Meditazioni morali in punta di Bic. Intervista a Marcello Carrà

Marcello Carrà - Agnus Piscis (part.) - ph. Cristina Villani
Marcello Carrà - Agnus Piscis (part.) - ph. Cristina Villani

La boule di cristallo che contiene alcune decine di Bic nere, uno degli oggetti più popolari, conosciuti ed usati dallo scorso secolo (l’azienda Bic, famosa per la penna ma anche per altri prodotti usa e getta, nasce in Francia nel 1945), ci introduce allo strumento principe dell’opera visionaria di Marcello Carrà (Ferrara, 1976) e alla mostra Le Metamorfosi dell’Agnus Dei di Zurbaràn, curata da Chiara Zocchi, alla MLB Home Gallery di Maria Livia Brunelli, situata in Corso Ercole I D’Este, sull’Asse dell’Addizione Erculea che conduceva i Signori di Ferrara dalle residenze del centro al territorio di caccia.
Carrà sin dall’inizio della propria carriera artistica predilige questo strumento e gliene chiediamo il motivo.

“Lavoro da 5 anni con la penna, per opere di piccole o grandi dimensioni. L’ho scelta perché è rapida, fluida, non consente di fare errori se non minimi, ma è anche adatta a seguire i temi di fantasia che si sviluppano d’istinto. Uso poi una carta da scenografia, non bianca, che posso incollare su un supporto rigido o lasciare semplicemente in un foglio distinto; su questa realizzo una quadrettatura, traccio la sagoma della forma che intendo disegnare, spesso senza un precedente bozzetto e direttamente a penna, e via via la riempio con il contenuto.”

In questo caso, l’argomento trattato dall’artista è strettamente legato alla mostra appena conclusa a Palazzo dei Diamanti, Zurbaràn 1598 – 1664, a pochi passi dalla MLB Home Gallery, che, come spesso succede, propone l’alternativa contemporanea all’esposizione istituzionale. In questo caso, dunque, si affiancano Francisco de Zurbaràn, considerato il “Caravaggio spagnolo”, protagonista con Velàzquez e Murillo del Siglo de oro – molto ammirato da Dalì che disse: “Attenzione! Zurbaràn ci sembrerà ogni giorno più moderno, e molto più categoricamente di El Greco rappresenterà la figura del genio spagnolo” –  e il giovane artista ferrarese Carrà, conosciuto come il “Leonardo della penna Bic”, in un dialogo che si preannuncia quantomeno singolare.

“Sono partito dal quadro forse più famoso di Zurbaràn, appunto, l’Agnus Dei (1635-40), prodotto in due versioni, con e senza corna; ho scelto la seconda, proprio quella che è stata esposta qui a Ferrara, perché mi pareva un’immagine più serena. Quest’opera, rispetto a tutte quelle altre realizzate dal pittore spagnolo, si collega direttamente al mio precedente lavoro sugli animali e sulla caducità della vita, rappresentando un simbolo positivo e salvifico (l’Agnus Dei è il figlio di Dio). L’ho trasposta nella nostra epoca, caratterizzata senza dubbio da una profonda crisi spirituale (per certi versi simile a quella del Seicento), dalla miseria morale ancor prima che economica, in una serie di metamorfosi che richiamasse questi concetti. In tutte le variazioni sul tema rimane costante la presenza della sagoma salvifica dell’Agnello, come a significare che, nonostante la ciclicità di queste crisi storiche, resta sempre l’opportunità di una redenzione.”

La prima tavola è intitolata Agnus Serpens e si distingue ancora molto bene la figura dell’agnello.

“Sì, essendo la prima opera realizzata, ho mantenuto quasi integralmente l’icona dell’agnello, tranne nella parte posteriore dove avviene la trasformazione in serpente: la facciata buona, positiva, con la quale spesso ci si presenta, in realtà può nascondere una buona dose di ipocrisia. Il serpente richiama anche il Peccato Originale: l’agnello ha la lingua biforcuta, un segno premonitore che dovrebbe metterci in allarme, mentre la sua espressione è quella di chi mostra la propria miseria.
Il Cristo (Agnello di Dio) nell’iconografia cristiana antica veniva reso con un segno molto stilizzato che ricorda un pesce, quindi in Agnus Piscis il soggetto si trasforma proprio in una creatura marina e il tema trattato è il simbolo in sé.
In tutte le opere, a prescindere da quanto sia stata manipolata la forma iniziale, rimane la stessa sagoma di contorno; in Natura morta con mandolino e carta igienica, stravolgo il contenuto trasponendo oggetti su piani spazio-temporali diversi, alcuni dei quali sono presi dalle opere di Zurbaràn (come il secchio, la brocca e i fiori), mentre altri appartengono chiaramente alla nostra epoca. Qui il tema è il silenzio: gli strumenti musicali, nelle nature morte, stanno proprio a rappresentare questo silenzio e questa staticità, paragonabili a quelli che sperimentiamo nell’attualità, frastornati dal rumore, da un caos dove la comunicazione vera e propria è drammaticamente carente.
Anche Memento mori è una natura morta; una pera è la prima immagine che la forma dell’’Agnus Dei mi ha evocato. Il disegno è sviluppato su questa suggestione e possiamo vedere il deterioramento del frutto in analogia con il decadimento morale.”

