Libri Come #16. Generazione anni ’80. Zerocalcare, Tommaso Giagni e Eleonora Caruso ci raccontano i trentenni di oggi.

Lo confesso, ho molto invidiato Loredana Lipperini quando è salita sul palco della Sala Petrassi all’Auditorium con Zerocalcare, Tommaso Giagni e Eleonora Caruso. Lei ha avuto con loro quel dialogo che quotidianamente ho con i miei figli, anch’essi generazione ’80, senza riuscire a capire fino in fondo cosa li turba, cosa li fa sentire così alieni. A Libri Come, grazie a questa straordinaria conversazione, ho capito di più, e voglio cominciare a raccontare l’incontro dalla fine, da una considerazione fatta da Eleonora Caruso (che ho molto apprezzato in Comunque vada non importa, suo romanzo d’esordio), e ripresa dagli altri suoi colleghi, che è l’estrema sintesi di tutto: “Noi degli anni ’80 evitiamo i conflitti, soprattutto quel genere tipico delle generazioni precedenti. Non ci riconosciamo nei bisogni dei trentenni dei film di Muccino (quelli che avevano trent’anni quando noi siamo nati o poco oltre), quindi non sentiamo la necessità di scontrarci su fronti che riteniamo inutili.

Non è un caso se proprio loro, i trentenni di oggi, sono coloro che rifuggono l’utilizzo quotidiano dei social: li ritengono il surrogato di tutti i conflitti odierni. “C’è un’aggressività costante, e se il mondo reale fosse così sarebbe davvero un posto orrendo.” dice Zerocalcare. Sui social ci sono i conflitti privati, quelli che si manifestano verso i singoli individui, noti o meno noti non importa, che di colpo si trasformano in personaggi che meritano le prime pagine della cronaca, mettendo così in secondo piano quei fatti che davvero avrebbero bisogno di essere messi in luce. La gente va sui social e si tuffa nei micro-conflitti, perché i macro-conflitti fanno paura.

Riprendo un attimo fiato dalla narrazione perché, lo ammetto, sia l’evento che il suo ricordo mi lasciano in apnea. Le parole di questi tre giovani, che sono miei, nostri figli, figli di quella generazione degli anni ’60 cresciuta nel boom economico e che aveva già tutta la vita standardizzata, scuola-diploma-laurea-lavoro-famiglia, le loro parole mi fanno sentire forte la nostra inadeguatezza, ora che per loro quegli obbiettivi sono solo parole insignificanti, ora che la crisi economica e sociale ha insegnato loro ciò che noi non siamo stati in grado di fare: la sopravvivenza. Che però non è la vita, almeno non come noi la intendiamo. Loro sicuramente troveranno una modalità più adatta alle loro esigenze, però io vorrei tanto abbracciarli tutti.

Tornando al resoconto dell’incontro, una domanda emerge tra le altre: ma allora i trentenni della generazione ’80 fuggono e basta? Non è forse vero che i conflitti, che siano individuali o generazionali, sono inevitabili? Perché proprio loro, più di chiunque altro, si rifugiano spesso nelle cosiddette “operazioni nostalgia”? Si riconoscono in oggetti cult (il Nintendo piuttosto che il Game Boy o le videocassette), nelle trasmissioni televisive (Non è la RAI o Bim Bum Bam), nei Manga o negli Anime, nei cartoons pieni di violenza di provenienza giapponese (come non citare i mitici Cavalieri dello Zodiaco?), nelle loro sigle. Ma questo riconoscersi crea appartenenza, fratellanza, identificazione? Pare di no. Si tratta solo di un’emozione legata al momento, “Come incontrare il tizio di Rebibbia in un igloo in Antartide”, dice Zerocalcare. “Va bene, ti senti a casa, ma si tratta di un sentimento dopante, non è un bene, perché quel tizio di Rebibbia magari sui social inneggia a Salvini…

Tutto questo ci avvicina solo in apparenza” dice Giagni, “perché ci mancano quei riferimenti storici che la generazione precedente e quella successiva hanno avuto (niente fatti politici o sociali eclatanti, né religiosi. Forse giusto la caduta del Muro di Berlino)”.

Loro non si compattano intorno a nulla se non a un passato comune, la loro infanzia. Sono una generazione di passaggio, l’ultima ad essere stata senza internet, la prima ad aver imparato nuovi modi di comunicare. Gravitano intorno a loro stessi perché non possono appoggiarsi né su chi è più vecchio né su chi è più giovane, non sarebbero capiti.

Molto ancora ci sarebbe da dire sul racconto di una generazione fatto da tre autori, artisti, giovani talentuosi come Zerocalcare, Tommaso Giagni e Eleonora Caruso, ma più che dire, forse, potremmo cominciare ad ascoltare.

 

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Cetta De Luca, scrittrice, editor e blogger vive a Roma. Ha al suo attivo sei pubblicazioni tra romanzi e raccolte poetiche. Lavora nel campo dell'editing come free lance per la narrativa e collabora alla revisione di pubblicazioni di didattica nell'ambito letterario. Cura un blog personale http://www.cettadeluca.wordpress.com e spesso è ospite dei blog Inoltre e Svolgimento.
Nel poco tempo libero che le rimane tra lavoro e figli si impegna nell'organizzazione di eventi per il mondo letterario e, nello specifico, per gli scrittori.

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