Il totale di Raffaello, Richard Meier, Arnold Hauser e altre riflessioni

Sere fa sono capitato nei dintorni del Circolo degli Artisti (noto locale romano conosciuto come ambito delle scene dell’underground) e mi sono ritrovato di fronte a un manifesto che riproduceva Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello con una modifica, probabilmente a scopo pubblicitario o per invitare a riflettere su problemi di urbanistica. Sullo sfondo, al posto del tempio della versione originale, c’era la Chiesa di Dio Padre Misericordioso, opera dell’architetto Richard Meier situata nel quartiere Tor Tre Teste a Roma. Rivedendo poi a casa su dei libri e pure su Wikipedia i dettagli del quadro, mi è venuto spontaneo pensare che Raffaello raffigura il tempio sullo sfondo con straordinaria esattezza. E’ riconoscibile lo stile delle colonne, degli archi, la disposizione delle finestre, sull’architrave poi c’è anche la sua firma e l’anno di realizzazione: Raphael Urbinas 1505. Ma soprattutto colpisce come questa struttura sia rappresentata nella sua totalità. Dietro i personaggi della vicenda principale del dipinto, l’interesse dell’artista è di mostrare un tempio in maniera completa e perfettamente riconoscibile. La correttezza dei rapporti architettonici coincide, allora, con quella dei rapporti tra gli uomini raffigurati in primo piano. Non a caso nel portale del tempio convergono tutti i punti di fuga dell’opera.

La conquista della visione totale è espressa in questo quadro che è l’apice del Rinascimento, una corrente che si è distinta, fra le altre cose, proprio per aver diretto l’attenzione non più alle parti ma al tutto. L’ intuizione è messa bene in luce da Arnold Hauser che, nelle pagine della sua Storia Sociale dell’Arte dedicate al Rinascimento, osserva:

“L’elemento essenziale di questa concezione artistica è il principio dell’unità, dell’elemento complessivo.”.

Tale è il cambiamento rispetto all’Arte Medievale, i cicli di affreschi di Giotto sono delle strip in cui gli stessi personaggi ricorrono più volte e gli edifici alle loro spalle sono sovrapposti l’un l’altro, mai espressi nel totale. Su questo punto continua Hauser:

“La forma tipica dell’Arte Gotica è invece l’addizione…prevale sempre l’espansione sull’accentramento, la coordinazione sulla subordinazione… Le opere gotiche, sono come tappe e momenti di una via che ci porta a una visione per così dire panoramica della realtà, quasi una rassegna, e non già un’immagine unilaterale, coerente, dominata da un unico ed esclusivo punto di vista.”

Anche Piero Della Francesca, nella Pala di Brera, ci teneva parecchio a fornire allo spettatore un’idea di spazio e di struttura ben inquadrata nella sua completezza. Corrisponde allo spazio kantiano: un’intuizione a priori che concede ai fatti di svolgersi. Non sono gli individui a creare la possibilità di agire in un esterno, agiscono perché c’è lo spazio che glielo permette. E Piero ci mette pure l’ uovo come a dire: non toccare che si rompe tutto.

Allora la domanda è: perché la chiesa di Meier stona nella modifica grafica al dipinto di Raffaello? La rassicuro subito signor Meier, lei è un bravo architetto, non è mia intenzione fare confronti; sarebbe come dare uno schiaffo sulla nuca a Tyson e poi quando si gira dirgli che è stato il tuo amico con gli occhiali. Si tratta solo di cogliere le differenze. Il problema è lo spostamento della nostra visione, dal totale a una condizione nemmeno parziale ma personale dell’espressione. L’artista contemporaneo sviluppa, spesso e volentieri, una riflessione su una sua esperienza intima, rappresenta non più il totale del discorso ma le sue parti. Mi ha detto una volta Valentino Zeichen:

“Oggi si fa solo poesia privata”