Hai aggiunto grosse formiche, che si aggirano, attratte dal succo…

“Sì, gli insetti, così come altri animali, sono un tema a me molto caro, che ho sviluppato in vari cicli a loro dedicati, studiandone minuziosamente i particolari.”

Nel disegno successivo l’Agnello si è trasformato in un bambolotto di pezza…

“Sì, alcuni ritagli che compongono il Patchwork riprendono bozzetti da opere di Zurbaràn, mescolati a geometrie e a personaggi di tutt’altra natura, come Mickey Mouse o lo Smile. Il riferimento è al Vangelo di Matteo, un passo in cui Gesù afferma:

“Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore”.

Lavorando sul tema della crisi di carattere spirituale, mi è tornato alla mente questo passo legato al rinnovamento morale che deve avere radici nel profondo.”

Qui dunque si accostano elementi sacri a simboli vuoti di vero significato…

“Sì e in corrispondenza del collo, il punto sul quale si compie il sacrificio dell’Agnello, la stoffa è scucita e fuoriesce l’imbottitura.
Anche in Paesaggio con Torre di Babele c’è un richiamo biblico (il Creatore punisce gli uomini che cercano di costruire una torre alta tanto da raggiungere il cielo; li confonde rendendo impossibile la comunicazione reciproca e interrompendo così il completamento dell’opera) e a Pieter Bruegel. L’Agnus diventa un paesaggio, ricco di simboli di decadenza (che io avevo precedentemente associato al terremoto del 2012) e di incomunicabilità, che ci rende estranei.
Il caos torna anche nelle due opere “Grande animale dionisiaco” e “Piccolo animale dionisiaco”. L’Agnello, inizialmente simbolo di purezza, qui subisce ripetute metamorfosi, che lo snaturano completamente, creando un intreccio confuso di diversi esseri, più o meno riconoscibili. “Dionisiaco” è in riferimento a Nietzsche: in antitesi con “apollineo” (calmo, armonioso, di forme perfette), “dionisiaco” è ciò che nasce dalle pulsioni umane, che rompono la regolarità e l’armonia, ma apportano il carattere vitale, all’origine dell’arte.

Proseguendo troviamo Isola dei Morti

“Chiaramente il collegamento è al pittore simbolista Arnold Böcklin (che ne realizzò più di una versione, tra il 1880 e il 1886). Qui l’animale mantiene il profilo esterno (ed un occhio estremamente espressivo), mentre l’interno è un accostamento di simboli che richiamano la decadenza, il crollo (dei valori), l’abbandono. Il tema è la tristezza, intesa anche in senso romantico, con la luna che illumina il traghettatore di anime diretto sull’isola.
A conclusione della mostra, l’Agnello muta in avvoltoio, uccello spazzino, rapace. Accanto a questo essere già di per sé negativo, sono posate alcune uova (solitamente simbolo di nascita, di vita) desolatamente vuote, dalle quali escono serpi, di cui l’avvoltoio a sua volta si nutre.”

Sembrerebbe una visione pessimistica…

“In realtà la mostra è una riflessione su aspetti morali decadenti della nostra epoca, in parallelo con la crisi spirituale del Seicento, ma la presenza in tutte le opere della sagoma salvifica dell’Agnus Dei rivela una continua possibilità di speranza e salvezza. Credo che il lavoro che faccio, cui mi dedico con grande passione, debba trasmettere forti contenuti per stimolare meditazioni morali nello spettatore.”

Info mostra

  • Marcello Carrà – Le Metamorfosi dell’Agnus Dei di Zurbarán
  • A Cura di Chiara Zocchi
  • La mostra rimarrà aperta fino al 2 Febbraio 2014 ed è visitabile tutti e sabati e le domeniche dalle 15 alle 19 (ingresso e visite guidate gratuite) o su appuntamento
  • MLB home gallery
  • Corso Ercole I d’Este, 3 Ferrara (Italy)
  • Roma-Londra-Berlino-Pechino
  • mob.: +39 346 7953757
  • mlb@mlbgallery.com
  • www.mlbgallery.com
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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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