Sveva Angeletti e i suoi spazi possibili. L’intervista

immagine per Sveva Angeletti
Sveva Angeletti, due tonnellate e mezzo di vuoto Matera

Fotografie, installazioni, video e  atti performativi realizzati con una maturità ed una raffinatezza che è raro vedere in un giovane artista. Sveva Angeletti ha 27 anni, nasce a Rieti, ma vive e lavora a Roma dove prima frequenta la Rome University of Fine Art (R.U.F.A.) e poi inizia, da subito, ad inserirsi nel mondo dell’arte contemporanea. Due mostre al castello di Rivara curate da Franz Paludetto, va in residenza ai Bocs Art curati da Alberto Dambruoso, una collettiva al festival dei Due Mondi a Spoleto, ecco  solo alcuni degli About di Sveva.

I corpi, le persone, i luoghi e i ricordi fanno parte del lavoro di quest’artista, che istintivamente crea per immagini in una continua ricerca di spazi possibili dove potersi muovere nell’approfondimento e nella conoscenza di sé e dell’altro. Una poetica essenziale la sua, senza fronzoli o sbavature.

Conosciamola meglio.

Durante l’ultima tua mostra La migliore prevenzione è il ricordo, svoltasi all’interno di un appartamento vuoto, hai costruito un percorso fatto di frame della tua vita e impronte di memoria in una perfetta costruzione installativa. Quanto è importante per te il tuo vissuto per raccontarlo spesso nei tuoi lavori?

“Mi capita  di rincorrere la vita, superarla, perderla e ritrovarla, insomma di non stare mai al passo con me; non sono portata all’andamento costante. Da piccola facevo i salti mortali, per davvero non in senso lato, e più o meno l’iter era sempre quello: lungo periodo di preparazione, e poi, in circa 2 secondi e mezzo, giri in aria senza mani e ricadi in piedi.”

Nel frattempo delle persone ti giudicano e ti votano.

“Sono cresciuta con la ginnastica artistica e i Red Hot Chili Peppers, due cose che ancora oggi non riesco a mettere insieme, ma a loro modo mi hanno formato la parte metodica e la parte ribelle. Tuttavia sono stata abituata a mettere le mie abilità al giudizio di qualcuno. Questo ha determinato in me il fatto di pormi al centro del mio pensiero artistico, e come cavia da laboratorio, ho approfondito me stessa in quanto unica realtà controllabile e gestibile in un percorso di studio costante: le mie percezioni, la mia vita, la mia interiorità. Ho lavorato molto sulla ricerca d’identità, sia sull’analisi del rapporto tra diverse individualità, quindi sulla loro comunicazione verbale e fisica, sia sull’analisi di realtà simultanee che si auto-determinano come palcoscenici per le identità. Questa ricerca va di pari passo con la mia esistenza, entrambe si influenzano e si mescolano in un confronto continuo di  intuizioni che hanno bisogno di conferme e/o smentite.”

Nella mostra La migliore prevenzione è il ricordo il progetto realizzato, si è espresso nel suo habitat naturale, pur essendo uno spazio altro rispetto all’arte contemporanea: un appartamento in un momento di transizione tra la fine di esperienze vissute al suo interno, e l’inizio di nuove.

“E’ stato per me, un esercizio molto interessante approcciare a questo tipo di spazio, ed integrare al suo interno un lavoro di tipo installativo.”

Sono curiosa di sapere cosa vuol dire per te essere  artista emergente in questo momento storico,  e se hai dei  punti di riferimento intoccabili.

“Essere un’artista emergente è difficile, come è difficile essere un giovane che vuole lavorare e costruire il suo futuro, in un paese come il nostro in questo specifico momento storico. Credo in modo categorico, che ci sia bisogno di farsi carico di una profonda responsabilità sociale, poiché è solo dalla radicazione del seme della cultura che si possono mettere nuove basi. Non voglio sottolineare quanto sia complicato auto determinarsi come artista, e quanto sia difficile porsi degli obbiettivi mancando in modo assoluto supporti istituzionali, piuttosto voglio dire che in pervicacia ho trovato quelle ancore, quelle pepite preziose che mi hanno dato la forza di andare oltre.

