Biennale Donna di Ferrara. Silencio vivo. Voci dall’America Latina alla XVI edizione

Biennale Donna 2016 _ Amalia Pica _ Switchboard (Part.) - ph. Federica Casetti

In occasione della riapertura del Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara, dopo la forzata interruzione del 2014 a causa del terremoto che ha colpito la città e i suoi spazi espositivi, riprende con la XVI edizione, la Biennale Donna, il percorso di ricerca ed esplorazione della creatività femminile internazionale che la contraddistingue sin dall’esordio, nel 1984.
Silvia Cirelli, co-curatrice assieme a Lola G. Bonora, ci introduce ai contenuti della collettiva, organizzata da UDI – Unione Donne Italiane e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, iniziando da una citazione:

“È di una delle artiste in mostra, Ana Mendieta, secondo la quale la cultura è memoria della storia”

E prosegue:

“proprio sul valore dell’arte come testimonianza di un determinato contesto storico e sociale, Lola Bonora ed io ci siamo basate per costruire il progetto Silencio Vivo. Artiste dall’America Latina.

Un silenzio forzato da situazioni di censura, come nelle feroci dittature militari del passato. Un silenzio che si leva dall’ondata di criminalità che sta distruggendo il tessuto sociale messicano, soprattutto nelle zone di frontiera con gli Stati Uniti. Un silenzio come risposta al senso di alienazione, derivante dalla condizione di migrante, piuttosto comune nella realtà identitaria di molti paesi. Un silenzio come effetto delle rotture di un’ipertrofia comunicativa, che spesso invece di facilitare il dialogo, lo ostacola.

Un silenzio che, per quanto soffocato, imposto o dimenticato, continua a rimanere vivo, a far sentire la propria voce. È su quest’ossimoro che si sviluppa la XVI edizione della Biennale Donna, una mostra che propone le esperienze di alcune delle maggiori esponenti del panorama artistico latinoamericano. Ana Mendieta (L’Avana, Cuba, 1948/New York 1985), Anna Maria Maiolino (Scalea, Italia, 1942; vive a San Paulo, Brasile), Teresa Margolles (Culiacan, Messico 1963) e Amalia Pica (Neuquen, Argentina, 1978; vive a Londra) sono le voci scelte per rompere tale silenzio.

Abbiamo incluso opere recenti, ma non solo, considerando che molti dei paesi del bacino latino americano nel periodo storico particolarmente intenso e drammatico, che va dalla metà degli anni ’60 alla metà degli anni ’80, sono stati interessati dalla tragica esperienza delle dittature ed è evidente come le nuove generazioni ne siano ancora estremamente influenzate.

Al piano terra sono affiancate Ana Mendieta e Anna Maria Maiolino con opere che appartengono agli anni ‘70/‘80 ed entrambe trattano temi molto forti. Ana Mendieta mette al centro della propria poetica il rapporto con la natura; la serie Volcano e il video Anima, Silueta de Cohetes, sono il frutto di interventi performativi nei quali la rappresentazione del corpo della stessa artista o una sua derivazione, si accende per poi disperdersi completamente nella terra o nell’aria, processo molto importante per lei che riteneva il dialogo, la mimesi con la natura, utili a colmare il vuoto del senso di sradicamento, della migrazione forzata dal proprio Paese e della separazione dalla famiglia, avvenuta quando aveva solo 12 anni. Altro elemento che abbiamo voluto evidenziare è la fascinazione dell’artista per le pratiche esoteriche e magiche della sua terra, che ripropone usando gli elementi tipici di questi riti, il sangue, il fuoco, gli animali. Il tema del sangue e della violenza sono spesso presenti in Mendieta, come nel filmato Moffitt Building Piece del 1973, ispirato all’assassinio di una compagna di Università. L’artista a differenza della maggior parte della sua produzione, è apparentemente assente dalla scena, perché riprende di nascosto la reazione dei passanti nei confronti dell’azione che si compie sul marciapiede antistante ad un edificio, con una botola dalla quale fuoriesce sangue. Le persone, nella maggior parte dei casi, scivolano via indifferenti, in analogia con l’indifferenza più generalizzata di fronte alla violenza che si perpetrava in quegli anni.

Nella sequenza fotografica Untitled (Body Tracks) invece le mani imbrattate di sangue creano una scia fino a scomparire, simbolo una violenza che si consuma, nella quale la figura umana va a perdersi quasi completamente.

