Cattive ma non incattivite. Porpora Marcasciano presenta l’Aurora delle Trans Cattive

immagine per Porpora Marcasciano“Ero a Roma, uscivo dalla lezione di psicologia al Magistero e per tornare a casa dovevo attraversare piazza dei Cinquecento che oggi è irriconoscibile ma allora era punto di ritrovo per la comunità omosessuale e transessuale. Molto ingenuamente mi sono ritrovata all’interno di una retata della Buon Costume e mi sono fatta quattro giorni di prigione. Sui muri della mia cella c’erano dei nomi: Samantha, Giulia, Maria e sotto le tacche che corrispondevano ai giorni passati lì dentro. Sopra la cella un cartoncino bianco con scritta la nostra colpa: travestito

Il racconto che potrebbe essere uscito da un libro di Kafka è di Porpora Marcasciano, ora direttrice del MIT (Movimento di Identità Transessuale), in occasione della pubblicazione del suo libro Aurora delle Trans Cattive per i tipi di Alegre.

Parla di un mondo che sembra lontanissimo eppure non si spinge molto più lontano del 1982, parla di un mondo in cui essere cattivi bisognava, bisognava avere la scorza dura, bisognava imparare a sopravvivere, non tanto ad alzare i tacchi quanto scagliarli, in segno di protesta.

Bisognava sopravvivere nonostante gli stereotipi e anzi proprio all’interno di essi. Perché come ricorda Lidia Cirillo, che con Porpora condivide i natali napoletani, gli stereotipi sono comunque dei nomi, sono comunque un modo per parlare di una realtà, per statuirne un’esistenza. E Napoli nei suoi stereotipi ha dimostrato comunque una certa tolleranza verso quelli che venivano chiamati femminielli. Se infatti tutto quello che c’è di negativo in un nome offensivo, in una tolleranza poco dignitosa può essere decostruito e ricostruito, nel silenzio non si può fare nulla, nel silenzio non si può esistere.

E un ritorno al silenzio, allo stare comodi, all’essere così tanto integrati da scomparire è quello su cui Porpora Marcasciano riflette al termine del suo libro. Un libro che non fa sconti a nessuno, come sottolinea a inizio presentazione il filosofo Lorenzo Bernini, che non indugia sul politicamente corretto o su una nostalgia dolciastra di un tempo in cui per sopravvivere ci si poteva (quasi) solo prostituire. Un libro che però getta anche uno sguardo critico sul presente e sul futuro, uno sguardo – per citare Judith Butler – criticamente queer.

Dove queer significa accettare di posizionarsi come elemento non allineato a una norma, significa riflettere sul fatto che se i passi avanti in termini di diritti umani sono innegabili, dove si collocano i tronisti palestrati omosessuali di Maria de Filippi, dove si colloca Vladimir Luxuria come opinionista perbenista dei salotti televisivi? Siamo sicuri che si possa parlare di integrazione?

Non nasce piuttosto lo spettro di un’ “omonorma”, di una “transnorma” che escluda dal suo raggio di azione molti più elementi di quanti non ne include?

Le trans cattive hanno usato le unghie e i denti, ma hanno aperto una breccia in cui quell’essere queer cominciava ad avere il diritto di essere accettato. Accettato che non vuole dire livellato, non vuol dire normato. Accettato significa libero, fiero di esistere, di essere e di essere anche diverso.

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Nata a Parma nel 1995 e qui incamminata sulla via degli studi umanistici, dal 2014 risiede al Collegio Ghislieri di Pavia. Nell'Ateneo della città studia Lettere Moderne e muove i primi, incerti, decisi passi verso la Storia dell'Arte Contemporanea. Sprovvista della esperienze e della sicurezza che occorrerebbero per parlare di se stessa in terza persona, si limita a seguire ogni strada buona con tutti gli strumenti possibili - che siano un libro, una valigia, un biglietto del cinema. Non sa quello che è, non sa quello che vorrebbe diventare: in mezzo, la voglia di non risparmiarsi e una passione sempiterna per la scrittura e per la cultura dell'Europa centro orientale.

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