Cercando un riparo, tra la terra e il cielo. Guendalina Salini alla Fondazione Pastificio Cerere

imagine per Guendalina Salini

“Il termine riparare significa aggiustare qualcosa, rimettere insieme delle parti che si erano separate”, dichiara Emma in visita alla Fondazione Pastificio Cerere di Roma; “ma può significare anche cercare rifugio sotto qualcosa!” aggiunge di seguito, repentino, Andrea.
Sono queste le precisazioni che due giovani visitatori condividono leggendo il titolo della mostra, RIPARO, personale dell’artista Guendalina Salini.

Queste due letture – spontanee e istantanee, come spesso dimentichiamo che debbano essere le reazioni nell’incontro con l’arte – ci lasciano sospesi all’ingresso delle sale espositive, nel dubbio interpretativo di questo termine che, però, si afferma, in un primo momento, nel suo secondo significato: un luogo dove rifugiarsi, dove sentirsi al sicuro.

Guendalina Salini riunisce in una piccola esposizione il risultato di una ricerca e di percorsi iniziati molto tempo prima. Con il linguaggio estremamente poetico e leggero che la contraddistingue, l’artista porta in primo piano una delle prime necessità, spesso trascurata, dell’uomo, fine ultimo del peregrinare di molti popoli in ogni tempo, ma nel nostro contemporaneo, un’urgenza tornata ad essere condivisa da molti.

Le opere in mostra raccontano volti, terre, esperienze di vita che l’artista ha attraversato e ha condiviso prima di dar loro una forma con la quale potesse portarle via con sé e restituirle ancora ad un pubblico.

Avanzando nel patio dello storico Pastificio come prima cosa sono i suoni a raggiungerti: suoni che pian piano lasciano passare parole, racconti, e anche ritmi e canti. Una babele di voci fuoriescono dalle piccole case collocate sull’ampia parete di fondo (Souvenir d’Italie, 2018) e restituiscono loro un’anima, quasi riportandole da dove sono venute: deserti, campagne aride, ghiacciai, metropoli…

La casa è la prima idea che viene in mente pensando ad un riparo. Un luogo intimo, separato dalla confusione e dagli incidenti del mondo di fuori, dove si riuniscono i propri beni e, spesso, anche le persone più care.

Ma il riparo, oltre che luogo fisico, si rivela subito, nel solo pronunciarlo, una sensazione, uno stato d’animo del quale sempre più frequentemente vengono private le persone. Una sensazione di calore, accoglienza, comprensione e condivisione che, in qualche modo, ritroviamo negli stessi materiali che l’artista sceglie per realizzare le sue opere. L’argilla rossa, il sale, le valige, i teli (che possono esser state lenzuola), le spezie di varia provenienza, infine un tappeto in tessuto; in questi materiali e oggetti non è difficile ritrovarsi, rintracciare un ricordo della propria vita che qui si rispecchia nella vita di qualcun altro, sconosciuto e lontano.

Un’azione di condivisione e partecipazione, Guendalina Salini l’ha cercata e avviata già nella fase preparatoria di questa mostra, durante tre giorni di workshop nel quale ha riunito persone di diversa età e provenienza che hanno portato le loro esperienze, voci e riflessioni intorno al tema indicato dall’artista, dando vita ad un agire condiviso e, soprattutto, ad un’esperienza di vita.

Ognuno di loro ha messo in gioco le proprie capacità e realizzato una delle case in argilla che vediamo esposte qui, unite a quelle dell’artista, ma ha lasciato anche molto di più: il proprio punto di osservazione, le sensazioni e le forme di un personale immaginario, affidato alla narrazione orale, alle parole scritta, ad un “fare con le mani” che si era dimenticato.

Procedendo nelle sale della fondazione, tutti i nostri sensi vengono stimolati. Il suono instancabile delle onde sul bagnasciuga ci proietta lontani e ci racconta di un ragazzo, Sekine, la cui memoria non vuole svanire e torna, ritorna, seppur la sua immagine sia sbiadita dal tempo scandito da quel moto marino perpetuo.

Subito dopo è l’olfatto ad esser risvegliato, catapultandoci in paesaggi esotici, oppure in ambienti di cucine che avevamo sepolti nella nostra memoria. Guendalina ha scelto diverse spezie per decorare i suoi tappeti, ricreando nelle trame colorate, disegni orientali, familiari o appartenenti ad altre culture (Patria Invisibile, Riparo,2018). Il tappeto come un libro accoglie le storie che vi passano sopra, offre un riparo che non è solo fisico ma pausa temporale, sospensione momentanea dal frenetico e contrastante scorrere della realtà.

Nell’ultima sala, la vista è catturata delle immagini in movimento del cortometraggio La città e il cielo (2016), viaggio sospeso tra il mondo reale e un percorso onirico dell’artista. Questo progetto è realizzato insieme a Giulia Anita Bari, con la quale Guendalina ha fondato l’associazione La Frangia, impegnata in progetti tra arte e diritti umani (nb –insieme a lei, Marco Stefanelli e Ginevra Sammartino è stato realizzato anche il workshop in preparazione della mostra).

Scene che raccontano i volti e le voci di protesta degli abitanti delle tendopoli della Piana di Gioia Tauro (travolti dalla morte del giovane maliano Sakine Traoré) si intervallano alla ripresa di momenti quotidiani della loro vita, che è sempre più un’esistenza sospesa in un’attesa esasperante. Le immagini poi scivolano oltre, s’inerpicano tra le montagne, giungendo alle rovine di un antico paese dell’Aspromonte dove il tempo si è fermato e non si attende più nulla.

Il giovane Natale, qui girovaga, incedendo sicuro tra le confortanti e familiari mura. Lui sa come si tirano su queste case, ricorda quel saper fare che per lui è quasi scontato.

Nel lavoro delle mani che le hanno tirate su, così come nei gesti che abitano la nostra memoria, si apre un luogo di riparo, si trova sollievo. Così le mani lavorando e muovendosi secondo gesti quasi rituali, sciolgono anche il nodo in apparenza più intricato, passando fiduciose da mani ad altre mani, riparano il garbuglio e offrono riparo a chi ne ha bisogno.

Info mostra

  • RIPARO | mostra personale di Guendalina Salini
  • testi di Silvia Litardi e Giulia Anita Bari, storie raccolte da Marco Stefanelli
  • Dal 7 aprile al 5 maggio 2018
  • Orari: Lunedì – Venerdì 15.00-19.00, Sabato 16.00-20.00
  • Fondazione Pastificio Cerere
  • Via degli Ausoni, 7, Roma
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Francesca Campli ha una laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio artistico e una specialistica in Arte Contemporanea con una tesi sul rapporto tra disegno e video. La sua predilizione per linguaggi artistici contemporanei abbatte i confini tra le diverse discipline, portando avanti ricerche che si legano ogni volta a precisi territori e situazioni. La passione per la comunicazione e per il continuo confronto si traducono nelle eterogenee attività che pratica, spaziando dal ruolo di critica e curatrice e quello di educatrice e mediatrice d'arte, spinta dal desiderio di avviare sinergie e confrontarsi con pubblici sempre diversi.

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