Vincenzo Rulli. My memory is somewhere else

Vincenzo Rulli, Senza titolo, 2014, video

Molti giovani artisti si stanno dando al giardinaggio. E alla raccolta. Accumulazioni di elementi naturali così come questi spontaneamente vagano o si depositano. Certi raccolgono insetti, altri selezionano e ordinano piante, classificandole secondo criteri personali. Penso ad esempi vicini come Luana Perilli e le sue formiche, oppure le sculture di pollini della tedesca Christiane Löhr. Questo accade nelle città, spesso metropoli, dove risiedono questi artisti dalla vena bucolica. Le loro opere ci fanno osservare parti di natura che vengono isolate o messe in contesti diversi dal paesaggio. Quasi come a voler spostare l’attenzione dalla pro-vocazione, generata dalla attuale tecnica umana, che raccoglie energie naturali in un fondo e le sfrutta a suo piacimento, come una fabbrica o una centrale elettrica, a quella che era la produzione: il solo indirizzare le risorse naturali per trarne frutti, come farebbe un contadino o anche un mulino a vento. Questa distinzione filosofica odora di crauti dall’inizio alla fine e non è un caso perché Vincenzo Rulli, giovane artista romano, vive a Berlino da un po’. Rimane tuttavia affezionato a Roma, dove si è formato, per tutto ciò che riguarda il suo mestiere, alla scuola della storica gallerista Mara Coccia, purtroppo scomparsa da poco. A continuare però la sua linea espositiva, con la stessa forza e convinzione, ci pensa Anna Marra con il suo spazio al Ghetto, nel cuore pulsante della capitale. Qui, nella Anna Marra Contemporanea,  Vincenzo Rulli presenta la sua mostra My memory is somewhere else, curata da Lorenzo Respi e composta da video, installazioni e foto.

L’esposizione ruota intorno a un’attività a cui il giovane artista si è dedicato durante la sua ultima ricerca: la raccolta di semi di albero di pioppo, vissuta come un processo, un rituale. Le opere sembrano infatti una documentazione di questa sua performance quotidiana. C’è una grande fotografia che ritrae Rulli nella U-Bahn di Berlino, vestito di tutto punto, con in mano i lunghi steli tra i quali è arrotolato il panno viscoso che serve a intrappolare i pollini. Sta come i soldati di Salvator Rosa, appoggiato alla sua lancia, in mezzo a una folla di signore coi capelli a spazzola, reduci della belle epoque del cyber-punk, donne mediorientali e impiegati ormai rassegnati al gioioso via vai creativo che da un po’ di anni imperversa nella città. Basta che questi artisti non sporchino e non facciano troppo chiasso. Accanto alla foto c’è un’installazione che riporta gli strumenti dell’ attività di raccolta di pollini, i lunghi steli a cui sono fissati i panni e un sacco colmo dei pappi, così la botanica definisce i soffici filamenti che trasportano i semi delle piante. Come Vincenzo Rulli li catturi, è descritto nel video proiettato nella sala più grande della galleria che ci svela anche dove l’artista era diretto nel suo viaggio in metropolitana: nel parco pubblico di Kreuzberg, dove il verde regna sovrano. In questo bosco che potrebbe fare da sfondo a un Brueghel, sono disposti quattro raccoglitori per i pollini: le aste vengono piantate a terra e i panni vengono dispiegati come vele che compiono un gesto muto e enigmatico. La telecamera fissa riprende questi totem, dei monoliti che quasi interrogano lo spettatore.

Vincenzo Rulli è cresciuto. Non è più il se stesso-Peter Pan che tentava di pescare la sua ombra, come la bella scultura che aveva presentato da Mara Coccia, a cura di Mario De Candia, in Cinque esercizi per diventare un imperatore ideale (2011). Non è nemmeno il calco del suo busto con delle trombette di carnevale al posto dei capelli, che presentò nel 2010 al museo Pietro Canonica di Villa Borghese, in occasione della collettiva My Generation, curata da Manuela Pacella e la collaborazione di molti critici per i testi.

La nuova fase del suo lavoro si sposta dalla forma della “scultura meccanica”, che comunque gli riesce con la perfezione e la grazia di una canzone, al passo dentro le dinamiche conflittuali dell’artista con la società. Rulli è partito dal Mito come strumento di lettura della realtà, per rimarcare tutto il senso rovesciato e buffo delle cose, una natura propria del mito stesso, del suo linguaggio. Le opere più recenti derivano invece da una codificazione ulteriore, dalla consapevolezza di rapporti più complessi. Come far fronte ai mutamenti delle possibilità di sviluppo dell’individuo nel suo ambiente? Cambiano le forme di partecipazione dell’uomo alla comunità, i ruoli e le posizioni sono diversi da quelli tradizionali. L’artista non vuole proporre una soluzione a un problema, come scrivono da qualche parte alcuni critici “giovani” e per questo vicini solamente alle soluzioni. Vincenzo Rulli lascia che i pollini si depositino sul calco di gesso delle sue scarpe come fossero strutture formanti della materia e della sua memoria che si costruisce e che, per il momento, come spiega la mostra, si trova da qualche altra parte.

Info mostra

  • Vincenzo Rulli – My memory is somewhere else
  • a cura di Lorenzo Respi
  • Anna Marra Contemporanea
  • Via Sant’Angelo in Pescheria, 32
  • Roma
  • 24 settembre- 30 ottobre 2014
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Donato Di Pelino (Roma, 1987) è avvocato specializzato nel Diritto d’autore e proprietà intellettuale. Scrive di arte contemporanea e si occupa di poesia e musica. È tra i fondatori dell’associazione Mossa, residenza per la promozione dell’arte contemporanea a Genova. Le sue poesie sono state pubblicate in: antologia Premio Mario Luzi (2012), quaderni del Laboratorio Contumaciale di Tomaso Binga (2012), I poeti incontrano la Costituzione (Futura Editrice, 2017). Collabora con i suoi testi nell’organizzazione di eventi con vari artist run space.

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