Félix González-Torres il poeta romantico – Friendly#2

Felix Gonzales-Torres, Untitled 1991 (detail)

Il mio poeta romantico preferito nell’arte contemporanea è Félix González-Torres (Guáimaro, Camagüei, 1957 – Miami 1996).

La prima volta che ho visto un suo lavoro è stato nel Padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 2007, la quale ha omaggiato questo artista con una delle sue opere più conosciute: una grande installazione di caramelle lasciate a terra per esaurirsi, metafora del destino dell’uomo. Sono rimasta colpita dalla forza emotiva del suo lavoro ed ho iniziato a studiarlo e a cercare qualsiasi cosa su di lui, oltre ad essermi portata a casa due delle caramelle che erano in Biennale.

Nato a Porto Rico, si trasferisce poi a New York,  dove ha un buon successo come artista minimalista.  Affronta tematiche ancora scottanti negli anni ’90 della puritana America, come, la differenza di generi sessuali, l’AIDS, e la solitudine delle culture che stavano ai margini del grande Zio Sam.

L’amore e la paura sono i temi centrali del suo lavoro, accumulazioni di fogli, caramelle, lampadine, opere con tende, orologi, letti, perché dobbiamo essere abituati a ‘sentire’ non a pensare.

Mi piace lavorare sulle contraddizioni: creare opere completamente private, e allo stesso tempo creare lavori pubblici e accessibili… Tutti questi lavori sono indistruttibili, perché possono essere duplicati all’infinito. Esisteranno sempre perché in realtà non esistono, o perché non devono esistere per sempre.  Sono creati per le mostre, o a volte sono creati in luoghi diversi contemporaneamente. Non esiste un originale, ma solo un certificato di originalità. Cerco di alterare il sistema di distribuzione di un’idea attraverso la pratica artistica; ed è quindi imperativo che l’opera investighi anche nuove nozioni di allestimento, produzione e originalità… Come sappiamo, il contesto attribuisce il senso agli oggetti. Il linguaggio delle mie opere dipende, in gran parte, dal fatto che sono esposti e letti in contesti artistici: gallerie d’arte e giornali.” (Félix González-Torres, da un’intervista di Tim Rollins).

Una delle sue opere che mi ha rapito letteralmente il cuore è Untitled 1991.

Siamo nel 1991 ed espone, in formato gigante, una fotografia di un letto bianco dove si percepisce (tra le increspature delle lenzuola e le sagome impresse sui cuscini) la presenza di due corpi: succede a New York in 24 luoghi pubblici.

Un’immagine intima, privata, quasi imposta allo sguardo, lì dove passano milioni di persone al giorno. Mamme che portano a scuola i figli, manager che corrono per andare in ufficio: mi immagino il mondo newyorchese che passa sotto questo letto e che si domanda cosa rappresenti quella foto, cosa racconti, quale geniale trovata pubblicitaria sia.

Quello era il letto di González-Torres e il suo compagno Ross, da poco scomparso dopo una lunga malattia.

Questo è l’amore raccontato.
Una vera purificazione, un autentica trasfigurazione della  sofferenza,  attraverso immagini che da personali diventano pubbliche.
La prima cosa che mi è venuta in mente è stata, che coraggio.
Io che nella vita riesco, sì e no, a dire se sto bene o se sto male, e lui che in una sola foto riesce a raccontare il dolore, l’ amore, la passione, la condivisione, il sacrificio e la morte.

Che potenza l’arte.

González-Torres sa costruire la realtà, conosce il modo per rappresentarla e per parlare di sé e della sua storia.
E la sua storia è il suo compagno e l’amore che hanno vissuto insieme e la forza di raccontarlo, senza paura, senza vergogna, perché di un sentimento così bisogna solo esserne fieri.
Una narrazione sicuramente concettuale la sua che a me piace perché è diretta e senza orpelli, senza quella vena smielata che spesso associamo all’amore.
Qui prevale una dimensione più incisiva e piena d’impeto.
Il talamo vuoto, ma con ancora il segno del loro passato, l’immagine di ciò che è stato e non c’è più, perché uno dei due è morto, ma l’amore è ancora lì vivo.
La coppia che si trasfigura in simbolo di un legame che la trascende. Che ci trascende nel mutare delle relazioni ma che sempre e incessantemente ricerchiamo.
Una dedica all’assenza, all’inevitabile mancanza che solo il più grande dei sentimenti riesce a farci percepire in tutta la sua potenza, di gioia e dolore… con coinvolgimento, forza poetica e suggestione.

In questi giorni fino al 20 luglio ci sono ancora due mostre di González-Torres: curate da Julie Ault e Roni Horn. Una in Italia a Milano galleria Massimo De Carlo (Via Giovanni Ventura, 5 – www.massimodecarlo.com)  e l’altra in  Inghilterra, a Londra, alla Hauser & Wirth Gallery  (23 Savile Row W1S 2ET – www.hauserwirth.com).

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Serena Achilli, studiosa appassionata d'arte contemporanea, è curatrice indipendente e direttore artistico di Algoritmo Festival. Scrive per raccontare la propria contemporaneità cercando con cura pensieri e parole. Ha un Blog in cui c'è tutto questo e altro ancora.

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