La parola cancellata, la parola protetta. Emilio Isgrò e l’arte (sempre) contemporanea

Emilio Isgrò è universalmente conosciuto come l’artista della cancellatura. Nato come poeta, abbandona o meglio circumnaviga l’ambito letterario per tentare un’impresa vertiginosa: cancellare la parola scritta. Un atto distruttivo? Anche, ma coprire, per Isgrò, è svelare una mancanza troppo prossima a venire, è lanciare un allarme, è fare tabula rasa per poter ricominciare.

Proprio per questo un atto così significativo non poteva che esercitarsi su soggetti dal grande valore simbolico: dalla Divina Commedia all’Enciclopedia Treccani.

Ancora più importante quindi che fra i tantissimi incontri di Tempo di Libri gli sia riservato uno spazio per l’analisi del proprio lavoro e del ruolo dell’artista in dialogo con Massimo Bray, che dell’Enciclopedia Treccani è direttore editoriale. Una resa dei conti? Niente affatto. Dal dialogo dei due intellettuale si configura un’analisi essenziale del ruolo dell’artista della società e il riconoscimento di come, in un’era di logorrea bulimica, prendersi il tempo di una cancellatura, di uno spazio bianco (o nero) possa essere l’unica reale soluzione.

Nei primissimi minuti dell’incontro La parola cancellata e dipinta Isgrò afferma:

“ho agito sempre con le migliori intenzioni”.

Bray ride e conferma. Quel gesto non era certo un insulto verso uno dei più grandi contenitori del sapere che la cultura italiana abbia a disposizione. Anzi.

Quello che allora voleva essere un avvertimento, un atto ironico e profondamente concettuale per denunciare una lingua (e di conseguenza una cultura) in pericolo, oggi diventa più che mai vero, più che mai urgente.

Anzi, quella patina di pittura nera da atto censorio si fa atto protettivo, conservativo verso qualcosa – la parola scritta, ponderata, preziosa – che deve essere riscoperto.

E a chi se non all’artista tocca questo ruolo di denuncia, di richiesta d’aiuto?

Artista che deve continuare a essere uomo del proprio tempo, calato nella contemporaneità e capace sia di capirne le dinamiche che di comunicarle. L’isolamento – afferma Isgrò – non è un vanto, è una mancanza.

Certo, proprio perché l’artista deve essere capace di intendere e decifrare le istanze in cui si muove il flusso ininterrotto della vita, spesso succede che non venga compreso appieno. In questo caso, conclude, non resta che aspettare.

E la forza anticipatrice dell’opera di Isgrò è oggi più che evidente. In una realtà mediatica, ipercontenutistica pur nella futilità e transitorietà del suo linguaggio, riscoprire il valore della parola, la sua forza, la sua storia, il suo messaggio è una necessità non più rimandabile.

Rivolgendosi a Isgrò come uno dei maestri che ha sempre cercato una cultura e un’arte diffusa, capace di entrare nelle case di tutti, Bray gli chiede “e oggi, cosa cancelleresti?”.

Risposta: “sempre la Treccani, ma in modo diverso. La trasformerei in un messaggio di pace” e si rifà intanto all’opera che lo affianca per tutta la discussione: un mappamondo quadrato in cui tutti i nomi sono stato cancellati con un tratto nero. Solo parte di quello dell’Oceano Pacifico viene risparmiato e manipolato in un messaggio di concordia.

Proprio perché l’artista ha il dovere di dire ciò che deve essere detto, proprio perché il 9 marzo è per Tempo di libri il giorno dedicato alla ribellione, Isgrò chiude il proprio intervento con una lezione di poetica immanente: c’è stato un tempo in cui il dovere morale degli artisti era quello di ribellarsi e insorgere, senza risparmiare la violenza.

Ma in una contemporaneità iperarmata, pronta a scoppiare nella difesa effimera di un nome, di un credo o di un interesse, il ruolo dell’artista è quello di mostrare la possibilità della strada opposta.

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Nata a Parma nel 1995 e qui incamminata sulla via degli studi umanistici, dal 2014 risiede al Collegio Ghislieri di Pavia. Nell'Ateneo della città studia Lettere Moderne e muove i primi, incerti, decisi passi verso la Storia dell'Arte Contemporanea. Sprovvista della esperienze e della sicurezza che occorrerebbero per parlare di se stessa in terza persona, si limita a seguire ogni strada buona con tutti gli strumenti possibili - che siano un libro, una valigia, un biglietto del cinema. Non sa quello che è, non sa quello che vorrebbe diventare: in mezzo, la voglia di non risparmiarsi e una passione sempiterna per la scrittura e per la cultura dell'Europa centro orientale.

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