibile flusso metamorfico. Proprio le parole, in virtù di una sorprendente polisemia, costituiscono il primo nucleo  e l’esempio perfetto di come la realtà si presti a essere letta in un’ottica di indistinzione e ineffabilità.

Ovidio usa così la parola per raccontare ciò che nel reale è contrario all’ordine e alla regola, in un procedimento ironico che riavvolge (ancora) il tempo e lo spazio, fa tornare giovane l’anziano Esone, rende Mirra madre del proprio nipote, muta il sesso della giovane Ifi, condanna Euridice a morire due volte. Riporta il mondo in una situazione di caos, e rivela storie nascoste valorizzando il senso riposto delle parole.

C’è un che di metamorfico anche nel sentir parlare di Ovidio oggi, nel renderlo protagonista di racconti, poesie, canzoni e testi di altri, in un continuo processo di riscrittura che lo accomuna a migliaia di altri classici, e che fa compiere ad autori moderni un’operazione di appropriazione che lo stesso Ovidio aveva attuato con le proprie fonti.

Forse è una considerazione banale, ma è proprio in serate come questa che si rende evidente la necessità di leggere i classici. Perché sorge il dubbio che, nella continua metamorfosi della storia umana, siano stati i soli capaci di individuare e raccontare ciò che resta immutabile.

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Lorenzo Moltedo nasce a Roma nel 1991. Laureato (triennale) in Lettere Moderne presso “Sapienza” Università di Roma con una tesi sull’Orlando Furioso, è davvero curioso di conoscere cosa gli riserva il futuro. Non saprebbe immaginare una vita senza libri (e lo scrive con il rischio di sembrare retorico). Tra gli altri suoi interessi: viaggi, corsa, cinema e, in generale, ogni forma di manifestazione artistica. Quella con artapartofcult(ure) è la sua prima esperienza “ufficiale” di scrittura.

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