Musei e Collezionismo. Il Poldi Pezzoli di Milano, tra Boltraffio e Leonardo.

Mentre la Lombardia le sue belle province e la parte più vicina ad esse, in Emilia, sono martellate da condizioni mai vissute prima; mentre la globalizzazione delle informazioni sull’epidemia spinge ed aiuta a dilatare ogni legittima paura, anche quelle ancestrali, e gli italiani si sono attrezzati a vivere una quarantena collettiva controllata; mentre viviamo qualcosa di  mai sperimentato  nella storia, dal momento che ai tempi della peste (quella sì senza speranza) gli strumenti tecnologici più avanzati, per chiamare a raccolta le comunità, erano  le segnalazioni dai campanili e  dalle torri comunali; mentre la sospensione di quasi ogni attività ha messo in crisi il lavoro, la produzione e le fattive ambizioni di quanti  di noi  siano  dediti e costruiscano qualcosa per il legittimo benessere dei loro cari, di se stessi e, non infrequentemente, anche di ciò che sta intorno; mentre accade tutto questo: vorremmo dedicare qualche considerazione ad alcuni casi di eletta normalità.

Crediamo che da questa crisi l’Italia dovrebbe cercare di uscire rinforzata nella volontà di ottenere una prassi migliore, adeguata  a quegli italiani che non si spaventano e non arretrano di fronte alle responsabilità. Vorremmo ad esempio raccontare come il primo  museo privato d’Italia e  di Milano, il Museo Poldi Pezzoli.

Fondato nel 1871, il Museo, fino a poche settimane prima di questa crisi, ha raccontato, con venti opere (https://museopoldipezzoli.it/tutti-gli-eventi/leonardo-e-la-madonna-litta/),tutto quanto è veramente importante ( e noto) di Leonardo da Vinci e del suo periodo milanese: dei suoi  allievi diretti, tra cui Boltraffio (morto nel 1516, tre anni prima del maestro), e molto di quello che serve sapere per capire casi come quello planetario del Salvador Mundi da 450M$.

Il Poldi Pezzoli, che incorpora un bel Boltraffio nella sua collezione permanente,  è sempre al suo posto, Via Manzoni 12,  il Salvador Mundi non si sa dove sia.

Annalisa Zanni, direttrice, così si esprime:

“Vogliamo che tutti i visitatori entrino in questo difficile mondo della ricerca, lo conoscano e  comprendano l’impegno, la fatica dello studio e della ricerca incessante, i dubbi e la responsabilità etica di fornire delle proposte/risposte a tutti noi, cui questo patrimonio appartiene.”
(Catalogo Leonardo e la Madonna Litta , p.24)

Lo sforzo congiunto di questi specialisti di Leonardo da Vinci e dei suoi allievi diretti a Milano, poggiante su ricerche ultradecennali, ha raggiunto nel catalogo sulla Madonna Litta ottimi esiti, sintetizzabili, ad esempio, laddove Maria Teresa Fiorio (pp.41-47) chiarisce le differenze (qualitative) tra i bellissimi disegni di Boltraffio (attivo per dipinti su cavalletto, es. ritratti e Madonne) e la produzione certa di Marco d’Oggiono (pittore di grandi pale e dipinti murali, morto nel 1524). Sia la Fiorio che Andrea di Lorenzo, conservatore del Museo Poldi Pezzoli, prendono posizione e la mostra, in collaborazione con l’Ermitage di San Pietroburgo, che si mantiene fedele all’attribuzione a Leonardo della bellissima Madonna Litta (partita dal Palazzo Litta di Corso Magenta nel 1865), ha permesso ad esperti e pubblico un importante confronto tra opere chiave del mondo e della ricerca vinciana e leonardesca.

Nel ringraziare per il generoso prestito del museo già degli tzar russi, il cronista deve rilevare la coerenza dell’opinione critica (Di Lorenzo e molti altri) che assegna oggi la Madonna Litta al grande Boltraffio, piuttosto che al maestro Leonardo, corredandola di tanti convincenti confronti con gli splendidi disegni dello stesso Boltraffio.

La Madonna Litta è databile al 1490 circa, a metà del ventennio trascorso da Leonardo a Milano (Di Lorenzo); ma il catalogo lascia anche la porta aperta ad un’ ipotesi di collaborazione tra Leonardo e Boltraffio.

Tutto questo, alla luce del meraviglioso feuilleton anglo-russo-arabo del Salvador Mundi, ha un’importanza rimarchevole.

Pietro Cesare Marani (pp. 27-38) si concentra sul tema dell’organizzazione della bottega, in cui Leonardo poteva fornire disegni e idee (inventio= ideazione, progetto) da cui gli allievi ” facevano re-tracti”, ovvero estraevano, copiavano e realizzavano opere che quindi uscivano dall’atelier coll’imprimatur del maestro, come suoi originali. E’ la nostra nozione (post-ottocentesca) di “autentico” – ci ricorda Marani – a spingerci soprattutto  a cercare la mano del maestro.

Il catalogo della mostra (ed. Skira) è arricchito dalle indagini multispettrali su cinque opere di Boltraffio, Francesco Galli (o Napoletano) e di altri 3 artisti leonardeschi. Indagini che non hanno coinvolto l’opera prestata dall’Ermitage.

Peccato per l’occasione mancata dai generosi prestatori. Non sarebbe importante fare rumore intorno ad attribuzioni, dibattute da secoli (nel caso della Madonna Litta, il primo a porsi domande sulla storicizzata paternità vinciana fu Bossi, nell’Inventario del 1813-14). Sarebbe più decisivo  continuare a costruire un approccio integrato e scientifico al mondo delle varianti e/o  repliche autografe  di allievi, botteghe e ateliers, da Leonardo a Raffaello, da Reni ad Artemisia fino a Salvator Rosa e a tanti altri.

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Laureata e specializzata in storia dell’arte all’Università “La Sapienza” di Roma, ha svolto, tra 1989 e 2010, attività di studio, ricerca e didattica universitaria, come borsista, ricercatore e docente con il sostegno o presso i seguenti istituti, enti di ricerca e università: Accademia di San Luca, Comunità Francese del Belgio, CNR, ENEA, MIUR-Ministero della Ricerca, E.U-Unione Europea, Università Libera di Bruxelles, Università di Napoli-S.O Benincasa, Università degli Studi di Chieti-Università Telematica Leonardo da Vinci. Dal 2010 è CTU-Consulente Tecnico ed Esperto del Tribunale Civile e Penale di Roma. È autrice di articoli divulgativi e/o di approfondimento per vari giornali/ rubriche di settore e docente della 24Ore Business School.

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