Daniel Pitín in mostra alla Nicodim Gallery di Los Angeles: A Race of Peeping Toms

Una donna emerge da una piscina di colore e osserva quella che sembra una densa schiuma bianca ormai prossima a travolgerla. C’è quasi tutta la forza del mondo di Daniel Pitín in questo suo ultimo lavoro, Swimming Pool (2020), presentato alla mostra Daniel Pitín: A Race of Peeping Toms in corso alla Nicodim Gallery di Los Angeles.

immagine per Daniel Pitín
Swimming,170 x 220 cm, 2020-Oil, acrylic and glued paper on canvas. Photo Martin Polák

Un momento sospeso, eppure in movimento; uno scatto lento pronto a muoversi.

E ci sono gli indizi, quei tanti piccoli rimandi che per scovarli tutti si deve osservare il quadro con attenzione. Le pennellate vigorose, il colore spesso, la luce e gli angoli bui.

C’è la pittura, una pittura scenografica. E ci sono i soggetti, quasi congelati, ma il loro respiro invade la tela.

Il linguaggio ricco di suggerimenti ed espressioni caratterizza la pittura di questo artista di Praga che espone principalmente in prestigiose gallerie in Repubblica Ceca, America e Germania.

In Italia ricordiamo la sua partecipazione alla collettiva, tra il 2017-2018, alla Fondazione Stelline di Milano, sulle nuove tendenze della pittura figurativa contemporanea, a cura di Demetrio Paparoni.

Ma è principalmente all’estero che dobbiamo guardare per seguire uno degli esponenti più interessanti di una generazione di artisti dell’Europa centrale e orientale che, alla caduta del comunismo, indaga le conseguenze politiche, psicologiche ma anche architettoniche di una visione distopica.

Sono proprio le esperienze che emergono dagli strati di colore, vissuti appannati dagli anni che riappaiono in superficie attraverso segni, simbologie che trovano nel cinema una fonte preziosa. E non è un caso se proprio da Hitchcock arriva la maggior influenza, con quei palcoscenici minimali, le spie e i set teatrali.

Non solo con la pittura. Nella videoinstallazione Broken Windows (2019) le scene originali del film La finestra sul cortile di Hitchcock sono proiettate all’interno di un cartone pitturato di vernice, creando una visione altra, a tratti innaturale, comica e drammatica, capace di emancipare il nostro senso della vista.

E se le analogie espressive possono sembrare simili, gli elementi sotterranei in Pitín sono forse più complessi quanto lo sono nella realtà che viviamo oggi. Informazioni e accezioni si uniscono, si sovrappongono, nascondendosi per poi tornare alla luce.

Impulsi che emergono da ogni parte, per scomparire e riapparire più insistenti e popolare infine scene architettoniche ora più reali e conosciute.

La piscina di Swimming Pool usa indizi che possiamo riconoscere o che ci sono familiari. È Romy Schneider la donna che vediamo di spalle, la Marianne del film La Piscina del 1969 di Jacques Deray.

È lei che è quasi intrappolata nella densa struttura del dipinto fatto di tanto materiale, anche di carta incollata, che suggerisce, con la sua fisicità tangibile, informazioni ulteriori. Se si osserva il quadro da vicino non si vedono che semplici gocce di colore, ma è allontanandoci che riusciamo a collegare la scena nel suo insieme.

Tutti questi elementi, fisici, di lavorazione del materiale, di linguaggio, aiutano a riflettere quella posizione mentale che si trova tra illusione e realtà, mostrando il divario tra le due condizioni.

E allora ecco che il nostro spazio diventa di carta. Uno spazio che si sforza di essere reale ma che altro non può essere se non un’illusione.

È proprio su questo aspetto che maggiormente si concentra l’arte di Daniel Pitín, sul nostro essere sempre presenti in un mondo dei media, sulla sottile linea che delimita la realtà e la sua illusione.

Siamo diventati una razza di guardoni, dice l’infermiera Stella a Jeff in La finestra sul cortile. Ma noi guardoni (Peeping Toms) siamo immobili, bloccati, costretti a osservare vicissitudini passivamente, inermi.

Come in Flying Nurse (2020), dove chiara è la relazione con l’attuale periodo pandemico che stiamo vivendo. Ci troviamo indifesi, senza nemmeno fragili appigli.

Mi stavo chiedendo, è un sogno o è realtà? Mi dice Daniel Pitín.

Tutti i vari elementi aiutano in questa sua trappola che appare visivamente semplice a primo impatto, ma che ci trascina invece sempre più in profondità, sotto gli strati di colore, all’interno di un’architettura che scopriamo essere un’illusione, in mezzo a personaggi che si trovano in una realtà offuscata e a scene teatrali dove la malinconia gioca un ruolo importante.

Una malinconia che non siamo abituati a sopportare, ma che è reale, profonda e favorevole. Ce ne siamo allontanati, sfuggendo anche dalla continuità con il passato.

Troviamo la pittura, e tutta la sua potenza. Ci sono quindi opere pronte a studiare e focalizzarsi più sul fare stesso della composizione, come in Bladder Cherry (2010) dove questo strano fiore, che dà il titolo all’opera, diventa mezzo per esplorare le forme organiche permettendo all’artista di analizzare lo spazio tra un modello reale e la composizione geometrica.

Ogni aspetto nelle opere di Pitín, a livello concettuale e strutturale, rimanda a un comportamento-reazione e crea una linea che separa precisamente i ricordi individuali da quelli condivisi dalla collettività.

Intrappolati ad osservare molteplici dinamiche ci si trova in un reale che è paradossale, e che genera comportamenti ancora più paradossali partorendo figure che ci ricordano quelle kafkiane.

Prende vita un contrasto che pare irragionevole, ma che rivela aspetti profondi e interiori.

La sua arte è legata alla vita reale e allo stesso tempo è straordinariamente una rappresentazione metafisica. I soggetti appaiono e scompaiono in un gioco di sottrazione di identità e di spazi che viviamo chiaramente nella quotidianità reale e virtuale.

Immergendosi nelle sue seducenti architetture si entra a far parte di scenografie nelle quali percezioni e ricordi individuali e collettivi si incontrano, di zone reali e illusorie, private, universali e manipolate. Dobbiamo essere pronti a decostruire e a ricreare continuamente.

Arriva un momento, quando osserviamo a lungo le opere di Daniel Pitín, che accade: sentiamo un suono di vetri rotti da una finestra sul cortile.

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Lucia Rossi, laureata in Arte, Spettacolo e Immagine Multimediale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Parma, è scrittrice, contributing editor per riviste d'arte, curatrice di mostre. Vive e lavora a Berlino. Ha diverse esperienze come curatrice indipendente di eventi culturali e collaborazioni per cataloghi d'arte e pubblicazioni.

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