Linee viventi. Fra parola e illustrazione

Tavola di Manuele Fior

Raccontare una storia: le parole sono sufficienti? Certamente. Basterebbero anche solo le immagini? Probabilmente sì. E allora cosa significa, a cosa serve creare fumetti, illustrare, cercare una compresenza fra parole e immagini?
Provano a rispondere Francesco Cattani, Manuele Fior e Gabriella Giandelli sotto la guida di Alessio Trabacchini nel primo incontro di Book Comics a cura di Bilbolbul e Spazio B**K.

Tre artisti differenti, tre diversi modi di concepire il disegno (e di conseguenza il mondo): dai disegni dinamici sempre “a sottrarre” di Cattani, all’alternarsi di colori e linee nelle tavole di Fior fino alle opere surreali e immobili di Giandelli.

Trabacchini apre la discussione con quella che forse è la domanda delle domande: perché disegnate? Cosa vi piace disegnare?

Ci potremmo chiedere, più in generale, oltre i necessari particolarismi: ma disegnare – e, si badi bene, non un disegnare qualunque, ma quella particolare forma di illustrazione che va a intersecarsi con la scrittura e ne diventa non dipendente ma inscindibile – questo disegnare, dunque, cosa significa?

Disegnare è, prima di tutto, un’esigenza. Su questo i tre autori non sembrano prescindere. Qualcosa che nasce da dentro e non si può evitare e che sceglie, per l’occasione, il modo più immediato, più efficace per comunicarsi.

Disegnare è un mestiere. Deve esistere una predisposizione, questo è sicuro, ma sicuramente nessuno nasce – mi si passi il termine – imparato. Gabriella Giandelli racconta di come, molte volte, arrivata alla fine di un progetto in cui ha imparato a sentirsi “tutt’uno con il pennino” deve tornare indietro e cancellare le prime pagine perché troppo goffe, inadeguate rispetto al resto del libro. “È come se all’inizio avessi sempre le mani di legno” commenta.

E quando si parla di fumetti il problema non si esaurisce nel disegno: trovare la propria “ricetta”, il proprio equilibrio fra illustrazione e narrazione, la quantità e la qualità del testo, la propria dose di sottrazione (di linee, di colori, di dinamiche) e la propria dose di accumulo (di vignette, di forme, di dettagli). E questa ricetta – come la chiama Cattani – non ha una formula fissa, si plasma e si modifica con le storie, con le emozioni, perfino con le età. Un mestiere, quello del disegno, in cui si deve essere disposti a ricominciare sempre da capo.

Disegnare è – nelle parole di Fior – farsi un autoritratto. Che si parli di se stessi o che si parli di qualcun altro. Qualcuno magari, che non si è mai incontrato, qualcuno che non esiste e che bisogna capire così bene da poterlo creare da zero. È necessario comunque concedersi, cedere o meglio ibridare una parte di sé.

Disegnare è affidarsi al lettore e alla sua lettura. Per quanto già le storie non possano che presentarsi alla mente con il colore e la linea che li caratterizza, per quanto possa sembrare che immagini e testo insieme debbano condurre forzatamente dentro un mondo creato da altri, ogni lettore dà inevitabilmente vita alle figure a modo suo. È forse Gabriella Giandelli a riassumere meglio questo concetto: “mi sono accorta che posso illustrare solo per persone che compiono un atto di fiducia nei miei confronti e che posso disegnare solo per chi è disposto a seguire la trama dei miei pensieri”.

Disegnare e raccontare insieme è quindi, con le parole di Trabacchini, una nebulosa di tante altre necessità: saper sottrarre, saper accumulare, saper affascinare, saper sintetizzare, farsi ascoltare, farsi capire, sapersi ascoltare e tradurre.

Creare, insomma, una collisione fra piani diversi e – nel breve spazio di intersezione – creare un mondo.

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Nata a Parma nel 1995 e qui incamminata sulla via degli studi umanistici, dal 2014 risiede al Collegio Ghislieri di Pavia. Nell'Ateneo della città studia Lettere Moderne e muove i primi, incerti, decisi passi verso la Storia dell'Arte Contemporanea. Sprovvista della esperienze e della sicurezza che occorrerebbero per parlare di se stessa in terza persona, si limita a seguire ogni strada buona con tutti gli strumenti possibili - che siano un libro, una valigia, un biglietto del cinema. Non sa quello che è, non sa quello che vorrebbe diventare: in mezzo, la voglia di non risparmiarsi e una passione sempiterna per la scrittura e per la cultura dell'Europa centro orientale.

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