Per Anna Maria Maiolino la produzione degli anni ‘70/‘80 è essenzialmente performativa e il corpo è terreno di sperimentazione sociale e politica, come per Entrevidas, una performance realizzata dall’artista per strada, mentre cammina su una sorta di tappeto di uova, che rappresentano le vite umane calpestate dal potere e in balia della sorte. La tensione provocata dall’imminenza di un pericolo è presente anche negli altri lavori in mostra, come In-Out (Antropofagia) e È o que Sobra, metafora di come la libertà possa essere impedita in ogni modo quando governa un regime totalitario e oppressivo. A Ferrara sono esposte anche le opere più recenti, del 2014/2015, completamente diverse dalle precedenti. Qui Maiolino ha introdotto la ceramica e cambiato il proprio percorso: mentre prima era il corpo che accompagnava il messaggio artistico, ora la fisicità è lasciata da parte e l’azione della scultura modellabile diviene allegoria vita e morte attraverso l’uso di ceramiche Raku, fragilissime se contrapposte alla forza che serve per realizzarle, così com’è fragile la vita umana. In Untitled del 2015, forme di ceramica che con la distanza appaiono tutte uguali, avvicinandosi rivelano peculiarità che le rendono uniche. È necessario annullare le distanze, fare lo sforzo di guardare bene… come per il genere umano, ognuno di noi è diverso e simile allo stesso tempo”.

Il primo piano del Padiglione è riservato ad Amalia Pica e Teresa Margolles, che ha realizzato appositamente un’opera, Pesquisas, per la Biennale Donna. Sono i ritratti affissi in varie città messicane dai familiari di donne scomparse, una situazione estremamente grave che si verifica da quando avviene una forte emigrazione per cercare un’occupazione e sfuggire alla povertà. Come conseguenza del machismo e del profondo disprezzo nei confronti del genere femminile, molte ragazze vengono rapite e uccise e spesso scompaiono nel nulla. I familiari che lottano per ritrovarle, per tenere viva la loro memoria e per avere loro notizie, affiggono le loro foto ai muri delle città. Qui però rimangono a lungo, si usurano, si sovrappongono e diventano, tristemente, parte del paesaggio, causando un’ulteriore tragica sparizione. Anche per le altre opere in mostra si rimane sullo stesso tema della violenza e degli omicidi spesso impuniti, come Sonidos de la Muerte, la registrazione di suoni quotidiani, nelle strade, nei luoghi pubblici, dove si ritrovano i corpi delle donne uccise, quindi i rumori della normalità, come se tutto ciò fosse la normalità e come dice l’artista stessa, tutto ciò avviene perché si lascia che avvenga.

Amalia Pica, invece lavora sul concetto di comunicazione che spesso diventa anche propaganda, per On Education per esempio ha ripreso il gioco di parole che in italiano è “Di che colore è il cavallo bianco di Napoleone”, che si ritrova quasi invariato anche in altre lingue e ha realizzato un video nel quale lei stessa dipinge con polvere di gesso bianco una statua equestre in un parco, per vedere poi la reazione dei passanti quando, come ribaltamento della realtà, ritrovano nel concreto quello che invece è un concetto astratto.

Tappi per le orecchie di preziosi metalli, palloncini che non volano e “telefoni a barattoli” che creano caos nelle comunicazioni…

Spiega ancora Silvia Cirelli:

“I rimandi adolescenziali di Pica, suggeriti dall’utilizzo di coriandoli, arcobaleni, palloncini o, come in questo caso dai barattoli, ricordano quel momento dell’infanzia in cui i bambini sentono l’esasperata esigenza di farsi capire e di comunicare le proprie emozioni o pensieri. Quando però il dialogo fallisce, scatta la fantasia, perché è solo con l’immaginazione che si possono colmare quelle lacune lasciate dall’incomprensione verbale. L’inevitabile fallimento, cioè l’impossibilità di avere sempre una decodificazione chiara e perfetta, non deve però essere percepita con un’accezione negativa, al contrario fa parte delle straordinarie sfumature dell’interpretazione, imprevedibili, divertenti, e soprattutto umane”.

E concludiamo con la lucidissima analisi di Lola G. Bonora:

“È evidente che le diversità stilistiche di queste artiste, che utilizzano linguaggi espressivi che vanno dalla scultura alla fotografia, dall’istallazione al video, offrano diverse modalità di lettura del grande affresco che descrive le criticità dei loro Paesi, ma segnala con forza come in quelle province esista anche una grande vitalità, un’acuta lucidità creativa, un senso profondo di appartenenza, capace di sviluppare una rilevante volontà di resistere e di lottare. Questa condizione umana dovrebbe almeno interrogare le coscienze dei cittadini delle democrazie più o meno realizzate nel resto del pianeta.”

Info

  • XVI Biennale Donna
  • SILENCIO VIVO. Artiste dall’America Latina
  •  Ferrara – Padiglione d’Arte Contemporanea
  • Corso Porta Mare 5
  • A cura di Lola G. Bonora e Silvia Cirelli
  • Artiste in mostra: Anna Maria Maiolino, Teresa Margolles, Ana Mendieta, Amalia Pica
  • Catalogo: a cura di Lola G. Bonora e Silvia Cirelli, con testi critici di Lola G. Bonora e Silvia Cirelli
  • 17 Aprile – 12 Giugno 2016
  • da martedì a domenica 9.30 – 13.00 / 15.00 – 18.00
  • Informazioni Mostre e Musei: tel. +39 0532 244949;
  • diamanti@comune.fe.it
  • www.artemoderna.comune.fe.it
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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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