Quite Solo: danza a tre. Mostra Flash da AlbumArte per i vincitori del Dancity Open Call – Art Session 2017

immagine per Quite Solo
Quite Solo, AlbumArte - Giorgio Alberti

Uno degli aspetti più interessanti dell’arte – quella di tutti i tempi, più che mai quella di oggi – è la capacità e la possibilità che offre di osservare il presente, quello nel quale viviamo e nel quale si trova a esser concepita. L’arte racconta uno spazio e un tempo ben precisi, ma innanzitutto presenta il punto di vista dell’artista che la esprime.
Cosa accade quando si trova di fronte a uno spettatore, che la percepisce filtrandola con la propria esperienza, la propria sensibilità, attraverso le conoscenze che porta con sé?
Qual è la reale lettura di un’opera? Quella che ne dà l’artista al momento della sua creazione o il punto di vista dal quale viene letta da chi ne entra in contatto?

Cosa accade quando queste distinte interpretazioni si incontrano?

La mostra Quite Solo, a cura di Carla Capodimonti e Marta Silvi, allestita negli spazi della romana AlbumArte si sviluppa su un racconto a due voci  che – in un rimando continuo, saltando da un punto di vista all’altro – lascia nel visitatore una sensazione frizzante, come la percezione di un sottile gioco delle parti nel quale si è chiamati a partecipare.

 

I linguaggi artistici di Dario Agati e Fabio Giorgi Alberti sono quanto mai distinti l’uno dall’altro e abitano lo spazio (mai di semplice e scontata percezione qui da AlbumArte) rispettando i tempi l’uno dell’altro. Nel titolo che presenta l’evento vi è subito lo svelamento di ciò a cui si va incontro; lo definisce Marta Silvi:

“non una personale, nemmeno una collettiva ma un campo/controcampo, come in un film, in cui lo spettatore è chiamato a assumere inediti punti di vista”.

I due artisti arrivano qui in quanto vincitori ex aequo dell’Open Call internazionale Control Reversal creata all’interno dell’Art Session del Dancity Festival 2017, rassegna di cultura e musica elettronica nata nel 2006 a Foligno, ormai giunta alla sua 11° edizione. Scelti da una commissione di esperti del settore contemporaneo, hanno ricevuto in premio l’occasione di una mostra negli spazi di AlbumArte, partner della call, e per quasi otto mesi hanno lavorato alle opere che oggi si vedono qui esposte.

Nonostante si esprimano con media differenti e non interpretino un tema comune legato all’evento espositivo, tra i due artisti si coglie una sotterranea consapevolezza della presenza dell’altro, come se l’uno tendesse l’orecchio o gettasse sguardi fugaci al lavoro dell’altro.

Seppur con approcci diversi, entrambi si rivolgono all’osservatore che incontra l’opera stimolando in lui una riflessione, se non proprio, una partecipazione esplicita al lavoro.

“Due sono i focus sui quali è costruita questa mostra – racconta Carla Capodimonti – uno è lo sguardo, dell’artista e dello spettatore, l’altro è lo spazio”.

Nello spazio, nel quale si muove il visitatore e si trovano le opere, i lavori di Fabio Giorgi Alberti (1980) si percepiscono come dei jokes: una colonna di cubi specchianti, impilati secondo diverse angolazioni svetta al centro della prima grande sala riflettendo le immagini di chi si avvicina, mischiando casualmente corpi, volti e gesti dei passanti (Column).

L’indefinizione e l’alternarsi in prima linea del soggetto o dell’oggetto, persistono anche nei quadri realizzati con la tecnica dell’affresco, in cui campeggiano parole colorate a comporre una sorta di filastrocca (Disposition); ci dice Fabio Alberti:

“L’esperienza estetica è un’esperienza di tipo liberatorio ci si libera in un qualche modo di se stessi, della propria personalità, ci si lascia andare alle suggestioni, alla disposizione di forme e colori, al ritmo creati da qualcun altro, ci si fa trasportare da un altro io che non è il nostro”.

Al movimento di ricerca di sé nel suo distinguersi dall’altro sembra richiamare anche Rotation, installazione composta dal calco della mano dell’artista che, posizionata su un motorino, ruota su se stessa indicando ogni volta qualcosa di diverso di fronte a sé, ma inevitabilmente richiamando l’attenzione solo sullo stesso dito indicatore/giudicatore.

