Più libri più liberi. Donna in fabula. Figure femminili dell’immaginario favolistico popolare

So un fatto bello assai/e lo so tutto a colori, mi butto dentro le vigne/faccio un racioppo d’uva, l’uva gliela do al bosco, il bosco mi dà la legna, la legna gliela do al forno, il forno mi dà il pane/il pane glielo do al cane,il cane mi dà la pelle. Angelina, Angioletta/fammi un paio di scarpette.”

Comincia così, a Più libri più liberi, nella sala Ametista del Palazzo dei Congressi, dopo un minuto di silenzio chiesto dagli autori per un piccolo che non ascolterà la fine lieta della storia della Vita, il piccolo Loris di cui tanto si parla in questi giorni, l’originalissima presentazione di Donna in fabula. Un libro avvincente, edito dalla Casa Editrice milanese La Vita Felice, fondata venti anni fa da Gerardo Mastrullo.

Uno  scorrere continuo ed affascinante di figure femminili tratte dall’immaginario favolistico popolare.Un libro pieno di donne protagoniste che  raccontano una terra, la Puglia, e un popolo,  in maniera fantastica e incisiva, e si imprimono nella nostra mente per la loro forza, arguzia, per l’intonazione delle loro voci, la loro sagacia, l’unicità della loro lingua.
Diana Battaggia, responsabile della produzione poetica della Casa editrice La Vita Felice, introduce gli autori, Lino Angiuli, Lino Di Turi e Vito Matera, legati ormai da un sodalizio storico.
Lino Angiuli e Lino Di Turi, entrambi originari di Valenzano, in provincia di Bari. Angiuli, scrittore, direttore di riviste letterarie (da ultimo Incroci), si occupa della tutela e della valorizzazione della cultura tradizionale con studi, interventi, libri. Di Turi, uomo di teatro, attore e regista, ha all’attivo alcune pubblicazioni in prosa e  da decenni si occupa della conservazione del patrimonio favolistico meridionale, anche attraverso il  sito Puglia in favola. Entrambi hanno percorso il territorio pugliese in lungo e in largo, registratore alla mano, in cerca di favole e storie, attraversando una lingua affascinante, viva sulle bocche dei paesani. E anche diversa, perché, come ci racconterà poi Di Turi, “bastano pochi kilometri di distanza tra un paese e l’altro, dieci, nove, otto, e mi voglio rovinare, tre kilometri, e i fonemi, le parlate,le metafore variano arricchendo l’espressivitò del territorio e le sonorità pugliesi”.
I due, attraverso una lettura attoriale giocosa e meravigliosa, ci portano immediatamente, senza preamboli, in un mondo avvincente, dove nascono, vivono, si muovono e parlano senza sosta, personaggi dalle caratteristiche indimenticabili. Gli stessi che troveremo all’interno del libro, nelle tavole pregiate di Vito Matera, artista nato a Gravina in Puglia, che ha esposto alla Biennale di Venezia, a New York, Berlino, Londra, e  improntato la sua ricerca artistica in chiave antropologica facendo riferimento al  Mediterraneo, “per recuperarne l’identità fantastica e culturale”.
Le sue immagini non solo illustrano, ma raccontano. Oggi sembra di essere in una piazza bianca del Sud, dall’aria calda, profumata di piante aromatiche, seduti su un gradino con le mani strette intorno alle ginocchia, gli occhi sgranati, davanti ad una sedia impagliata dove siede il Narratore senza tempo che ci incanta.
Ecco dunque la piccola Teresina, in Figlia e figliastra, che deve fare tutti i lavori di casa, mentre Cecchinella, la bella di mammà sua, sfaticata che più sfaticata non si può, non fa nulla… Ma alla fine ci pensa Ualino, e “Così stettero belli allegri e contenti/se appizzi le orecchie ancora li senti…”  Arriva per Maria la Massara, nella favola omonima, la sorte buona, e così da massara, mamma, moglie, schiava, diventa una signora “felice e contenta per tutta la vecchiezza”. Rossella la Raspatella, bellabellabella, fa perdere la testa al reuccio, “cioè Re Uccio”. “Se mi vuoi mettere la fede al dito/ potrai togliertelo il prurito/Di diventare il mio marito…”. E poi Mariannina, “a vederla un fiore”,  che tutti chiamavano Maiorana, “perché teneva sul balcone una grasta con una pianta di maggiorana che lei cresceva come una creatura. Una pianta che era un capolavoro e che faceva figura e odore”, per Mariannina una vera compagnia, “che l’addacquava un giorno sì e l’altro pure”.  Profumata Maiorana per cui impazzisce il vicino dirimpettaio, Chelino:” O Mariannina, mia bella tisana,/ conta le foglie che c’ha la maiorana”. E lei, a tono:” E tu, figlio di signori ma senza sorelle/ conta nel cielo quante sono le stelle.”. Si prosegue in un progressivo farsi di colori, giochi, motti, gustose espressioni dialettali  delineano altre donne, altre storie: Peppinella, Giovina, Marietta. Si capisce che questa carrellata rutilante è frutto di lavoro serio e continui approfondimenti da parte degli autori. Le storie sono state recuperate non solo da una tradizione orale, da soggetti portatori di memoria, ma anche ricreate andando a spulciare nelle carte di studiosi del luogo: Lasorsa, Pellizzari, Giovine, Tommasi, e molti altri meno conosciuti.
Nella stesura del libro, i nostri non vengono meno alla fedeltà al progetto iniziale: riproporre, secondo un manifesto degli anni ’80, al quale hanno aderito con Raffaele Nigro, la post-ruralità, sciacquare i panni nella meridionalità orale, riproponendo l’apparato linguistico tipico dell’oralità, mantenendo nelle storie il connotato popolare.

