Montefiascone alle porte di Roma per un Face to Face dell’arte nell’ex carcere

foto di Serena Achilli

Maièutica, arte ostetrica, o meglio il metodo dialogico di Socrate dove una persona aiuta il suo interlocutore ad arrivare ad una verità in maniera autentica.

Da sette anni nell’ex carcere di Montefiascone (Viterbo), un gruppo di amici organizza sempre nel mese di agosto un evento legato all’arte contemporanea. Si chiamano: Martin Figura, Saskia Menting, Francesco Marzetti, Carmine Leta, Marinella Breccola, Martapesta e Regula Zwickly, e  sono Arteliberatutti. Sono artisti o comunque si occupano di arte; alcuni della provincia di Viterbo ed altri invece hanno scelto di vivere nella Tuscia. Un collettivo questo, che in un paese di poco più di 13.ooo abitanti ed in piena festa del vino Est Est Est, sfida sempre il caldo e l’attrazione del vicino lago, per portare un po’ di cultura e di arte. Ogni anno è coinvolto un curatore diverso e quest’anno (come anche nel 2016) è Giorgio de Finis che firma con loro questo progetto,  visitabile fino al 14 agosto e titolato Face to Face. The maieutic machine.

Il concept è quello di alternare circa 80 persone, o meglio artisti in diversi campi, che rinchiusi all’interno di celle (singole) si confrontano ogni 10 minuti con un pubblico diverso. Sempre a tu per tu,  face to face, appunto.

Parlando con il curatore, capisco che il suo scopo è quello di creare un ludico scambio tra l’artista ed il visitatore. L’artista, anche se e quando non è esclusivamente tale, diventa performer e si mette per forza di cose in relazione diretta con il pubblico, per superare i propri confini. Questo riferito anche ad un momento storico come il nostro, pieno si di libertà, ma anche di isolamento. In quest’ottica, una situazione corale, come questa, può rappresentare un punto da cui partire, un approfondimento e un arricchimento.

Devo dire che almeno la mia esperienza di visita, in questo piccolo penitenziario, è stata di gioco. Intanto il luogo, malgrado sia un ex carcere non è poi così angosciante. Si entra in un posto assolutamente non cupo, con corridoi illuminati fino a tardi di luce naturale che entra da grandi finestroni. Giovani secondini ti accompagnano alla tua cella, entri e ti chiudono la porta dietro (da dentro non si apre, ovviamente), e già per me scatta il primo atto di fede verso l’arte: soffro di claustrofobia e mi chiudono in una stanza senza neanche avere la possibilità di riaprire da sola… Cerco di tranquillizzarmi subito e inizio a relazionarmi cella dopo cella con tutti. Non sai mai chi ti trovi di fronte quando entri, e con cosa o come si svolgeranno i tuoi 10 minuti in compagnia di una persona a te sconosciuta. Al suono di una campanella, via, si esce, per rientrare in un mondo diverso. In tutto questo, io…: ho costruito linee con delle attache, dipinto il buco dell’ozono, visto portfoli, mangiato arance, tenuto con la mano il polpaccio di un uomo, fatto chiacchere sul lavoro mal retribuito, quasi dormito sulla mano di una donna, discusso sul perché la pecora Dolly ce la siamo dimenticata, fatto un disegno a 4 mani, cercato alchimie colorate, scritto bendata, ed infine mi hanno pettinata, anche se odio farmi toccare i capelli. Ho parlato poi di ambiente, di segreti che non si svelano ma si svegliano, di tecnologia e social,  di botanica e alla fine sono uscita con un segno arancione sulla fronte.

Dopo la stanza di defaticamento, e qualche minuto per rientrare nel mondo esterno, ho pensato di aver partecipato ad un esperimento antropologico sul lasciarsi andare all’altro.

Sia gli artisti che i visitatori sono sollecitati a fare o solo a guardare,  i primi,  una volta preparato il loro modulo sono per 5 ore al giorno, per due giorni consecutivi,  lì in maniera performativa; mentre chi decide di andarli a visitare li asseconda (può anche non farlo) e viene guidato all’interno di una maieutic machine. C’è una forma di cattività in tutto questo, sempre dentro un carcere siamo, che forse serve per investigare sulle relazioni sociali. Una ricerca sul campo di percorsi culturali e sui diversi modi di percepire il mondo in modo reciproco, tra il carcerato e l’ospite.

Un evento di studio a più voci, con l’arte come espediente e fonte di riflessione, anche se  da un punto di vista strettamente artistico forse sono tanti i nomi coinvolti, cosa che fa oscillare il livello, ma come esperienza personale l’ho trovata divertente e coinvolgente. Perché Face to Face non ti fa vedere o vivere l’arte tout court, ma ti inserisce in un percorso di esplorazione e conoscenza umana, questo sì.

Info

  • Montefiascone
  • Ex Carcere
  • Piazza Urbano V
  • Fino al 14 Agosto 2017
  • Dalle ore 17,00 alle ore 22,00
+ ARTICOLI

Serena Achilli, studiosa appassionata d'arte contemporanea, è curatrice indipendente e direttore artistico di Algoritmo Festival. Scrive per raccontare la propria contemporaneità cercando con cura pensieri e parole. Ha un Blog in cui c'è tutto questo e altro ancora.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.