Not Now. Radu Belcin in mostra a Berlino

“Prenderò pace al cuore, esplorerò il mistero“, scrisse Edgar Allan Poe in una delle sue poesie più celebri.

E non ci sono forse parole migliori che possano guidarci attraverso Not Now, mostra di Radu Belcin a Berlino nel nuovo spazio della Galerie Selected Artists di Uwe Goldenstein.

Con i suoi circa 300 metri quadrati, sita in una ex lavanderia, la galleria a pochi passi da Alexanderplatz, gestita insieme a Kai Wermer, diventa altro luogo per quello spazio di riflessione delineato da Goldenstein,  in quella corrente guidata dallo spirito della resilienza melanconica.

Con potenza poetica e visioni drammatiche quanto enigmatiche che fanno emergere l’oscurità dalla normalità, Radu Belcin è uno degli artisti più rappresentativi di quella visione malinconica del mondo che caratterizza il movimento.

L’atmosfera oscura eppure tremendamente attraente che trapela dalle opere di Belcin, i personaggi romantici inseriti in contesti insoliti, collegano a scenari misteriosi e oscuri che ci connettono a Edgar Allan Poe.

Nato a Brasov, in Romania, Belcin ha frequentato la Arts High School di Brasov e poi la National University of Art a Bucharest. Ha esposto in diverse mostre collettive e personali e attualmente è rappresentato dalla Galerie Selected Artists di Berlino, la Galerie Valerie Delaunay di Parigi e la Galerie Martin Mertens di Berlino.

Trovarsi a visitare l’attuale mostra nella nuova galleria Selected Artists, con le sue stanze sotterranee a creare quasi una grotta, un rifugio, dove ad ogni angolo si apre un ambiente di dimensioni sempre diverse e quasi labirintiche, ci offre un riparo sicuro per dare il giusto tempo alla contemplazione, permettendoci di tornare ad osservare, quindi a criticare e riacquisire il nostro lato buio ma personale.

Ed è ora con le opere di Radu Belcin che sconfiniamo, per penetrare in quel mondo sotterraneo che è in ognuno di noi.
I suoi chiaroscuri drammatici, visivamente e psicologicamente suggestivi che rimandano alla pittura, tra gli altri, di Caravaggio e Rembrandt, creano un potente stato emotivo, un senso di malinconia e mistero, di teatralità.

Ma se lo storico dell’arte Rudolf Wittkower scrisse che l’oscurità nei quadri di Caravaggio è qualcosa di negativo buio dove la luce non è – così non è nelle opere di Radu Belcin, dove l’inquietudine e la paura dell’oscurità diventano mezzi per arrivare al reale, innescando un profondo processo liberatorio che porta alla conoscenza della verità e della bellezza del buio.

Dobbiamo ritrovare il tempo, per comprendere meglio.

Un tempo necessario per sentire e non solo per vedere le opere.

I personaggi dipinti da Belcin sono il centro del lavoro, figure spesso isolate, altre volte in gruppo ma sempre sospese, intrappolate in mondi trascendenti.

I volti vanno in fiamme, oppure celati da strati di vernice; altre volte appaiono quasi sereni, in perfetta armonia con l’ambiente onirico.

Sono eroi di un incubo scenografico.

Eroi contemporanei, in grado di suggerire una visione del mondo personale che solo successivamente sarà connessa universalmente.

E allora non è un caso se ci si collega a Joseph Campell, al concetto di mitologia e trasformazione personale per raggiungere la felicità, alla funzione principale del mito, che è quella di sorreggere l’individuo nel viaggio dell’esistenza.

I personaggi di Belcin sono dentro al mito, parte di un racconto che attingendo a temi mitologici guida verso la crescita e la trasformazione

La saggezza simbolica della mitologia è nell’individuo, e questo lo aiuta a rivelare la struttura stessa della psiche portandolo ad applicare le metafore del mito nelle sfide della vita quotidiana.