Una di queste è Franz Paludetto. Il nostro sodalizio è nato anni fa quando ha ospitato la mia prima mostra quando avevo di 21 anni; persona straordinaria, Paludetto, in grado di trasmettere un’entusiasmo fuori dal comune, lui, di un paio di generazioni più vecchio di me, è forse tra i più giovani che abbia incontrato nel mio percorso.

Un altro intoccabile lo identifico nella figura di Mustafa Sabbagh, che con il suo lavoro e con il suo essere, ad un certo punto della mia esistenza, mi ha fatto aprire gli occhi alla vera bellezza, e questo ha cambiato il mio modo di vedere.”.

Parliamo del tuo ultimo progetto dove, all’interno di Matera Capitale Europea della Cultura 2019, la Fondazione Sassi propone 12 finestre Windows sull’arte contemporanea durante tutto l’anno in corso. Tu sei all’interno della quinta finestra insieme a Claudio Di Lascio e Ruben Patella, con la mostra Contemporary Roots curata da Valerio Vitale. Hai realizzato un lavoro site specif dal titolo Due tonnellate e mezzo di vuoto: ce lo racconti?

“Il progetto Due tonnellate e mezzo di vuoto è nato durante il sopralluogo a Matera, quando mi sono confrontata per la prima volta con la città.

Sono arrivata in un giorno di metà Novembre: tanto freddo, tanta nebbia e l’impressione di vivere dentro una scenografia alla fine del film, quando tutti sono andati a casa. Ho percepito un’architettura che vuole insinuarsi con le sue strutture accalcate, sovrapposte e tra di loro dentro la terra, in profonda dissonanza con il silenzio dell’assenza di persone. Ho trovato questo rapporto in qualche modo paradossale, ed ha catturato da subito la mia attenzione. Questo contrasto tra il pieno e il vuoto, che caratterizza anche la geologia del luogo nelle formazioni ipogee, è stato il punto di partenza per la mia riflessione.

Da tempo ragionavo sull’idea del vuoto e del pieno, dell’assenza e della presenza; principalmente mi interessava l’idea della complementarità delle due entità (pieno e vuoto, appunto) e di quanto, pur essendo opposte, la loro esistenza dipenda l’una dall’altra reciprocamente. In sostanza ho scelto di quantificare un volume x di materiale asportato dalla terra per ricavarne un vuoto, quindi ho lavorato in una cava a una ventina di km da Matera per quantificare 2 tonnellate e mezzo di polvere di tufo; le ho riposte poi in un cumulo, realizzando una documentazione video, dando particolare attenzione al paradosso della rappresentazione di un vuoto attraverso una manifestazione materica e piena.”

Infine, mi hai raccontato che con un gruppo di artisti avete aperto uno spazio a Roma che vi autogestite, ci vuoi spiegare  di cosa si tratta?

“Da un lato, come dicevo prima, non è semplice porsi degli obbiettivi se non viene riconosciuta la tua funzione sociale, inoltre, restringendo il campo al sistema dell’arte, integrarsi in dinamiche profondamente radicate non è impossibile, ma ha i suoi pro e i suoi contro. Dall’altro, quello che ho sempre ritenuto fondamentale, è l’importanza del confronto, della condivisione di riflessioni, della contaminazione reciproca e della continua  sperimentazione.

Quindi ad un certo punto del mio percorso artistico, un insieme di fattori mi ha portato a scegliere per l’autogestione di un sistema quasi accademico di lavoro collettivo, che da una parte tutela la possibilità di lavorare autonomamente, dall’altro dà spazio al confronto e alla crescita artistica.

Su questi principi, tre anni fa, è nato lo Spazio InSitu, che con il tempo si è ampliato e ha preso piede, diventando così una realtà riconosciuta. Il nostro è uno spazio contenitore, all’interno del quale si sviluppano progetti personali o collettivi ed esposizioni di artisti interni od esterni, in base ad una programmazione artistica studiata di anno in anno. La prospettiva nel futuro più immediato è quella di creare una rete nazionale di spazi indipendenti come il nostro, con cui condividere idee, ricerche artistiche e progetti collettivi.”

+ ARTICOLI

Serena Achilli, studiosa appassionata d'arte contemporanea, è curatrice indipendente e direttore artistico di Algoritmo Festival. Scrive per raccontare la propria contemporaneità cercando con cura pensieri e parole. Ha un Blog in cui c'è tutto questo e altro ancora.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.