L’arte, una capacità percettiva piuttosto che un’azione predeterminata

Iacopo Seri 2012 - I Work As An Artist, I Art As A Worker (documentazione mentre lavoro al set del film di Clemens Von Wedemeyer)

Si è spesso reticenti nel definire qualcuno “artista”, in quanto termine inflazionato, diventato troppo generico per presentare una professione, portatore di fin troppe caratteristiche e capacità, per lo più indicativo di un animo alquanto creativo.

Iacopo Seri, “lavoratore nell’Arte”, apolide e instancabile indagatore del sistema artistico, riflette da tempo sul ruolo dell’artista e sull’Arte in quanto professione. Nel suo percorso, Iacopo si mette in gioco secondo dinamiche sempre diverse, spesso confrontandosi direttamente con altre persone, appartenenti o no a questo settore. Lui stesso dichiara come “l’approccio con le altre persone, che siano venute a vedere il tuo lavoro o siano lì a lavorare con te, è sempre una scoperta molto interessante”.

Durante la formazione allo IUAV di Venezia, Iacopo Seri idea i suoi primi progetti e avvia le prime collaborazioni. Il prospetto di fare dell’attività artistica la sua professione, lo mette davanti a diversi quesiti.

“Durante gli ultimi anni dei miei studi, a Venezia, vedevo già i miei compagni lavorare per promuovere se stessi e i loro progetti artistici. A me questo impegno nell’auto-promozione non interessava, già allora lo trovavo innaturale. Iniziai subito a pormi domande: “fare l’artista è un lavoro come un altro”, “È diverso? In cosa è diverso?”. Sicuramente mi piaceva il lavoro di ricerca, indagare e percorrere tragitti che aprivano poi nuove direzioni verso nuovi progetti artistici. Ma, volendo uscire dalle logiche di mercato e di carriera, un artista a cosa serve e cosa può dare esattamente?”

Da queste riflessioni nasce uno dei suoi progetti più singolari, Ti serve un artista?, in cui l’artista propone la sua professionalità per lavori di ogni genere, in cambio di un compenso.

“Era un modo per lavorare, come artista, ma senza dover inseguire una carriera, quindi senza ottenere una specializzazione. Avevo la possibilità di fare cose in maniera dilettante, sempre diverse, che mettevano alla prova ogni volta.”

Questa riflessione prosegue e si approfondisce qualche anno dopo, nel 2011, con Isocronia operosissima, inserito in una rassegna d’arte pubblica, a cura di Daria Carmi, in un paesino piemontese, Frassineto Po.

“L’idea era quella di stare un mese in un luogo dove non ci conosceva nessuno, e stabilire dei contatti partendo da zero. Abbiamo iniziato proprio da un vero annuncio: in cambio di vitto e alloggio proponevamo le nostre professionalità. Poi invece abbiamo finito per collaborare nei modi più vari, inserendoci nelle dinamiche delle loro vite. Con alcuni abitanti sono nate anche bellissime conversazioni, sul quotidiano, sulle loro e nostre esperienze di vita”.

Il ruolo dell’artista e la sua professione aprono un dibattito che coinvolge anche i luoghi deputati all’arte, la partecipazione del pubblico, quanto e con quali mezzi possa questo avvicinarsi ai linguaggi artistici attuali. Real Presence’10, una residenza per giovani artisti iniziata a Belgrado e giunta al Castello di Rivoli: Iacopo idea un progetto negli ultimi dieci giorni all’interno del Museo. Insieme ad altri artisti entra in contatto con un circolo bocciofilo situato accanto al Castello e tessendo relazioni con alcuni di questi giocatori di chiara fama che, pur frequentando quel luogo da anni, non avevano mai messo piede nelle sale espositive, mette a confronto percezioni e ambiti professionali opposti.

“Si trattava di mescolare due pubblici diversi, quello della bocciofila e quello del museo. Partecipando ad un appuntamento sportivo nel loro circolo ed esponendo una fotografia di gruppo dell’evento -che vedeva anche noi partecipanti- sia nel circolo che nella sala espositiva, abbiamo invertito i flussi di pubblico, realizzando una traslazione del lavoro artistico e un’inversione di rotta degli abituali visitatori del museo.”

Oggi Iacopo è in Messico e lavora in una galleria d’arte. Anche qui non segue un abituale esperienza di formazione come artista.

Resident artist intern, un artista in residenza, almeno nella qualifica, ma poi non realizzo vere e proprie opere, almeno non sempre; lavoro soprattutto nel magazzino della galleria e mi confronto con persone di ogni genere, dai ricchi più sfrenati ai lavoratori pendolari che eseguono lavori unicamente manuali. E’ sempre interessante conoscere da vicino come l’arte è percepita da singole persone diverse, per formazione e provenienza, le domande che si pongono, l’apporto che danno all’opera. In più, per la prima volta, qui sto imparando molto riguardo al mercato dell’arte, un settore che ho sempre respinto”.

L’interesse perseguito resta sempre quello:

“sento l’esigenza di togliere la patina all’opera d’arte, andare al di là delle cose rigide, delle definizioni, dei compiti.”

Per far questo l’artista veste anche il ruolo del mediatore, del traduttore, del disegnatore, del montatore, restando sempre e innanzitutto un lavoratore: I work as an artist and I art as a worker è il titolo del progetto realizzato a Kassel durante l’ultima Documenta13, esperienza durante la quale porta avanti la sua ricerca artistica svolgendo le più varie mansioni.

“A Kassel sono arrivato con una borsa di ricerca, non sapendo bene cosa mi sarebbe aspettato. Mi hanno inserito nel dipartimento di produzione ad assistere un’altra ragazza che a sua volta seguiva una trentina di progetti in cantiere. Ho visto e fatto milioni di cose, dal mediatore al traduttore, andavo a prendere gli artisti alla stazione, disegnavo parte delle installazioni, parlavo con artisti, tecnici, produttori, curatori. In più mi hanno dato la possibilità di far parte di un programma di guide non professioniste. E’ stata l’occasione per avere un contatto diretto con il pubblico: raccontavo non tanto l’opera, ma quello che avevo vissuto io, la fase di progettazione, realizzazione, l’assimilazione… non ricordavo le date di nascita o le classiche informazioni, ma trasmettevo quella che era la mia esperienza personale. Ancora oggi non so se definirla un ‘opera, non ho fatto niente di più che vivere questo momento, non l’ho formalizzato. Sono stati molti i disegni e gli schizzi fatti in quel periodo, ho lavorato come comparsa anche in un video…c’è un po’ lo zampino mio in molte cose venute fuori da Kassel”.

L’arte come ricerca continua sul campo, con gli interlocutori che ogni volta può capitare di avere. E’ nel confronto ed in questa continua messa in discussione che l’artista costruisce il suo lavoro e trova la sua identità.

“How to produce possibility through contingent reality”, nel mondo che c’è intorno a noi troviamo tutto ciò che è necessario per ridefinire ogni volta le possibilità mentali, piuttosto che materiali, con le quali costruiamo i nostri universi.

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Francesca Campli ha una laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio artistico e una specialistica in Arte Contemporanea con una tesi sul rapporto tra disegno e video. La sua predilizione per linguaggi artistici contemporanei abbatte i confini tra le diverse discipline, portando avanti ricerche che si legano ogni volta a precisi territori e situazioni. La passione per la comunicazione e per il continuo confronto si traducono nelle eterogenee attività che pratica, spaziando dal ruolo di critica e curatrice e quello di educatrice e mediatrice d'arte, spinta dal desiderio di avviare sinergie e confrontarsi con pubblici sempre diversi.

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