Fuoco e parole. Václav Havel, Cinque discorsi all’Europa.

imagesInarcare la bocca. Posso tacere. Ma è preferibile il dire.” ( Josif Brodskij)

E il dire in tutte le sue forme, la parola, scritta, orale, ha accompagnato, flusso parallelo, l’esistenza di Václav Havel, poeta, drammaturgo, attivista dei diritti umani, combattente  per lo spirito dell’uomo e per  le sue inesauribili risorse.
È il 1977, quando Havel , insieme ad altri, tra i quali il filosofo Jan Patočka, redige il testo di Charta ’77. In esso, si rivendicano i principi stabiliti dai Patti Internazionali di Helsinki del 1975, sui diritti civili e politici, ed economici, sociali e culturali. Principi accolti nella Costituzione cecoslovacca, ma, secondo quanto evidenziato in Charta ’77, validi solo in teoria, e non effettivi. Documento contenente dunque  una lucida e appassionata difesa dei diritti fondanti della democrazia: la libertà di espressione, in ogni forma, compresa quella artistica, la “libertà dalla paura”, nell’esercizio delle proprie attività, la libertà di opinione e religione, la libertà di associazione, la libertà di comunicazione, di circolazione, di persone e idee, la libertà di partecipazione al “governo del popolo”.
L’occasione è offerta dalla persecuzione di un gruppo di giovani musicisti, ma la portata del documento è ben più ampia, i contenuti della Charta costano ad Havel  il carcere e l’isolamento. Risalgono a questo periodo le Lettere ad Olga, che  il dissidente Havel  scrive alla moglie, a testimonianza di un’esperienza umana profonda e dolorosa.
Dodici anni dopo, in Cecoslovacchia, nel 1989, ci sarà la cosiddetta “ Rivoluzione di velluto”, rivoluzione non violenta che vedrà Havel protagonista principale. Sarà eletto ultimo Presidente della Repubblica di Cecoslovacchia e Primo Presidente della Repubblica Democratica Ceca, uscita dal blocco sovietico, nel 1993.

