Arte, Mercato, Bologna, Venezia, Art Basel, le varie Fiere e qualche italiano: riflessioni sull’anno appena trascorso

immagine per Art Basel
ARTBASEL 2019 Alighiero Boetti by Tornabuoni Art phLTraversi

Uno dei temi più affascinanti di quest’anno è stata l’interdipendenza tra mostre istituzionali e mercato dell’arte. Quando, come, dove?
Quella tra Biennale di Venezia e top level del mercato si è manifestata nel giugno scorso ad Art Basel, la fiera  fondata da Ernst Beyeler & Co nel 1970, regina dell’Artworld mondiale dal 1900 all’attualità.

Qualche settimana prima, all’apertura della Biennale di Venezia, in molti eventi istituzionali, tra musei e sedi storiche (Gallerie dell’Accademia, Fondazione Cini) e nella gestione di spazi prestigiosi (Palazzo Franchetti, ora gestito da Galleria Maggiore-Bologna) appariva in crescita il sostegno attivo di gallerie, dealers od enti privati nati dal contesto mercantile, in un convergere di energie ed investimenti cospicui, almeno alla scala dell’artwold. Avveniva per Burri – dopo Boetti– alla Fondazione Cini (con Tornabuoni Art), per Baselitz (alle Gallerie dell’Accademia, col sostegno della Galleria  Gagosian).  Al tempo stesso, una marcata presenza di opere ed artisti di nazionalità USA e cinesi era rilevabile alla Biennale di Ralpf Rugoff, dati alla mano, rispetto a quelli europei e di altre aree (si veda qui); e si rispecchiava nell’estetica dominante all’Arsenale. Sulle  scelte espresse dal curatore sembrava impattare l’enorme dimensione  del mercato cino-americano rispetto a quelle troppo ridotte del mondo artistico europeo (non parliamo poi di quello italiano, che rappresenta circa lo 0,5 % di quello globale).

Commistione di interessi? Potere del vil denaro? O qualcosa che ci ricorda la realtà storica (pre-industriale e post-industriale) in cui la mercatura è stata alla base di tanta creazione di ricchezza imprenditoriale (es. i Medici a Firenze, Fugger ad Augusta, i Florio a Palermo). A Parigi, a partire dall’ Ottocento, agli albori di tendenze e movimenti artistici sovranazionali pre-modernisti, l’azione dei mercanti ha dato una spinta fondamentale a tanti talenti artistici (sia di successo che  dimenticati). Studiati ed esemplari sono i casi di Adolphe Goupil (es. Boldini, De Nittis e molti altri),  Ambroise Vollard (Cézanne, Picasso, Gauguin, Chagall etc.), Paul Durand-Ruel ( cogli Impressionisti sfondò prima negli USA che in Francia), Daniel-Heinrich Khanweiler (fauves e i cubisti), Aimé Maeght (Mirò).

In tempi tanto critici per il finanziamento pubblico della cultura, quale Solone potrebbe censurare senza ipocrisia tali interventi come un ingresso dei mercanti (appunto) nel tempio? Non si tratta piuttosto di un mutuo e concorde sostegno tra operatori culturali di matrice diversa su comuni progetti?  Ha avuto questa valenza anche la lunga collaborazione  della Fondazione belga Vervoordt col Museo Fortuny. La domanda successiva è:  la convergenza di interessi potrebbe mai avvenire su artisti storicamente meno fortunati?

La blue-chip perfetta (per la cultura e per il mercato) è stata ed è ancora una volta Picasso, incontrastato vertice della piramide dei valori moderni. Pietra di paragone anche per il caso dell’amico Braque. Nel 2020, nuove e vecchie mostre a si veda qui e Vienna.  Solo in Italia, nel 2019 abbiamo cominciato con Picasso. La scultura alla Galleria Borghese e finito con Faenza, dove nel bellissimo Museo della ceramica è in corso una mostra sulla sua importante produzione di ceramiche (fino al 12 aprile 2020). Tra il 2017 e il 2018 gli avevano dedicato ampie retrospettive le Scuderie del Quirinale e il Palazzo Ducale di Genova.

