Libri Come. La storia dell’arte delle meraviglie di Melania Mazzucco

mazzuccoLibri Come,  Lezioni di storia dell’arte. Sale sul palco della Sala Petrassi, presso l’Auditorium di Roma, con grazia, Melania Mazzucco.
La grazia di una bambina che scopre la meraviglia. La stessa grazia di quella piccola Maria che sale le scale del tempio, dipinta in maniera indimenticabile dal Tintoretto e conservata nella chiesa della Madonna dell’Orto, a Venezia, nel sestiere di Cannaregio.  La presentazione di Maria al tempio,  questo è il nome dell’opera. Per la scrittrice innamoramento estremo, folgorazione, rivelazione. Ogni rivelazione porta in sé il mistero e, nel mistero dell’arte, nei suoi tempi e tratti eterni, nella sua parola profonda, c’è una fascinazione continua. Lo svolgersi di vita nuova, una resurrezione.
Scriveva il pittore-poeta Max Jacob:”Era sufficiente che un bimbo di cinque anni, nella sua casacca azzurro pallido, disegnasse su di un album, perché una porta si aprisse nella luce, e il castello risorgesse dalle sue rovine, e la terra della collina si ricoprisse di fiori.”.
Ci offre fiori d’arte unici, Melania Mazzucco. Nel suo museo (Il museo del mondo, Ed. Einaudi), nelle cinquantadue opere in esso contenute, facciamo incontri indimenticabili. Il Museo non è fatto  per possedere, collezionare, ma per condividere. E non solo per guardare, ma per vedere, oltre la tela, i colori, i buchi e le crepe, una possibilità di vita, per aprire uno spazio, un posto altro, dove restare in ascolto. Sentire bocche ed anime. I quadri che ci presenta raccontano storie, parlano lingue, gridano e sussurrano le vite vere di chi li ha dipinti. Non è solo una labile scia, che arriva dal passato. È qualcosa di molto più potente, un presente che ci cattura. Fatto di libertà estrema, di seduzioni e sensi.

La pittura si lega alla  letteratura in un matrimonio felice, in rappresentazioni oniriche. La Bibbia, i testi religiosi, la mitologia, Le Metamorfosi di Ovidio, sono costanti fonti di ispirazione, per chi ha dipinto.  Ed anche la letteratura minore ha la sua importanza. Ci avvincono, i racconti della Mazzucco. Chi è quella bambina che Tintoretto dipinge nella sua Presentazione di Maria? Chi sono quelle donne, sparse e belle, giovani o più vecchie, sulle scale, e perché Jacomo Robusti, detto Tintoretto dal mestiere del padre, un tintore, ne fa un concerto al femminile? Tintoretto comincia a dipingere su commissione dei monaci del convento della Madonna dell’Orto la tela, nel 1548. Conosce i testi sacri, la Legenda Aurea, i Vangeli Apocrifi. L’episodio a cui fa riferimento è la presentazione della piccola Maria al Tempio di Gerusalemme, da parte di Anna e Gioacchino. Ma la rappresentazione è rivoluzionaria. Suggestiva nella forma,  nei suoi chiaroscuri. Libera da imposizioni, nei contenuti. La città diventa una scala. Le figure maschili sono solo nella parte sinistra della tela, folla marginale. Una meditazione sulla figura della donna, sul destino a cui da sola va incontro, qualsiasi sia la sua età. Non ci sono i genitori della piccola, nel quadro. Nella donna che la accompagna, ai piedi della scala, molti hanno ravvisato l’amante di Jacomo. Entrambe hanno abiti e acconciatura cinquecenteschi, Maria sarebbe Marietta, in realtà, la figlia avuta in quegli anni dal pittore. E noi non siamo più fuori del quadro, ma dentro, salendo con lei le scale della vita, dell’anima. Siamo noi, Marietta. Ad affrontare la vita.  E’ un’ascesi verso qualcosa di superiore, che tuttavia non dimentica la terra, e anzi, ne trae forza vitale. E’ l’andare verso un compimento, verso una gioia o un dolore inevitabili.

