Ugo Piccioni. Think Aloud. Pensare ad alta voce

What Shall We Love

Think Aloud , ovvero “pensare ad alta voce”, è il titolo della personale di Ugo Piccioni alla galleria Curva Pura di Roma. La mostra è a cura di Andreas Romagnoli ed è accompagnata dai testi critici di Pasquale Polidori, Dario Antiseri e Giona Torli.

Led bianchi installati su vari supporti danno vita ad incroci di due parole che sono collegate fra loro giocando sulla similitudine di pronuncia che si contrappone al significato, quindi dove il significante diverge dal significato. Ma perché la parola? Per prima cosa perché è il mezzo che l’artista conosce di più fin dai suoi studi filosofici; si può dire, a livello astratto o religioso, che la parola è creatrice, ed è poi il tramite che utilizziamo per comunicare. Non a caso Piccioni fa riferimento a Beckett il cui ultimo poema è stato What Is The Word’(Qual è la parola), dove lo scrittore si chiedeva qual era la parola nell’immenso comunicare.  e la parola rompe il silenzio, quel silenzio che concede la meditazione, quella meditazione che occorre per comprendere appieno le opere dell’artista. Infatti i suoi lavori sono perfetti dal punto di vista tecnico e estetico, ma non bisogna soffermarsi ad un primo sguardo, hanno anche una forte componente emotiva e speculativa. Vi sono incroci di parole attraverso cui l’artista si interroga sul sociale, sul rapporto fra le persone, sui sentimenti. Ad esempio More and Less contiene diverse riflessioni, si riferisce all’evoluzione della società nel rapporto con la tecnologia che permette di fare sempre di più con sempre meno tempo e meno fatica, e d’altra parte ci si specializza sempre più in qualcosa e magari non si sa nient’altro in altri campi, ed infine la ricchezza è sempre più distribuita in maniera non equa: c’è chi ha moltissimo e chi non ha quasi niente.

Un’altra critica al sociale avviene attraverso l’opera The Safety of Objects in cui si leggono le parole Thing e Think, che rappresentano la dicotomia fra essere e avere, ma anche il dominio del materialismo che produce il bisogno di possedere sempre maggiormente oggetti e beni, di correre all’accumulo di informazioni invece che prendersi tempo per introiettare e ingoiare se stessi, per pensare.

Le riflessioni di Piccioni si allargano anche all’esistenziale: si ispira alle teorie del filosofo Peter Sloterdijk contenute nella trilogia Sfere. In Ab utero contrappone le due parole Esterno e Sfera: è la contrapposizione fra l’idea delle nostre sfere di agio e l’esterno che tende a sfuggirci; l’artista dice:

“tutta la nostra vita è il tentativo di curvare l’esterno per inglobarlo nella nostra sfera di agio.”

Continua il riferimento al filosofo in Almost Nothing, and Yet Not Nothing, in cui contrappone i termini Sfera e “Schiuma”: mentre prima la società era inglobante ora tende a dividere, quindi mentre la sfera da l’idea di perfezione, di immortalità, di conglobare, la schiuma è fragile ed è formata da tante singole parti. E siccome viviamo nell’epoca del co-individualismo  ben si adatta all’uomo il fatto che quando due bolle si incontrano nella schiuma, spesso, invece di unirsi, rimangono attaccate, ma ognuna con la sua camera d’aria, come il modo contemporaneo di stare insieme. Da qui si arriva alla riflessione che ognuno ha i suoi limiti, e, in tutti i contesti della vita, si passa da limite in limite, concetto cui è dedicata l’opera Borders and Boundaries che propone l’incrocio di And e End, il più generale gioco di significati che utilizza Piccioni in questa mostra, perché non c’è niente che non abbia un cambiamento o una fine. Tornando ad interrogarsi sulla parola, pensando a quella scritta, l’artista chiarisce:

“va cercata nei libri, mentre io la espongo rendendola evidente.”

Il suo è un concetto ispirato ai post it e che utilizza anche nella fase di elaborazione dell’opera: si segna sul suo taccuino le frasi tendendo a trovare quelle più generali: ogni volta che viene trovata una formula più generale, quella precedente viene cancellata, in un processo induttivo. Per Piccioni è essenziale arrivare quanto più possibile ad un’universalità.

Conclude l’artista:

“ho riflettuto sul fatto che in natura esiste un punto di rottura per cui la quantità diventa qualità, ad esempio, a certe temperature un liquido diventa gassoso, quindi, forse, anche una parola, se viene vista continuamente, può dire qualcosa di nuovo.”

Info mostra

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Claudia Quintieri, classe ’75, è nata a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Lettere indirizzo Storia dell’arte. È giornalista, scrittrice e videoartista. Collabora ed ha collaborato con riviste e giornali in qualità di giornalista specializzata in arte contemporanea. Nel 2012 è stato pubblicato il suo libro "La voglia di urlare". Ha partecipato a numerose mostre con i suoi video, in varie città. Ha collaborato con l’Associazione culturale Futuro di Ludovico Pratesi. Ha partecipato allo spettacolo teatrale Crimini del cuore.

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