Nella bella prefazione al libro di Giuseppe Lupo, ci si interroga sul senso della proposta di un libro di favole. In tempi di cronaca nera, di drammi, perchè leggerle? Un modo di evasione? Il prefatore pone giustamente l’accento sul valore di esse come manifesto di una cultura antropologica da preservare, di un’identità che va valorizzata perché alimenta il tempo e l’humus in cui affondano le nostre radici. Il  filo rosso che unisce le varie storie è “il dominio dell’universo femminile sui fatti della vita, a ribadire che sono proprio le donne (non gli uomini), il vero motore della civiltà mediterranea”.
Lupo definisce in maniera molto efficace le favole  come “l’antidoto alle corrosioni provocate dalla Storia”. In effetti, con queste favole  si può uscire dal tempo nostro, essere liberi e sognare. Trovare e ri-trovare qualcosa in un passato che passato non è. Che è luogo di fantasia e di realtà ricreata.
Perché , come diceva Calvino, “ le fiabe sono vere”. Va dato merito alla Casa Editrice La Vita Felice, che si distingue sempre nella scoperta di scritti da editare, nel recupero di perle del passato e per l’eleganza delle edizioni, di avere sostenuto questo libro, fonte di emozioni per tutti. E agli autori, che hanno svolto un lavoro preziosissimo, e ci hanno regalato gioia e fantasia. E che ci salutano così:

Cerase e cerase/ ognedune se ne va a la case/se ne vonne chjane chjane/Diane Vite Line e Line ve donne la mane”.

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Tullia Ranieri ha al suo attivo numerose esperienze artistiche. Scrittrice e attrice, collabora con varie Associazioni culturali. Suoi testi sono pubblicati in Antologie varie e su siti Internet. Si è dedicata a progetti sperimentali di diffusione della poesia nelle scuole e alla scrittura e regia di spettacoli e percorsi poetici. Fa parte del gruppo di Scrittura Collettiva di Fefé Editore. Adora Adonis.

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