E va, Marfisa, altro personaggio luminoso, che appare in questa galleria fantastica della Mazzucco, in Marphise et la femme impertinente, dipinto da Eugène Delacroix tra il 1850 e il 1852, dopo la lettura dell’Ariosto, dell’Orlando Furioso. Personaggio ereditato dal Boiardo, Marfisa, eroina d’Oriente, guerriera ed errante, sbruffona e impavida, ha desiderio di indipendenza e di avventure, di continue prove per se stessa, contro tutto e tutti. Eccola dipinta in una foresta, a cavallo, insieme ad una strega, Gabrina. Porta Gabrina al di là del fiume. Ma l’episodio rappresentato è ben più complesso. C’è un cavaliere che è stato colpito dalla spada di Marfisa, Pinabello. E una donna nuda, in primo piano: l’amante di Pinabello, che cerca di trattenere con pudicizia le sue vesti.  Costei ha scambiato Marfisa  per un cavaliere, e forte della sua avvenenza, si è messa a sbeffeggiare Gabrina, vecchia e brutta. Marfisa colpisce Pinabello, e straccia le vesti della giovane impertinente. Rifacendosi al poema, Delacroix dipinge l’episodio, ponendo  la nudità della giovane in primo piano, splendente come oro, quasi ignorandone l’indole sciocca. Il pittore ruba qui per noi tutta la bellezza possibile (Shakespeare, di cui Eugéne  fu appassionato lettore, oltre a Walter Scott, Goethe, Byron, diceva che “la bellezza genera ladri, più dell’oro…”). La pelle della fanciulla attira l’attenzione con il suo nitore. E’ una rappresentazione carnale, forte.

E bianca, seminuda, è la giovane Procri, morente, distesa sull’erba, tra un cane ed un Fauno dalle orecchie d’asino e dalle zampe di capro, che la osservano con identica compassione e tristezza. La morte di Procri è un quadro particolarissimo, che la Mazzucco ci presenta come un desiderio sicuro, un incanto certo. Piero di Cosimo ci regala la sua visione personale della storia di Procri, narrata da Ovidio nelle Metamorfosi, riprendendo anche una favola di Niccolò da Correggio,  scritta per una Este. Procri cade nella trappola dello sposo Cefalo, tesale per provarne la fedeltà.  I due si lasciano, poi si riconciliano. A questo punto, è Procri, istigata da un fauno, a  sospettare  il tradimento di Cefalo. Si nasconde nel bosco, dove Cefalo è a caccia. Lui la uccide, scambiando i movimenti dell’amata per quelli di un animale da cacciare.  Il Vasari definì per le sue stranezze Piero, di indubbio talento, “stratto” e scrisse che “ teneva una vita da uomo più tosto bestiale che umano”. Il pittore amava le erbe, gli animali, la natura, era selvaggio. L’opera, dipinta tra il 1415 e il 1418, su una tavola di legno di pioppo,  destinata a decorare uno di quei cassoni caratteristici delle camere da letto dell’epoca, è una riflessione sulla fatalità della vita, sulla fragilità di cose, uomini e bestie. Tutti ritratti con uguale, umanissimo sentimento. Una cosa inusitata , se si pensa alla concezione dell’epoca, per cui i fauni erano mostri, e gli animali non avevano un’anima razionale. L’attenzione , nel quadro, è tutta sul dolore, sui corpi che restituiscono un’interiorità possente.