Oppure l’artista prende un oggetto, il dettaglio che la civiltà non considera ma lui sì, e lo tratta come fosse un idolo. Alcune volte anche con gli estremismi di artisti ebeti che cent’anni dopo Marcel Duchamp rincorrono ancora un cesso, per carità magari fondamentale per la loro infanzia, ma sempre un cesso. Da un’abitudine che uno aveva da bambino di consumare barattoli di zuppe in scatola deriva l’imposizione di queste minestre come raccordo di concetti e tutto questo con eccellenti risultati. Anche gli spazi e i paesaggi, qualora vengano indagati o accidentalmente riprodotti, sono parcellizzati o distorti come i rapporti che in questi spazi vivono. Mi hanno sempre affascinato, a proposito, i muri scrostati, i pezzi di armadi, caminetti, sedie e finestre inquadrate a metà che spuntano dalle foto di Francesca Woodman, dietro alla sua figura. Ecco, le sue fotografie rovesciano quello spazio kantiano di prima: è lei che vuole imporsi e modificare l’ambiente circostante, a costo di scomporlo. Insomma l’Arte contemporanea si frammenta non solo nell’estetica ma già a partire dal fatto che ogni artista propone cose diverse, porta avanti prima un segno, negli anni passati, ora un progetto personale. Così anche gli edifici risentono di questa visione confinata nelle parti.

Qui sarebbero gradite le considerazioni degli architetti. A quale nuova logica sono sottese le proporzioni delle costruzioni contemporanee?

La questione è accattivante quando si parla di architettura sacra, per tornare al povero Meier. Nella spiritualità di tutti i popoli convivono incessantemente il totale e il parziale, l’assoluto e il definito. Nel dialogo tra una chiesa moderna e gli abitanti di una periferia urbana subentrano equilibri diversi da quelli che Raffaello aveva colto tra il tempio e i protagonisti del suo Sposalizio.

La moda odierna della specializzazione ci fa scomporre un quadro unitario in tanti pezzi e le Arti ne risentono. Nemmeno la musica è più un collante come una volta. Ognuno è perseguitato dai propri spettri sonori per conto suo.

Per tornare a Raffaello, ovviamente, anche Salvador Dalì aveva detto la sua riguardo Lo Sposalizio della Vergine. Comparava i fuscelli nelle mani dei protagonisti in primo piano alle lance de La Resa di Breda di Velazquez e affermava che i due i dipinti hanno la stessa struttura compositiva, in entrambi si ritrova uno “spazio virginale”; dice Dalì: 

“In Raffaello esso è costituito dal nudo cielo, metafisicamente infrangibile”.

Ancora Kant si convince che:

“non ci si può rappresentare se non uno spazio unico, e, se si parla di spazi distinti, si intende soltanto parti dello stesso spazio unico e universale.”

Ma pure la scienza inizia e prendere la direzione di pensare a più universi, a particelle ancora più piccole di quelle che pensavamo come unico fondamento e, soprattutto, alla possibilità di flettere spazio e tempo. Di queste ore è la notizia della creazione dei primi atomi di antiidrogeno, un elemento speculare all’idrogeno che noi conosciamo, ai laboratori del CERN di Ginevra. Da qui si deve indagare su come questi principi vengano assorbiti dall’Arte dei nostri giorni. Non finisce qui insomma, questa è solo la prima parte.

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Donato Di Pelino (Roma, 1987) è avvocato specializzato nel Diritto d’autore e proprietà intellettuale. Scrive di arte contemporanea e si occupa di poesia e musica. È tra i fondatori dell’associazione Mossa, residenza per la promozione dell’arte contemporanea a Genova. Le sue poesie sono state pubblicate in: antologia Premio Mario Luzi (2012), quaderni del Laboratorio Contumaciale di Tomaso Binga (2012), I poeti incontrano la Costituzione (Futura Editrice, 2017). Collabora con i suoi testi nell’organizzazione di eventi con vari artist run space.

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