Basilea, nel 2019, è  stata sede di due mostre, rispettivamente al Kunstmuseum e alla Fondazione Beyeler, con due pregevoli cataloghi. In The Cubist  Cosmos, composta di 150 opere (metà delle 300 esposte c/o il  partner istituzionale, il Centre Pompidou), il grande sodale George Braque, pur alla pari per qualità e numero di opere in almeno tre  sale, non appariva nel titolo (in cui campeggiava, però, Léger). Malgrado  la grande mostra del 1989 al MET di W.Rubin Picasso and Braque. Pioneering Cubism raccontasse tanto bene come durante il cubismo analitico – la fase più ardita e sperimentale della loro vicenda – si siano costantemente emulati e  messi alla prova reciprocamente, arrivando a non firmare più perché ciò che contava era l’opera, anzi il raggiungimento di essa (la ricerca!) e non chi l’ aveva eseguita. In seguito, Picasso continuò a non firmare  le sue opere, fintantoché  non uscivano per sempre dalle sue dimore (ma questa è un’altra storia…).

Mostre primarie, ricche di prestiti inter-istituzionali (Musées Picasso, d’ Orsay e dell’Orangerie di Parigi), frutto anche di storiche donazioni private (al Kunstmuseum dalle Collezioni Roche e  Beyeler) per un artista da sempre ben gestito. Che beneficia di un catalogo delle opere redatto in vita dall’ amico Christian Zervos, in 34 volumi, i cui aggiornamenti, ad opera della Fondation Picasso, sono sempre possibili grazie ad eredi che hanno saputo superare, nel tempo, conflitti e difficoltà tanto frequenti in presenza di importanti patrimoni. Per Braque? A più di 30 anni dal volume di Rubin le quotazioni di quel pittore alla pari, curato ed eccezionale, sono assai piu basse, e gli si preferisce Léger anche nell’ intitolare la mostra. Per dare la misura di una differenza di quotazioni, che non è legata alla qualità del lavoro, basti ricordare che la più alta aggiudicazione in asta per Picasso è il noto record di 144M  delle Femmes d’ Alger mentre per Braque è di 10M (per un paesaggio del 1907).

Never mind, vien da dire, anche perché proprio l’altra mostra Le jeune Picasso ha evidenziato che già ventenne incorporava  incredibilmente tutto il suo tempo. Sala dopo sala, lo ritrovi simbolista toccato dal secessionismo, poi vicino a Toulouse Lautrec col suo Divan Japonais, a Gauguin, Van Gogh (Buveuse d’absinthe, 1901), fino a El Greco, nei tragici anni del suicidio per amore dell’amico pittore Carles Casagemas. A testimoniare che gli stili sono anche una ricostruzione a posteriori fatta per aiutarci a sintetizzare una materia magmatica come quella storico-artistica. Il cosiddetto “periodo blu” guarda principalmente “chi è ai margini…mendicanti, prostitute… mitigati talvolta da un’aura di dignità e grazia” riflettendo le precarie condizioni di Picasso  ventenne (prefazione,  p.10). Superate poi, col  “periodo rosa” e l’ incontro del mercante Vollard, per la cui prima mostra fece anche un toccante autoritratto (1901). Alla Beyeler erano presenti  75 opere, per l’ esposizione  più cara mai promossa dalla Fondazione svizzera (4 Miliardi di franchi svizzeri, per valori assicurati). Con un simile movimento di capolavori, non ha sorpreso  l’ assai  contenuta presenza -per una volta- di Picasso negli stand di Artbasel.

Sorprende invece, nell’eccellente gemellaggio Kunstmuseum-Centre Pompidou, la completa assenza di riferimenti al campo cubo-futurista, nonostante il divertente filmetto Rigadin peintre cubiste dei Pathe Frères  evidenzi la diffusione virale del comune linguaggio sperimentale pitto-scultoreo.

Un’eredità e un limite franco-centrico, dopo un secolo abbondante di strabordanti studi internazionali?! La domanda merita ancora attenzione e in Italia saremmo ancora in prima linea nell’attualizzare qualche risposta, a partire dal confronto che Picasso, Gris e Braque ebbero comunque coi nostri futuristi.

Ma torniamo ad Art Basel e, finalmente, alla nostra Artefiera di Bologna.

Unlimited, la sezione svizzera “fuori misura” non aveva deluso e, in un rovesciamento paradossale, quasi risarciva l’effetto circense e carnevalesco di una parte della Biennale veneziana, inaugurata poche settimane prima. Negli stand dei 290 partecipanti (da 34 paesi) le opere datavano per lo più a partire dagli anni Sessanta del XX secolo, mentre gli anni Cinquanta erano più rappresentati al TEFAF di Maastricht in marzo.

