Letterature Festival #6. Alberto Rollo racconta Un’educazione milanese.

Non andavo al Pigneto da anni e riscoprire questo quartiere in occasione di un evento per Letterature Festival è stato strano e interessante.
Dice bene Veronica Raimo, che cura l’incontro con Alberto Rollo, finalista al Premio Strega 2017, quando afferma che raccontare proprio qui un libro come Un’educazione milanese (ed. Manni) ha un che di simbolico.
In una Roma che volge al degrado il Pigneto, ex borgata di pasoliniana memoria, politicizzato, scenario di quella cinematografia verista che ci faceva discutere e riflettere (Accattone ne è un esempio) è stato “recuperato” da quel mondo intellettuale e artistico di nuova generazione che quei tempi là non li ha vissuti e che ha scelto questo quartiere per motivi prettamente economici.
Oggi questi abitanti e animatori delle vie e dei locali devono fare i conti con una nostalgia storica che, in qualche modo, è anche disturbante. Perché un tempo tutta Roma era così, al contrario di Milano che è sempre stata considerata brutta e che oggi ha acquisito un fascino, una sorta di bellezza interiore che la rendono vivibile.

(La tizia seduta al mio fianco è un’entusiasta milanese che ci tiene moltissimo a far sapere a Rollo che lei sa, lei conosce ciò di cui lui ci racconta. Sono entrambi di Milano, quindi sono quanto meno parenti acquisiti.)

In ogni caso si parla di nostalgia, dice la Raimo. Secondo Rollo si tratta invece di memoria, che comprende tutto, il bello e il brutto. E la sua memoria è Milano, città cui appartiene e che, nel tempo, è diventata la sua ossessione. Quella città lo ha educato, gli ha dato delle cose? Venti anni di questo tipo di domande ossessive hanno, alla fine, generato il romanzo di esordio di Alberto Rollo, un romanzo che è una doppia biografia, la sua e quella di Milano, che si mescolano, si intersecano, alimentandosi a vicenda e diventando specchi l’una per l’altra.

Milano operaia, vissuta attraverso gli insegnamenti del padre, metalmeccanico e comunista, che la domenica lo portava in giro a visitare i SUOI monumenti: le fabbriche. Chiuse. Fabbriche come sostanza del presente perché lì c’era il lavoro e sostanza del futuro perché quel lavoro era la base delle future trasformazioni sociali. Padre che trasmetteva al figlio la fortissima identità della classe operaia che, per paradosso, non soffriva di quella “invidia di classe” tipica della borghesia. Borghesia ancora sconosciuta e che sfiorava appena le coscienze sociali e politiche dell’epoca quando proprio lui, quel padre comunista moralista, partecipò al funerale di Feltrinelli, comunista libertino, riconoscendo nell’uomo un ribelle e stabilendo, in quel momento, un nesso tra la Milano proletaria e la Milano borghese.

Milano architettonica, con le sue trasformazioni visive, con gli edifici brutti degli anni sessanta, e i quartieri degradati e spogli, le ferrovie, con i palazzoni tutti uguali e la sensazione di vuoto, di assenza, che subito si trasformava in vitalità quando quei luoghi assumevano le sembianze di chi li abitava. Una struttura architettonica che poi diventava poesia quando, per caso, ti imbattevi in Visconti che in quelle strade, tra quelle case, stava girando un film e tutto assumeva una prospettiva diversa. Prospettive e cambiamenti da cogliere passeggiando a testa in su perché “la città ti educa quando la cammini” [cit.]

(La tizia seduta accanto a me ride tutto il tempo dell’incontro e commenta ogni frase ad alta voce, lanciando a Rollo inquietanti sorrisi.)

Il racconto di Rollo si ferma alla fine degli anni ’70, dopo aver attraversato anche la Milano dei morti, delle stragi, di quell’educazione cruda dovuta alla conta dei cadaveri e dei sopravvissuti, una narrazione in ogni caso ricca di luce e luci che delineano, sottolineano i contorni dei palazzi nuovi e della vita dello stesso autore che si relaziona alla vita della città e con lei cresce, si trasforma.

Vincerà Alberto Rollo il Premio Strega 2017? Non so fare pronostici e sto ancora terminando le letture della “magnifica cinquina” (e poi diciamolo, la mia sfera magica è davvero poco attendibile, non ho mai indovinato), però questo libro “strano” ha qualcosa di intrigante, che quasi mi ha fatto venir voglia di farmi un giro a Milano e di rivalutarla.
Con il Pigneto nel cuore.

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Cetta De Luca, scrittrice, editor e blogger vive a Roma. Ha al suo attivo sei pubblicazioni tra romanzi e raccolte poetiche. Lavora nel campo dell'editing come free lance per la narrativa e collabora alla revisione di pubblicazioni di didattica nell'ambito letterario. Cura un blog personale http://www.cettadeluca.wordpress.com e spesso è ospite dei blog Inoltre e Svolgimento.
Nel poco tempo libero che le rimane tra lavoro e figli si impegna nell'organizzazione di eventi per il mondo letterario e, nello specifico, per gli scrittori.

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