L’artista, infine, finisce con il fondersi completamente con l’opera (e con lo spettatore riflesso) nel (Cube) self-portrait, in una delle ultime sale. Come in un’equazione riuscita, Fabio completa il percorso del suo pensiero riunendo i tre elementi in un sapiente disegno che trova la sua soluzione in un preciso punto di osservazione, lì dove il soggetto, l’oggetto e la sua rappresentazione s’incontrano e diventano un unico elemento.

La traccia pittorica, carica di materia e espressione, contraddistinguono invece le tele che si trovano in questo stesso spazio.

Il giovane artista Dario Agati (1990), a un primo sguardo, sembra privilegiare soggetti di vita comune e paesaggi classici, seppur creando accostamenti provocatori tra elementi di varie tele che non mostrano alcuna relazione tra loro (Senza titolo (non capiresti).

Proprio lo stupore -quasi fastidiosa sorpresa- di trovare tali soggetti è segno identificativo della ricerca dell’artista interessato a rappresentare quella realtà da tutti noi vissuta per poterne cogliere gli aspetti più effimeri, le sensazioni più personali, difficili da rappresentare e da rintracciare in una lettura condivisa.

Anche in queste opere pittoriche troviamo la consapevole e ricercata partecipazione da parte di un pubblico, ma in quelle di Dario resta un chiaro distacco con lo spettatore, quasi la disillusa consapevolezza di una fallita condivisione (ricordata ogni volta nei ripetuti sottotitoli con la formula “non capiresti”). Ci racconta l’artista:

“Ho voluto creare una distanza tra il mio lavoro e lo spettatore Un tentativo di rendere consapevole il pubblico della necessità di indagare, di dover andare a fondo nella lettura dell’opera per entrarvi e coglierne il senso, che comunque resterà per sempre sfuggente, effimero, mai certo”.

In questa ricerca di trasmissione di pensiero, ci sono momenti fugaci di presa coscienza e “scintille d’intuizione dell’opera d’arte”, come leggono le curatrici, che i Fuochi d’artificio [Senza titolo (non capiresti )] rappresentano puntualmente comparendo, alternati alle altre opere, su diverse pareti.

Il mancato riconoscimento e l’impossibilità di condivisione delle opere è trasmessa più che mai dall’estrema matericità pittorica.

Tuttavia il gesto di Dario non è quello di aggiungere strato su strato, ma, dopo aver portato sulla tela i colori prescelti, avvia un’azione di levare, creando diversi livelli. Gli strati di materia si fanno strati di memoria e le forme persistono faticosamente nel flusso temporale che scorre e modifica ogni cosa.

In queste operazioni di cancellazione, anche la natura dell’immagine (ricordo) muta la sua originale natura e dove erano presenti fredde architetture abbandonate, spoglie e dimenticate emergono nuovi sprazzi di luce, le pareti tornano a vibrare e si aprono nuovi spazi di narrazione [Senza titolo (non capiresti)]; n.b.: grande tela; oppure immagini perdono la drammaticità che le contraddistinguono in partenza e, nelle tracce lasciate dalle cancellazioni, lasciano emergere finalmente una ritrovata serenità, la possibilità di un nuovo inizio.

In questi accoglienti spazi le opere di questi due artisti restituiscono nuove visioni, sanno attirare a sé lo sguardo dello spettatore – a volte troppo sfuggente – chiamandolo direttamente in causa, puntandogli addosso un dito oppure regalandogli brevi attimi di lucida comprensione, come quelli che si possono provare di fronte alla lucente esplosione di un fuoco d’artificio.

Info

  • Dario Agati  |  Fabio Giorgi Alberti – Quite solo
  • Mostra vincitori del Premio Dancity Open Call Control Reversal
  • nell’ambito di Dancity Art Session 2017
  • a cura di Carla Capodimonti e Marta Silvi
  • 16 febbraio – 1 marzo 2018
  • Parte del ciclo AlbumArte | Flash!  Le mostre brevi di AlbumArte
  • AlbumArte, Via Flaminia,122 Roma
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Francesca Campli ha una laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio artistico e una specialistica in Arte Contemporanea con una tesi sul rapporto tra disegno e video. La sua predilizione per linguaggi artistici contemporanei abbatte i confini tra le diverse discipline, portando avanti ricerche che si legano ogni volta a precisi territori e situazioni. La passione per la comunicazione e per il continuo confronto si traducono nelle eterogenee attività che pratica, spaziando dal ruolo di critica e curatrice e quello di educatrice e mediatrice d'arte, spinta dal desiderio di avviare sinergie e confrontarsi con pubblici sempre diversi.

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