Un tempo le persone erano unite da credenze comuni, condividendo gli stessi miti. Oggi un flusso infinito di influenze ci costringe a percorrere una via solitaria, annullando la comunicazione e obbligandoci a creare una mitologia personale per trovare la nostra espressione, in grado poi di connettersi in senso generale.

Belcin esplora le identità dell’individuo, del mondo contemporaneo e del mito in mondi sospesi, scenograficamente accattivanti.

È un legame con il passato perché, per usare le parole di De Chirico, senza la scoperta del passato, non è possibile la scoperta del presente.

Lunghe ombre riempiono le scene e poi improvvise esplosioni di luce.

Nella drammaticità del chiaroscuro ci si immerge in questi mondi fiabeschi e di incubo.

Ma incubo o sogno?

Belcin mette in dubbio la routine quotidiana, attira l’attenzione innescando associazioni completamente nuove e sorprendenti di personaggi, di relazioni, azioni, creando un senso surreale che ci lascia disorientati, tra l’anonimato e l’identità, tra sogno e incubo.

Ecco che allora dobbiamo prenderci il tempo per sentire la nostra parte nei suoi dipinti.

Sogno o incubo? Il confine è labile. E la realtà?

Forse l’incubo è proprio lo smascheramento della realtà.

Parlando con Belcin, mi dice: Cerco di creare qualcosa che induca le persone a vedere altre parti di realtà che normalmente non sono così evidenti, evidenziando cose che di solito scivolano dalla routine quotidiana. Sono ispirato dalla vita di tutti i giorni, quindi anche molto dal mio paese, facendo una selezione casuale di ciò che vedo e mi interessa.

Elementi pittorici possono collegarci all’artista belga Michael Borremans, per la creazione di mondi metafisici e surreali, di un immaginario dove i concetti di spazio e tempo non esistono più.

E ancora, dove soggetti anonimi abitano una dimensione determinata dal silenzio.

Ma la predisposizione di una produzione in chiave antinarrativa è ben diversa.

 

Belcin non racconta qualcosa, ma crea mondi onirici di potenza poetica, miti, metafore che allora sì, diventano narrazione autentica, trasparente, empatica.

Il suo essere definito un giovane artista neo-surrealista in realtà andrebbe rifinito.

Belcin infatti sostiene:

Io non concepisco un mondo che non esiste. E se la osserviamo da questo punto di vista non mi considero surrealista. Le situazioni che dipingo non esistono per gli occhi, ma sono parte di noi. Sono parte di un’esperienza umana invisibile che è molto più reale.

In un contesto di banalità visive, si rappresenta la verità interiore.

È una sorta di resilienza quella di Belcin; contro le false illusioni, si scava per arrivare all’autenticità.

Quindi bene mostrare la fragilità, il non senso, il buio, la solitudine, il mistero. Perché ci siamo abituati ad aver paura di questi aspetti. Ma l’oscurità non è qui. È nella normalità.

Ci troviamo davanti ai suoi quadri.

E dopo il giusto tempo che abbiamo imparato a concederci, arriva la catarsi.

Ciò che ci sembra strano, diverso, immagini sorprendenti capaci di stabilizzarci e che poi ci liberano perché mostrano il modo di uscire dalla cecità intellettuale per tornare al reale.

Quello che rimane è la bellezza della pittura, il fascino dei nostri mondi interni, delle nostre realtà. La struttura stessa della psiche.

Info mostra

  • Not Now | Radu Belcin
  • Galerie Selected Artists
  • Choriner Str. 49, 10435 Berlin, Germania
  • Fino a fine maggio 2020
  • Orari: data l’emergenza Covid-19 e il distanziamento sociale imposto dalla situazione, la mostra è visitabile su appuntamento.
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Lucia Rossi, laureata in Arte, Spettacolo e Immagine Multimediale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Parma, è scrittrice, contributing editor per riviste d'arte, curatrice di mostre. Vive e lavora a Berlino. Ha diverse esperienze come curatrice indipendente di eventi culturali e collaborazioni per cataloghi d'arte e pubblicazioni.

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