Dall’autocelebrazione di Verona al disimpegno di Bologna

ARTEFIERA2017

Arte Fiera numero 41 svela la sua vera natura rottamando l’internazionalità. Ma perché?

La lode e la critica sono opinioni raffinate, che soddisfano in maniera diversa chi le dà e chi le riceve; non importa poi quanto sia difficile l’analisi del testo a noi sottoposto, l’importante è che ognuno dica la sua. Dinamica che in questi giorni ha trovato ampi imbarazzi nella partecipazione e nella spiegazione di Arte Fiera a firma Angela Vettese, da poco conclusa nei padiglioni 25 e 26 di Bologna.

Sia com’è o non sia, questo lo slogan che meglio descrive il post fiera. Sembra, infatti, compiuto l’impegno dell’atteso neo Direttore che – in mertio alla 41esima edizione – prometteva di “non dare un’impronta di carattere forzatamente internazionale, ma di  fare quello che Bologna è sempre stata: la fiera italiana per antonomasia e di qualità”. Dichiarazione che non solo risponde con verità a quella che, di fatto, è la kermesse più locale del mondo con quasi l’80% di presenze italiane, ma al contempo chiede ai ruoli sociali impiegati nell’evento fieristico di raccontarsi per il modo in cui qualcuno è.

Che sia per genesi, per ridurre i costi di promozione o per la dilagante incertezza connessa alle proposte di mercato, l’idea di ridimensionare in confini nostrani l’immaginario fieristico pare sia tra le scelte più adottate degli ultimi appuntamenti.

Se la scorsa edizione di ArtVerona associava la sua identità all’imprenditoria e alle relazioni da salotto (http://www.artapartofculture.net/2016/10/14/artverona-2016-progetta-una-fiera-da-salotto/); Arte Fiera  numero 41 sembra essersi disimpegnata dall’idea di coagulare un customer di riferimento intorno ad un’offerta preconfezionata, affidando in questo modo la responsabilità al solo espositore di formulare attrattive per raggiungere quello che inevitabilmente è il suo pubblico di riferimento. Una libertà d’azione che, oltre a concentrare la domanda all’interno di cellule differenti per gusti e preferenze, inietta nell’organismo fieristico le dinamiche di mercato legate alle aste, nelle quali più che promozioni si testano nuovi trend.  Ecco dunque che negli allestimenti in fiera la Pop Art e l’Arte Cinetica, hanno dilagato come un virus tra uno stand e il dubbio di aver fatto la scelta giusta.

Dopo quanto detto, tra le note comportamentali che meglio tracciano questo stato d’incertezza, risuona la preannunciata unione del contemporaneo con il moderno, giustificata dal fatto che il periodo che intercorre “dal 900 sino al 2000, sia un tempo troppo breve per fare delle sezioni separate”. Operazione che in realtà ha permesso agli antichi maestri di soffocare la già magra presenza di novità. Conferma del fatto che l’arte contemporanea non corrisponde ancora a una certezza di mercato? O peggio ancora, tanto per parafrasare Peter Bürger, il contemporaneo ha perso un po’ della sua grinta nei confronti dell’avversario?

Di certo però sappiamo che una volta sollevato il velo di maya dalle questioni legate alla lotta fra contemporaneo e moderno e dalle allucinazioni esterofile, quello che appare nella realtà delle  cose è la sincerità disarmante del neo Direttore Angela Vettese, che con estrema semplicità è riuscita a flettere lo specchio critico su Bologna, lasciando a quest’ultima e a tutti gli attori coinvolti nei tre giorni bolognesi, la possibilità di riflettervi la propria natura. Un ottimo epilogo che, pur uguagliando le autonomie tra chi dirige e chi è diretto, si completa in un’analisi pungente sul desiderio di essere migliori e il conflitto di essere quel che si è. Lezione magistrale, senza alcun dubbio, che però trova l’apice della sua tragicomica innocenza nel momento in cui viene chiesto alla fiera di fare quello per cui è. Sfoltendo la quantità di gallerie partecipanti a favore di una maggiore qualità, Arte Fiera cade vittima di se stessa se si pensa che il numero dei partecipanti (222 nel 2015 contro i 153 di quest’anno) rimane per l’Italia uno dei processi adottati per descrivere la crescita del mercato dell’arte. Come suggerito dai più autorevoli blogger (http://www.donorioroberto.flazio.com/#!/blab-artissima2017).

Segui lo storytelling della 41esima edizione di Arte Fiera su: www.facebook.com/BLABstorytellingcontemporaneo

Info: www.artefiera.it

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Roberto D’Onorio (1979) vive e lavora a Roma. Inizia la sua carriera artistica collaborando con la cattedra di Fenomenologia delle Arti Contemporanee di Cecilia Casorati all’Accademia di Belle Arti di Roma e nel 2010 con Cecilia Canziani e Ilaria Gianni per la NOMAS Foundation. Nello stesso anno affianca Anna Cestelli Guidi in occasione della Biennale Fluxus (Auditorium Parco della Musica, Roma). Nel 2012 lavora presso la Galleria Marino di Giuseppe Marino, Roma. Dal 2013 collabora con la Galleria 291est, Roma, rivestendo i ruoli professionali di Curatore e Responsabile Management.

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