A testa in giù. Elena Mearini narra la medicina dei rapporti umani

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Gioele e Maria sono i due membri di una coppia inusuale, protagonisti di un’altrettanto insolita esperienza on the road nel nuovo romanzo di Elena Mearini, A testa in giù (Morellini Editore). Lui è un ragazzo la cui capacità di comunicare è impossibilitata da una forte forma di autismo; lei è un’anziana signora, particolarmente devota a Gesù Cristo e alla Madonna. Le loro vite si incrociano quando Gioele la investe inavvertitamente con un’automobile, un Maggiolone giallo ribattezzato “Domingo”. Solo che le vite di Maria e Gioele erano intrecciate anche prima di incontrarsi, e nessuno dei due lo sapeva. Lo scopriranno in uno di quegli incontri strani che vanno sotto il nome di “coincidenza” ma che spesso sembrano orchestrati da qualcosa di più grande e misterioso.

Il viaggio dei due è un continuo gioco di improvvisazioni e sorprese. Si parte con l’intenzione di portare Maria al pronto soccorso, se non altro per accertarsi che l’incidente non le abbia provocato danni. Tuttavia, il racconto dell’anziana signora, che mescola a originalissime preghiere ricordi della propria infanzia e giovinezza, suscita in Gioele la curiosità di ripercorrerne i luoghi. L’avventura dei due prosegue quindi lungo una serie di deviazioni e inversioni, il cui ritmo è dettato dal motore cantante di Domingo e le cui direzioni sono estemporaneamente stabilite dalla sintonia tra i viaggiatori. Il racconto di Maria è solo apparentemente una bella storia narrata a un ragazzo che non può risponderle: la costruzione a due voci del romanzo trasforma il monologo in un dialogo avvincente tra il pensiero di Gioele e quello di Maria, capaci quasi di comunicare tramite un segreto codice non verbale, fatto di gesti e inversioni di marcia. E al passato della donna si affianca puntualmente quello del ragazzo, in un’alternanza di ricordi infantili e vissuto presente.

La realtà circostante è filtrata dagli occhi e dalle percezioni di questa strana coppia, e tutti gli elementi che sembrerebbero rientrare nell’ambito di una quotidiana banalità acquistano nuova vita (e vitalità) tramite continui rivestimenti metaforici e, soprattutto, grazie alla capacità dei protagonisti (e dell’autrice) di giocare con le parole. Quindi il bagnoschiuma al pino silvestre con cui l’infermiera strofina la schiena di Gioele diventa “il sangue degli alberi”, il seno di Maria sono “due nuvole di carne rosa”, e la lampada sulla scrivania è un “tuorlo di vetro”. Sì, perché la voglia di vita, di rumore, di movimento di Gioele si traduce in una propensione entusiasta per il colore giallo: giallo come il Maggiolone che ruba e che si ritrova a guidare, come il sole e come i tuorli delle uova di cui è ghiotto e che sono una tale fonte di energia da poter alimentare persino il motore di Domingo. La capacità di modellare il corpo duttile delle parole consente di leggere il mondo secondo una descrittività fantasiosa, in cui qualsiasi cosa può trovare una corrispondenza con qualsiasi altra, in una giostra di similitudini che dona nuovo senso a nomi ormai svuotati nella loro sostanza.

Allo stesso modo Maria recita preghiere che nascono da una spontaneità contadina, ma che implicitamente vedono ovunque la presenza del divino: Gesù Cristo non è “solo Gesù Cristo”, ma si adatta alle molteplici situazioni del vissuto quotidiano e diventa “Signore dei Poveretti”, “Buon Gesù dell’Acqua e Farina”, “Caro Gesù delle Spine”, così come la Madonna è contemporaneamente “Santa Madre degli Smemorati”, “Santa Vergine dei Cuori Infranti”, “Madre Immensa dei Sacramenti”…

Quello di Gioele e Maria è un incontro tra due vite segnate dai traumi passati, il cui superamento è possibile solo nel contatto con l’altro, e soprattutto nell’attingere alle riserve energetiche di due potenti mezzi di salvezza: la narrazione e l’amore. La prima è la capacità di raccontare la propria storia, di ripercorrerla tramite la distanza del ricordo e la lettura fantastica dell’immaginazione; il secondo è uno strumento palpabile di attenzione all’altro, che in questo caso non si perde ad altezze retoriche ma si concretizza in una serie di gesti, profumi e sapori (l’amore sotto forma di un panino al salame, per esempio).

A testa in giù racconta una storia al contempo tenera e decisa, dolce e drammatica, ed esplora le infinite capacità curative offerte dalla medicina dei rapporti umani.

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Lorenzo Moltedo nasce a Roma nel 1991. Laureato (triennale) in Lettere Moderne presso “Sapienza” Università di Roma con una tesi sull’Orlando Furioso, è davvero curioso di conoscere cosa gli riserva il futuro. Non saprebbe immaginare una vita senza libri (e lo scrive con il rischio di sembrare retorico). Tra gli altri suoi interessi: viaggi, corsa, cinema e, in generale, ogni forma di manifestazione artistica. Quella con artapartofcult(ure) è la sua prima esperienza “ufficiale” di scrittura.

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