Una capretta ansiosa del precipizio

Le leggende sono come i bozzoli che contengono significati universali”. Queste erano parole che l’artista Maria Lai spesso amava ripetere e le opere di quest’artista sarda -negli ultimi anni riscoperta e portata al centro di ricerche, di tesi di laurea e di mostre, tra le prime donne affermatesi come artista nel nostro paese – avevano spesso origine da fiabe tradizionali e da leggende appartenenti alla sua Isola.

È strano non aver mai scritto di Maria Lai su questa rubrica, dal momento che la sua ricerca artistica, nel suo carattere relazionale e partecipativo, arrivò in anticipo su molte altre e sicuramente alcuni dei suoi interventi artistici, ancora oggi, si mostrano come un chiaro esempio di un linguaggio radicato a un territorio, dal legame indiscusso con le storie e le caratteristiche che lo definiscono ed espressione delle persone che lo abitano.

Occasione per parlare di Maria Lai me la offre un libro, un albo illustrato per bambini e per adulti, uscito un anno fa, ma ancora in giro per la penisola per essere presentato e raccontato dalla sua illustratrice, Gioia Marchegiani. In una di queste occasioni – nella sede di Start-Biblioteca Attiva di Ariccia, officina inarrestabile di splendidi progetti tra arte e lettura – ho modo di approfondire la conoscenza di questa pubblicazione: Il campanellino d’argento parte proprio da una leggenda molto amata ed evocata da Maria Lai che, negli anni, aveva cercato nuovi finali per questa storia e interpretazioni metaforiche dietro i personaggi e le atmosfere che raccontava.
Nel libro leggiamo la leggenda e nell’ultima pagina è recuperato il finale che l’artista aveva trovato, una conclusione alternativa, un valore riscoperto per l’immaginazione e l’arte che “non dà sicurezza, ma può indicare la via della salvezza”.

La preziosità di questo albo è legata a molti aspetti. Sicuramente le sue illustrazioni: disegni accurati, risultato di studi e ricerche (“svolte direttamente nei luoghi abitati da Maria, che io non conoscevo”, ammette Gioia), l’attenzione ai dettagli, fatti di oggetti, volti, gesti quotidiani, sassi che richiamano inevitabilmente i profumi, le sensazioni, anche i ricordi che ognuno di noi può avere di quei luoghi, o l’emozione inattesa di scoprirli per la prima volta attraverso questi disegni.

Prevale quasi unicamente il tratto nero, veloce, sicuro, a tratti “scarico” ma sempre presente in modo deciso, a segnare volti, tracciare folti e agili corpi di capra, a riempire le profondità delle montagne. Ma “nelle isole all’oscurità della notte e delle cavità montuose non può alternarsi che una luce accecante”: ed ecco i cieli tersi, i fondali sospesi (dove volteggiano il pastorello e la capretta, in una dimensione incerta tra la realtà e l’immaginazione) e i fili di lana -tanto utilizzati anche da Maria- alternati a quelli neri, intrecciati insieme a creare i disegni e le figure che da sempre troviamo sui tessuti lavorati dai telai sardi.

Indissolubile appare il legame di quest’opera editoriale e delle sue illustrazioni con Maria Lai e la sua opera. Il richiamo immediato ovviamente va al lavoro forse più celebre dell’artista, Legarsi alla montagna, performance realizzata nel 1981 ad Ulassai, sua città natale. Sviluppata dal desiderio di interrogarsi sul senso della parola comunità, l’operazione coinvolgeva gli abitanti nel condurre per l’intero paese un nastro azzurro (richiamo a un’altra leggenda sarda, simbolo della leggerezza dell’immaginazione che ci solleva e spinge lontano, è anche l’unico colore utilizzato da Gioia Marchegiani nel libro) a legare insieme, congiungere, case, vie e le stesse famiglie che abitavano quei luoghi, per portarlo infine sulla montagna, presenza naturale che regola le vite di ognuno.

Un’azione artistica dal fare giocoso che seppe evidenziare le relazioni di affetto, di condivisione, ma anche di rancore e invidie esistenti tra gli abitanti, sentimenti che in un primo momento erano sembrati ostacolo ma poi sono stati elementi costitutivi della performance.

Tra i disegni, gli storyborad, i collage che Gioia Marchegiani ha realizzato per Il campanellino d’argento, c’è anche un lavoro che ricorda questa performance di Maria Lai: un leporello di carta, sul quale si dipana il paesaggio di Ulassai, ancora tracce nere e sfumature, e un filo di lana azzurra che trapassa le pagine, gli angoli, il disegno, lasciando a sua volta un nuovo segno narrante.

Se una storia è niente – dicono i narratori d’Africa – appartiene soltanto a chi la racconta, ma se è qualche cosa appartiene a tutti”, scriveva Ernst Bloch.

Le opere di Maria Lai erano per tutti, da leggere, da condividere, da vivere e oggi questo racconto, per bambini più piccoli e anche per quelli più grandi, sembra volercelo ricordare.

Il campanellino d’argento
di Maria Lai e Gloria Marchegiani,
edizioni Topipittori

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Francesca Campli ha una laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio artistico e una specialistica in Arte Contemporanea con una tesi sul rapporto tra disegno e video. La sua predilizione per linguaggi artistici contemporanei abbatte i confini tra le diverse discipline, portando avanti ricerche che si legano ogni volta a precisi territori e situazioni. La passione per la comunicazione e per il continuo confronto si traducono nelle eterogenee attività che pratica, spaziando dal ruolo di critica e curatrice e quello di educatrice e mediatrice d'arte, spinta dal desiderio di avviare sinergie e confrontarsi con pubblici sempre diversi.

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