Alessandro Valeri. Il suo studio, il suo lavoro. Friendly#3

A. Valeri, frame dal video in mostra al MACRO, 2016, Lasciami Entrare

In macchina poco fuori Narni, in provincia di Terni, mi arrocco su una stradina a tratti impervia, scollino e mi trovo davanti vista stupenda. Querce, lecci, oliveti, piante secolari e in mezzo un  antico casale storico, risalente per una parte al Quattrocento e l’altra all’Ottocento. Mi accoglie il proprietario di casa che con fatica, tanto amore e rispetto per la natura, nell’arco di qualche anno lo ha restaurato e ne ha fatto il suo rifugio e studio.

Alessandro Valeri vive e lavora tra Roma (dove ha un altro studio) e il mondo, ma quando è possibile è a Narni che trova maggiore ispirazione.

Così conosco uno tra i più apprezzati fotografi e videomaker nell’ambito della comunicazione, che prima di tutto è un artista multimediale. E’ bello il suo percorso, di uomo e professionista, e mi va di raccontarlo esattamente come lui lo ha raccontato a me.

Già a 11 anni inizia a prendere in mano la macchina da presa e quella fotografica. In seguito si diploma presso l’Istituto di Stato per la cinematografia e televisione Roberto Rossellini (Roma). Il suo primo studio fotografico lo apre a 21 anni cominciando a lavorare in teatro: è qui che inizia ad affinare la tecnica, mentre i suoi guadagni vanno tutti per acquistare materiali utili al suo lavoro. La sua bravura e tenacia lo portano a una serie di successi importantissimi: realizza campagne pubblicitarie per la Pirelli, Telecom, Fendi, Vogue, New York Times (solo per citarne alcune) e pubblicità per il sociale come per il telefono azzurro.  Ma è dalla fine degli anni ’90 che Alessandro inizia a dare respiro alla sua arte, che si allontana e mette in scena un pensiero , il suo, utilizzando i mezzi giusti.

Entrando nel suo studio, che era una stalla ed è parte integrante della casa, guardo con entusiasmo e allo stesso tempo con discrezione alcuni dei suoi progetti. E’ un luogo pieno di luce con tavoli per dipingere, divani per pensare, colori, matite, carta da spolvero, fotografie e anche un paio di vecchie moto che sono lì in attesa di essere guidate.

Un luogo ordinato, dove in angoli differenti esulle diverse pareti c’è la storia di una ricerca, un percorso che Valeri persegue da anni. Il progetto è unico, sebbene dislocato in vari itinerari che hanno segnato le soste di un vero e proprio pellegrinaggio: mostre a partire dal 1995 curate da Achille Bonito Oliva, Ludovico Pratesi, Jannis Kounellis,  Raffaele Gavarro in luoghi come il Pan di Napoli o Palazzo Reale a Milano o la Biennale di Venezia.

Vengo particolarmente colpita da una di queste soste: sia chiama Circo ed è una mostra realizzata al Ponte (Roma) nel 2013.  Nel 1999 Alessandro decide di vedere e capire cos’è la vita del circo, quindi si stabilisce con la famiglia Togni per più di un mese. Giorni trascorsi senza macchina fotografica al collo, solo lui e la quotidianità con trapezisti, domatori di leoni, giocolieri, clown, acrobati.  Dormire con loro, mangiare, guardarli fare le prove, gli spettacoli, le luci i lustrini, la fatica, e i sorrisi. Seguendo inconsciamente il metodo Stanislavskij, si immedesima in ciò che vuole rappresentare. Poi, solo all’ultimo, in poche ore, concentra questa straordinaria esperienza in un solo rullino da 24 pose. Quelle che poi andranno in mostra. Le foto però sono solo un pezzo del suo lavoro, perché dopo la stampa le monta su una tela bianca (con una tecnica solo sua) e quindi interviene su ogni quadro inserendo dei segni, compiendo quel gesto che conclude.

La mia emozione davanti a queste immagini è stata subito positiva, perché il circo a me ha sempre messo tristezza, mentre invece lì vedo per la prima volta qualcosa di diverso. Non c’è malinconia, o forse c’è ma non è quella che ti infastidisce il cuore, e non c’è neanche quel gioco o quella luce forzata. In esse trovo invece un po’ di pace, figure che danno serenità mentre le guardi, e che allo stesso tempo guardano te, sembrano vederti dentro.

Un’altra sosta importante per lui è stata Stai come me (che titolo romantico!),  realizzata a Terni nel 2014 alla Medioarea Gallery. Una mostra messa in piedi per essere una performance continua, che ogni settimana scopriva e apriva visioni diverse per far interagire e incuriosire il visitatore. Niente di statico, solo movimento: lì anche la struttura costruita da Valeri per il percorso da seguire nella gallery diventa un’opera d’arte, tanto che una sua porzione la ritrovo oggi appesa nella sua casa.

Poi vedo una stampa con Topolino attraversato da un segno rosso e iniziamo a parlare di bambini. Nel 2011, durante un suo viaggio in Israele, Alessandro visita un orfanotrofio a Tsippori (vicino Nazareth), dentro un kibbuz ebraico dove delle suore si prendono cura di bambini di tutte le etnie e tutte le fedi. E’ allora che decide di scattare delle foto e di realizzare dei video non solo per documentare, ma per costruire, formare un’idea di quello che succede lì e donare tutto quello che produrrà all’orfanotrofio. Nel 2015 alla Giudecca per la Biennale di Venezia, inizia ad esporre con Sepphoris i volti e la storia di questi bambini e di chi impegna tutto il suo tempo per loro, per rappresentare la tolleranza e la possibilità per il mondo di essere migliore. Se è vero che la motivazione è ciò che muove tutto, che fa la differenza per concretizzare, allora questo artista ha trovato la sua nella necessità di raccontare la vita. L’immagine per lui ormai è diventata solo un supporto per andare oltre la fotografia.

La mostra Lasciami entrare (protratta fino al 28 agosto al Macro Testaccio) è quasi un seguito ideale di Tsippori. Valeri vi affronta lo stesso tema, che però nello spazio della Pelanda prende una forma diversa. Le idee per l’installazione vengono anche dal contesto/contenitore, e quindi matite spezzate, zucchero filato, un banco di scuola appeso al soffitto e grandi tele con le immagini impresse, perché così devono rimanere nella testa e nel cuore di chi va a vederle: impresse.

Dobbiamo aver sempre presente il diritto dei bambini di avere un’istruzione anche se vivono in mezzo a quello che i grandi stanno distruggendo, è il messaggio. Il diritto di avere un gioco, un dolce, una mano che li possa accompagnare e sostenere, un sorriso e un “non ti preoccupare, ci sono io”. Per questo Alessandro ci ha lasciati entrare: per ricordarcelo.

Nuove idee e nuovi progetti sono in movimento per Valeri che, cosa da non sottovalutare, ama confrontarsi con altri artisti per stabilire connessioni e collaborazioni.

Io intanto lo ringrazio per avermi accolto nel suo mondo e per avermelo mostrato.

Altro, su Alessandro Valeri: http://www.artapartofculture.net/2016/03/30/sepphoris-e-anche-arte-contro-la-disintegrazione-della-coscienza-umana-breve-conversazione-con-alessandro-valeri/

 

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Serena Achilli, studiosa appassionata d'arte contemporanea, è curatrice indipendente e direttore artistico di Algoritmo Festival. Scrive per raccontare la propria contemporaneità cercando con cura pensieri e parole. Ha un Blog in cui c'è tutto questo e altro ancora.

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