Nel  recente, importante evento tenutosi  presso l’Istituto Italiano di Cultura a Praga, con il supporto di Šafra e Partneři, è stato presentato  il libro “Cinque discorsi di Havel all’Europa”, edito da  Euno edizioni, casa editrice di Enna. Compresi nel periodo 1995/1997,  e tenuti presso istituzioni e luoghi di varie città, i discorsi presidenziali sono stati tradotti  e  portati a conoscenza del pubblico italiano da Růžena Hálová, traduttrice e interprete, co-fondatrice e presidente della Società Filosofica Europea di Ricerca e Alti Studi.
Due di essi, quelli pronunciati a Dublino e Varsavia, sono apparsi in versione parziale nel ’96, sulla rivista Crocevia (Esi, Napoli), di Corrado Ocone, e sulle pagine de La Repubblica. Il filo conduttore di questi discorsi è appunto l’Europa, la riflessione sulle radici dei popoli che la costituiscono, sulle tradizioni e sull’essenza delle diverse nazioni, sulla possibilità di un sentire e di un futuro comune al di là delle differenze linguistiche, culturali e storiche. Insieme alla traduttrice e curatrice del libro, la cui prefazione è affidata all’Ambasciatore della Repubblica Ceca a Roma, Petr Buriánek, erano presenti numerosi ospiti: Lucio Saviani, filosofo e saggista, docente presso l’Università La Sapienza di Roma, Jan Macháček, giornalista e presidente del board della Biblioteca di Václav Havel, Gabriele Nissim, fondatore e presidente di Gariwo, in collegamento da Milano, Josef Kašpar,giornalista ceco (in collegamento da Roma). Quest’ultimo ha accompagnato spesso Vàclav Havel nei suoi viaggi in Italia. Andreas Pieralli, consulente, traduttore, giornalista free-lance è stato il moderatore dell’evento.
Nel corso dell’incontro, è stato proiettato anche un documentario italiano sulla dissidenza cecoslovacca ed è arrivato da Milano il saluto di Ivan Havel in occasione della dichiarazione di Václav Havel a Giusto nel Giardino dei Giusti sul Monte Stella a Milano.
Hálová, originaria di Praga, spiegando  il senso della sua opera, sottolinea come le riflessioni di Havel siano particolarmente significative in un momento in cui ci si interroga sul senso dell’Europa unita, e come il tema delle radici, dell’identità di Europa, affrontato  nei  Discorsi, risulti attualissimo. Riflessioni che negli anni ’90 erano più rivolte al concetto di “integrazione” tra popoli, di unificazione dell’Europa moderna, concepita  nel suo ruolo centrale per la storia della cultura occidentale. Růžena Hálová  ha attribuito un titolo a ciascuno dei Discorsi, pronunciati a Wellington (Nuova Zelanda), Dublino,  Aquisgrana,Varsavia, Praga, tenendo conto dell’esperienza di Havel come drammaturgo e come dissidente, che nella sua attività di presidente, affidò ai discorsi ”un compito fondamentale per la comunicazione con i cittadini cechi ed europei”.
Scrive Petr Buriánek nell’introduzione al libro: “Havel si distinse per le sue ampie vedute e per la sua capacità di farle valere… Per questo esse superarono il ristretto,spesso autoreferenziale e limitato spazio della politica ceca e furono riconosciute a livello politico e mondiale”. Nell’ultimo discorso, quello tenuto all’Accademia delle Belle Arti di Praga, Havel  parla proprio di politica, dei suoi significati, delle sue responsabilità, attraverso un’analisi dei segni teatrali di cui essa si serve, evidenziandone potenzialità, ma anche limiti e abusi.
L’Europa è un tema sentito in maniera viscerale da Havel, che ne scrive già nei suoi testi, ai tempi della dissidenza. Nelle sue parole, c’è l’anima del popolo ceco, proiettata sul mondo. Un popolo,come dice Růžena Hálová, “che non ha mai cercato la guerra o di sottomettere nessuno” e che, ricordando gli anni della Rivoluzione di velluto, “ha oltrepassato la cortina senza rompere neanche una vetrina”. E cita Roman Jacobson, quando , in un discorso tenuto a Praga nel 1963,definì il paese che sentiva come sua vera patria, la Cecoslovacchia, unico nell’accoglienza dei popoli perseguitati, un paese pieno di cultura, dove si sono fuse tradizioni e lingue diverse, che nel superamento della dominazione asburgica, durata secoli con la predominanza della lingua tedesca, ha dato al mondo personaggi di lingua tedesca ma di residenza praghese,come Franz Kafka, Jaroslav Hašek, Jan Neruda, Bohumil Hrabal, per restare nel solo mondo letterario.“Questo focolare dell’Europa dove l’occidente incontra l’oriente, su una superficie così piccola e conservando la propria particolarità, ha dato al mondo idee così grandi come l’idea di Costantino dell’uguaglianza e sovranità di tutti i paesi, l’idea riformatrice di Jan Hus e quella grandiosa concezione dl sapere democratizzato di Jan Komenskẏ  (Comenio, n.d.r.). Non conosco un paese che abbia radicata tanto in sé la democrazia”. Ispirato da principi democratici, Havel portò avanti il suo impegno civile, e concepì la presidenza, ponendo l’accento, come scrive Petr Buriánek, “sui diritti umani e sulla libertà, la responsabilità verso la propria nazione e, non ultime, l’attenzione verso le opinioni degli altri e la volontà di comprenderle”.