I nomi storici più presenti a Basilea: Calder, Magritte, Chillida, a fronte di davvero poche opere  italiane (mentre notoriamente sono molti i connazionali in visita). Viceversa a Maastricht gli artisti italiani fino al XX secolo sono ormai assai  presenti e ben distribuiti presso una pluralità di operatori internazionali (si legga l’articolo qui già pubblicato).

Sempre più artisti anglo-americani invece sia alla Biennale di Venezia che alla Fiera di Basel, il che coincide coi dati forniti dall’ultimo Report di Artprice sulle aste del Contemporaneo: gli artisti più performanti nelle aste provengono dai paesi dominanti per cifre d’affari e per volumi scambiati, ovvero USA, Gran Bretagna e Cina (nell’arte moderna, invece, il ruolo dei pittori europei resta maggioritario). Al suo vertice il mercato poggia per il  64%  su 50 artisti soltanto, tra cui  è annoverato anche Lucio Fontana (35°), presente in Unlimited, col grande Ambiente spaziale del 1960 allestito da Galleria Tega (in partnership  altre 4 gallerie: Magazzino, Ben Brown Fine Arts, Dickinson e Amedeo Porro).

Piove sul bagnato? Non esattamente: al proposito va menzionata  la testimonianza di un altro gallerista italiano, Massimo Di Carlo della Galleria dello Scudo, che riuscì a vendere il suo primo Fontana ad Art Basel solo nel 1998, dopo 5 faticosi anni di partecipazione…

A Basilea, l’Italia era parzialmente ripagata anche dall’importante presenza di Arte Povera, con  belle opere di Kounellis e Penone sia nella sezione Senza limiti sia negli stand dei maggiori operatori del mondo (es. Karsten Greve, Gagosian). Perfetto tempismo svizzero colla grande mostra di Kounellis alla Fondazione Prada di Venezia.

Oltre a quanti già citati, anche Pistoletto e Zorio, da tempo star internazionali, erano presenti con opere rimarchevoli pure e a Bologna, negli stand di Mazzoleni, Persano, Poggiali, De Foscherari. In Emilia Romagna , tra i casi di sostegno istituzionale, dati per scontati nel recente passato, uno è visibile a Palazzo Fava, con la selezione di opere acquisite dalla Fondazione Genus Bononiae in decenni di attività: Drei, Depero, Martini, Casorati, Cucchi, Paladino, Pignatelli, fino alle sculture di artisti estremamente diversi come Nunzio ed Ontani (esposti nella mostra Il fregio dei Carracci – Opere a confronto, fino 16/02/2020)

 Ma, come in passato per lo stesso Fontana, la penetrazione degli artisti di casa nostra nei mercati esteri è  lentissima e spesso residuale.

Alcuni tra i  grandi operatori di Basilea erano presenti anche ad Artefiera: oltra a Tornabuoni Arte, che ormai si adatta con sbalorditiva professionalità a contesti diversi, anche la citata Galleria Lo Scudo di Verona (con Spagnulo e Gastini). Per originalità e bellezza degli allestimenti hanno brillato a Bologna: Primo Marella e Verolino con una splendida raccolta di arazzi e tappeti di Sonia Delaunay, Picasso, Calder e il vivente Etel Adnan.

Da citare i Mimmo Rotella (da Cavaciuti), gli Hartung (Mazzoleni), i Mathieu  di Rossovermiglioarte, i Severini (Farsetti, Tornabuoni), i Pascali (abc-com). Importanti o ben selezionati Christo, Arman e Cèsar  (Spirale), Mack (da Cortesi). Non sono passati inosservati: G. Quentin (da Forni),  Ottieri e Spazzini (da Forni), Bertozzi e Casoni (Bonelli, Galleria Maggiore), alcuni Schifano e  Franco Angeli giusti (rispettivamente da Mazzoli e Ronchini), Ennio Morlotti (Proposte d’Arte), i lavori di P. Migliazza e Samorì (L’Ariete Arte Contemporanea), di Giulia Piscitelli (da Fonti), di Sergio Fermariello (Flora Bigai, Tonelli), F. Fanelli (dal romano Studio Sales), Paolo Grassino (da D. Paludetto), A. Sala (da un’altra galleria di Roma e con sede a Milano, Federica Schiavo), Silvia Camporesi (pure in una struttura con sede a Roma, Sara Zanin Z2O), K. Sugiyama (Primo Marella), M. Gatti (Podbielski Contemporary), Giacomo Costa(da Guidi e Schoen), M. Gatti (da Poldbieski), Sobrino (Galleria L’Incontro) ed altri che non è possibile citare con completezza…