Scura , lucida, metallica, una corazza dark , la pelle di Perseo diventa una sola cosa con quella del mostro che combatte per salvare Andromeda. Nella rappresentazione di Edward Burne-Jones, in un olio su tela del 1888, intitolato Il destino compiuto, il mito di Perseo diventa una graphic novel. Non solo. Il mito persiste nella storia, ne travalica limiti e confini. Si svolge in un tempo e in uno spazi rarefatti. L’insieme è inquietante, di rotonda bellezza, immobile. Perseo affronta Medusa, per liberare Andromeda.  Il Mostro è un serpente marino che ha la stessa pelle di Perseo, lo avviluppa, ne sembra quasi una continuazione. Forse è la parte oscura dell’eroe, che viene alla luce. Andromeda, nuda e di spalle, è folgorante, nella sua chiarezza estrema, nell’eleganza del corpo. Sembra essere la gemella di Perseo, per l’uguaglianza dei tratti somatici. Questa contrapposizione dà un’idea di mistero, di occulto.
La Mazzucco nota come Burne-Jones sia protagonista di un paradosso. Rifacendosi ad un’arte delle origini, pura e idealizzata, come i suoi colleghi preraffaelliti, in realtà inventa un genere completamente nuovo. Un fumetto.
Ci perdiamo nelle gallerie del  Museo, adesso. Scorrono opere e vita, sfarzi e sobrietà. Giotto, Tiepolo, Grünewald, Velàzquez, Munch. Altri meravigliosi mostri, tentazioni continue. Hieronymus Bosh rappresenta le Tentazioni di Sant’Antonio, in maniera stranissima. Le sue figure allucinate, che attraggono e spaventano, attingono a fonti disparate, Bibbia, Kabbalah, testi sulle streghe. Un caos assoluto, il ritratto di un Male presente nella vita dell’Uomo. Ma Antonio riesce a in qualche modo a salvarsi, da questo Male, a starne fuori, essendone pienamente consapevole, e confidando nell’aiuto di un Dio che apparentemente, sembra lontano. Dai mille particolari delle Tentazioni, alla sintesi di Sphinx, dipinto di Edvard Munch  del 1864. Un racconto su tela, perché come il pittore osservò, “il racconto è lo scopo di ogni arte”. Un racconto d’amore, di morte, pieno di simboli. Tre donne, ed un Edipo tragico. La donna, creatura mutante, santa, vergine, impura, amante, triste, felice… Nella comprensione delle sfumature, la soluzione, la salvezza di Edipo, dell’uomo.

Puro simbolo e suo trionfo è la pittura di Giovanni Segantini nel quadro Le cattive madri, del 1894. Un’opera che toglie il respiro. In una landa bianca, c’è una donna bella, con i capelli rossi, stretta al tronco di un albero nodoso, magico, che la imprigiona. L’albero è secco, ma da un ramo spunta la testa di un neonato. La donna si protende e gli offre il seno da succhiare. Intorno solo candore, solitudine, vuoto. Nonostante la povertà della sua infanzia, e le vicende disgraziate, Segantini riuscì ad avere una sua formazione letteraria. Lesse molto, e tra le sue letture, ci fu il poema Pangiavahli, detto anche Nirvana. In realtà, il testo fu scritto da Luigi Illica, librettista di Mascagni e Puccini. Illica lo dedicò alle male madr”. La donna- madre fu il tema ossessivo di Segantini, che non riusciva a concepire altrimenti la figura femminile. Nel poema Nirvana, Segantini trova invece descritta la donna lussuriosa, quella che rifiuta la maternità, per i motivi più vari. La punizione che aspetta questa donna lussuriosa, come leggiamo nei versi finali del poema, è vagare in una valle di silenzio, dove non crescono fiori o rami verdi e fertili. Segantini dipinge un primo quadro, Il castigo delle lussuriose, nel 1891. Tre anni dopo questo. Un tentativo di redenzione per la lussuriosa che si fa madre, finalmente. Al di là dei suoi significati, spietati per le donne, questo quadro che anticipa il liberty, ci ingoia. Nei suoi spazi, nella sua luce, nell’ombra, nel suo tormento e nella sua speranza.

Guo Xi, pittore del XI secolo, diceva: “Vi sono dei quadri  che sono lì per essere ammirati, ma i migliori sono quelli che schiudono quello spazio medianico attraverso cui  si può soggiornarvi indefinitamente…”.

Tutta la pittura mostrata,  le sue canzoni, ci hanno trascinato in quello spazio. Il museo chiude, ma noi restiamo qui, dentro le sue porte.  In compagnia del desiderio.

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Tullia Ranieri ha al suo attivo numerose esperienze artistiche. Scrittrice e attrice, collabora con varie Associazioni culturali. Suoi testi sono pubblicati in Antologie varie e su siti Internet. Si è dedicata a progetti sperimentali di diffusione della poesia nelle scuole e alla scrittura e regia di spettacoli e percorsi poetici. Fa parte del gruppo di Scrittura Collettiva di Fefé Editore. Adora Adonis.

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