Nei suoi discorsi, si parla di temi politici e strategici, di  regimi totalitari, di Unione Europea, di rapporti con la NATO. Il discorso tenuto ad Aquisgrana nel libro curato da Růžena Hálová prende il titolo L’Europa come compito. Crepuscolo, tempo dello spirito. Nel suo intervento, Dialogos, Polis, Polemos, Idee di Europa, Lucio Saviani nota come la prima origine del significato Europa, sia indicata, “secondo molti, nella parola accadica ‘erébu’, il cui significato è crepuscolo, tramonto del sole, mentre dalla parola accadica  ‘asu’,che significa aurora, avrebbe ricevuto il suo nome l’Asia. Più spesso, la radice è indicata nella coppia di termini greci  ερύς ,(eurus), ‘ampio’, e ōps, ‘occhi”, da cui Eurṓpē,’largo sguardo’. Talvolta si ricorre anche al fenicio ereb, ‘occidente’. Così come ’occidente’ è inteso come il luogo del tramonto, del latino ‘occasus”. Dice Saviani: “L’Occidente non è uno spazio, ma una linea progressiva e polemica. Questa definizione dell’Occidente come linea progressiva e oppositiva, avanzante e polemica, in sé problematica –perché si tratta di definire attraverso un finis, un confine, sempre in movimento– lascia scoperta, come un nervo, la contraddizione strutturale dell’Europa: una dialettica di identità e differenza, di identità per differenza. Il suo essere unitas multiplex, molteplice nell’unità e unità come molteplicità è la sua caratteristica più viva e originale: da sempre spezzata tra grecità e latinità, tra romanità e cristianesimo, tra impero occidentale e orientale, tra papa e imperatore, tra cattolicesimo e Riforma, si può dire che proprio da questi conflitti e guerre l’Europa sia stata messa in ordine, messa ‘in forma’ e regolata”.
Dunque polemos come contrapposizione, dialettica. Il Polemos dei frammenti 53 e 80 di Eraclito: il conflitto “padre” di tutte le cose. Che impone però un logos, una ragione, un confronto. “La ragione delle cose implica che l’unità sia dia solo nella molteplicità e che l’identità viva della differenza… Il conflitto è generativo delle differenze, che esso mette in opposizione e che tuttavia rispetta mettendole, appunto, in movimento”.  Concetti su cui si fonda la teoria di Europa in  Hans-Georg Gadamer, uno dei maggiori esponenti della filosofia ermeneutica, con cui il pensiero di Havel è in sintonia assoluta. Saviani lo cita affrontando il tema della mediterraneità, in relazione ai concetti di identità, di dialogo, di tolleranza, dell’altro. Mediterraneo, ‘officina di civiltà’, lo ha definito Paul Valery, oggi “luogo in cui il nord-ovest del mondo incontra il sud-est”, con tutte le  tensioni che questo contatto comporta, e “che, con la sua collocazione di frontiera, disegna  chiaramente il compito dell’Europa:o guardia dell’impero atlantico del nord ovest o luogo di costruzione e di incontro alla pari, fondato sul reciproco rispetto” dice Saviani.
Parlare di Mediterraneo “costituisce un momento decisivo della ricostruzione di un modo autonomo di pensare e di rappresentarsi dell’Europa nel suo complesso”. Afferma Gadamer  in uno degli scritti raccolti in L’eredità dell’Europa: “Nel nostro mondo sempre più stretto si incontrano culture e religioni, usanze e sistemi di valori profondamente diversi: sarebbe un’illusione pensare che la nostra convivenza sul pianeta possa essere regolata da un sistema di puri valori economici, da una sorta di religione economica planetaria”.L’Europa può ritrovare nella propria storia la capacità di aprirsi all’altro (…), gli europei possiedono un comune patrimonio storico, artistico, linguistico e letterario. Perché dovrebbero limitarsi alla moneta unica e alla caduta di qualche barriera doganale?”. Havel, nel discorso di Aquisgrana:”Si potrebbe forse dire, in modo alquanto semplificativo, che se l’alba e il pieno splendore del giorno possono essere il tempo delle mani, allora il crepuscolo è il tempo dello spirito”.
Di questo spirito, dei fuochi e dell’anima europei, di tramonti e nascite, si è fatto  portavoce Havel, richiamando tradizioni e passato per una modernità in trasformazione, interrogandosi sul ruolo dell’Europa. Che, come afferma il grande filosofo ceco del Novecento  Jan Patočka, ricordato con passione da Saviani, è nata dalla cura dell’anima, ed  “è un concetto che si basa su fondamenti spirituali”. Dunque, un’Europa in progredire, in costante, vivificante tensione verso altri, verso altro, capace di riconoscere, come dice Saviani, “ciò che accomuna”.

“Ma tutto quello che ci tocca, te e me insieme/ci tende come un arco/che da due corde un suono solo rende./Su quale strumento siamo tesi, e quale grande musicista ci tiene nella mano?O dolce canto.”(Rainer Maria Rilke).

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Tullia Ranieri ha al suo attivo numerose esperienze artistiche. Scrittrice e attrice, collabora con varie Associazioni culturali. Suoi testi sono pubblicati in Antologie varie e su siti Internet. Si è dedicata a progetti sperimentali di diffusione della poesia nelle scuole e alla scrittura e regia di spettacoli e percorsi poetici. Fa parte del gruppo di Scrittura Collettiva di Fefé Editore. Adora Adonis.

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