Una sintesi  in breve?  Alla Biennale di Venezia non mancavano riflessioni sull’immaginario globalizzato, dominato da miti  come i Kennedy (v. il Report di Bruce Conner),  da un certo gigantismo cino-americano  (es. nel lavoro di  Chen Chieh-jen di Taiwan) ed ancora erano molto evidenti nuovi e vecchi primitivismi (es. Huma Bhabha).

Ma ancora una volta le strade battute dai nostri artisti (e anche dai nostri collezionisti e dal nostro, purtroppo compresso, mercato interno) sembrano diverse, così come avvenne negli anni Sessanta, anche se non mancavano i noti riferimenti alle tendenze americane dominanti. Però degli artisti italiani più pagati ed esposti al mondo (Rudolf Stingel, Maurizio Cattelan) a Bologna, all’ArtFair, non ci sono tracce.

La dimensione non può ovviamente essere paragonata a quella di Art Basel, dove gallerie come Tega, Tucci Russo, Massimo Minini, Galleria Continua competono con Hauser and Wirth, Lisson, Starmach, Applicat-Prazan, Lévy-Gorvy, Waddington-Custot, Karsten Greve, Landau, Mnuchin Hopkins o stand quasi iconici (es. Gmurskya, Thomas  o Van de Weghe, con vari  Basquiat) ma, sul piano della competizione globale,  non va poi molto meglio agli artisti francesi, belgi o tedeschi, fatta eccezione per i più celebri, come Soulage o Kiefer. Ma almeno il sistema dei rispettivi paesi consente una dignitosa sopravvivenza ai giovani in formazione, diversamente giovani, o emergenti.

La qualità è un’altra storia… quella c’è in Italia, come sempre, ma non si vede (e vende) abbastanza.

Per chiudere questo approfondimento, indichiamo le esposizioni che sono assolutamente da non perdere:

ETRUSCHI. Viaggio nelle terre dei Rasna al Museo Civico Archeologico ( da Guidi e Schoen);

  • IMAGO SPLENDIDA al Museo Civico Medievale (http://www.museibologna.it/arteantica/eventi/51895/id/100205) e, nella stessa sede, mimetizzata quasi tra gli oggetti delle antiche Kunstkammern bolognesi, la raffinata mostra: TRACES (fino al 22 marzo),  curata da Marina Dacci, per gli artisti Ibrahim Ahmed, Evgeny Antufiev, Silvia Camporesi, Kaarina Kaikkonen, Giovanni Kronenberg, Beatrice Pediconi, Nazzarena Poli Maramotti.
  • UNIFORM. INTO THE WORK/OUT OF THE WORK al MAST (https://www.mast.org/uniform), carrellata fotografica senza confini sulla varietà antropologica delle uniformi e degli esseri umani, cui si aggiungono i RITRATTI INDUSTRIALI fatti dentro… l’ industrioso mondo dell’arte (fino al 3.5.2020).
  • Edward Hopper alla Fondation Beyeler   (https://www.fondationbeyeler.ch/en/exhibitions/edward-hopper/).
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Laureata e specializzata in storia dell’arte all’Università “La Sapienza” di Roma, ha svolto, tra 1989 e 2010, attività di studio, ricerca e didattica universitaria, come borsista, ricercatore e docente con il sostegno o presso i seguenti istituti, enti di ricerca e università: Accademia di San Luca, Comunità Francese del Belgio, CNR, ENEA, MIUR-Ministero della Ricerca, E.U-Unione Europea, Università Libera di Bruxelles, Università di Napoli-S.O Benincasa, Università degli Studi di Chieti-Università Telematica Leonardo da Vinci. Dal 2010 è CTU-Consulente Tecnico ed Esperto del Tribunale Civile e Penale di Roma. È autrice di articoli divulgativi e/o di approfondimento per vari giornali/ rubriche di settore e docente della 24Ore Business School.

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