Monte Carlo o il doppio dubbio dell’alterità

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Una nuvola di fuoco (anzi, di fuoco «che non è ancora fuoco»).
L’incandescenza, l’evidenza del colore, la consistenza aerea e insieme spessa di una fumosità magmatica e in esplosiva lievitazione sono gli agenti che avvolgono una figura umana. Tutto, nel primo brevissimo capitolo, rimane indistinto perché violentemente sfatto. Girando pagina, il protagonista, identificato da un nome e un cognome, emergerà con una nettezza altrettanto violenta dalla nuvola di fumo che pure resta sullo sfondo.

Si apre così Monte Carlo, l’ultimo romanzo dello scrittore belga Peter Terrin, recentemente pubblicato in Italia da Iperborea. È la storia di Jack Preston, meccanico della casa automobilistica Lotus, alle prese con gli ultimi preparativi del Grand Prix di Monte Carlo del maggio 1968. Il fuoco, che così improvvisamente ha incendiato le prime parole del romanzo, con altrettanta forza dilaga in pista, spingendo Jack Preston contro la diva francese del momento, Deedee, rivestendolo del ruolo di scudo umano nel corso di un’indimenticabile coincidenza. L’attrice è salva, e intatta nella sua aura di celebrità e bellezza, mentre Jack riporta gravi ustioni, ed è costretto a tornare in fretta ad Aldstead, Inghilterra. Lì lo aspettano la moglie, Maureen, e Ronny, un ragazzo affascinato dal mestiere di Jack e dalla sua officina. Quello che dovrebbe essere l’inizio di una nuova vita sotto gli stessi riflettori che illuminano la carriera di Deedee, si rivela invece la brusca fine della vita precedente, con il licenziamento da parte di un’azienda che vuole rinnovare la propria immagine, togliendo perciò a Jack quel lavoro che è abituato a esercitare con passione fin da bambino. Non tutto sembra perduto: se il passaggio dalla dorata mondanità di Monte Carlo alla strettezza provinciale di un paesino inglese lascia segni che bruciano come ustioni, d’altra parte Jack si culla nell’illusione che il proprio atto eroico venga riconosciuto e degnamente celebrato anche al di fuori delle porte di Aldstead. All’inizio tutti ci credono, persino il lettore: credono in un’ideale medaglia al valore, e nel ringraziamento che dalla stessa Deedee arriverà con qualsiasi mezzo, magari dichiarato pubblicamente in un’intervista televisiva.

Proseguendo nella lettura, tuttavia, ci si accorge che Jack sbaglia, e così il lettore nel seguirlo. Il protagonista del romanzo è un narratore inaffidabile, la cui visione della realtà è distorta da un disperato desiderio di emergere, da un’ansia di notorietà disinnescata da una nuvola di fuoco. Appare sempre più evidente che l’interesse di Deedee per Jack è nullo, nonostante i suoi tentativi di giustificare ossessivamente la disattenzione della diva. L’ormai ex meccanico della Lotus vede quello che vuole vedere, e carica i gesti, le dichiarazioni, i comportamenti più banali di Deedee di un significato che in realtà non hanno. Tutto fino a trasformarsi in una sorta di stalker ante litteram, pretendendo insistentemente di essere ricevuto dall’attrice sul set della serie televisiva Agente speciale.

Il lettore si accorge presto di ciò che Jack, volontariamente o (molto più probabilmente) no, si ostina disperatamente a ignorare. E cioè che la celebrità è per pochi, e che non basta la violenza di una nuvola di fuoco a coprire certe distanze socialmente incolmabili. Tuttavia, un secondo dubbio si insinua sottilmente nella percezione del lettore, più terribile, che getta una luce più disperata sul modo di vedere e compatire Jack Preston. Al termine del romanzo, in fondo, non si può non prendere in considerazione l’ipotesi che tutto (o quasi) sia stato falso, e che come Jack ci ha ingannato sulla presunta riconoscenza di Deedee nei suoi confronti, avrebbe potuto farlo anche su tutto il resto, o semplicemente su quello che avrebbe dato origine a tutto il resto: il salvataggio della diva francese. Dubitando anche di quello, l’unica cosa reale sembra quella nuvola di fuoco con cui il romanzo si apre.

Terrin è capace di narrare una storia di alienazione disperata e compassionevole, e lo fa permettendo al lettore di acquisire una graduale distanza critica dallo sguardo ossessivo del protagonista, nel progressivo svelamento della sua prospettiva fittizia. Come lui, vorremmo che fosse vero, ma sappiamo che non lo è, anche se questa consapevolezza apre forse la porta a un ultimo dubbio: se il nostro sentirci fortunatamente diversi da Jack non nasconda invece, per certi versi, un’inconfessabile affinità.

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Lorenzo Moltedo nasce a Roma nel 1991. Laureato (triennale) in Lettere Moderne presso “Sapienza” Università di Roma con una tesi sull’Orlando Furioso, è davvero curioso di conoscere cosa gli riserva il futuro. Non saprebbe immaginare una vita senza libri (e lo scrive con il rischio di sembrare retorico). Tra gli altri suoi interessi: viaggi, corsa, cinema e, in generale, ogni forma di manifestazione artistica. Quella con artapartofcult(ure) è la sua prima esperienza “ufficiale” di scrittura.

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