Emil Otto Hoppé, la Fotografia, la fama e l’oblio di un uomo fuori dagli schemi

Numerose teorie sono state messe in campo per chiarire la storia di Emil Otto Hoppé (Monaco 1878 – Londra 1972); resta però ancora enigmatica e a questo fa riferimento il titolo della prima grande personale italiana Il segreto svelato, allestita al MAST di Bologna dal 21 gennaio al 3 maggio 2015, a cura di Urs Stahel.

Graham Howe, direttore della E.O. Hoppé Estate Collection, innanzitutto ci spiega com’è arrivato a individuare e a riportare alla luce il lavoro del grande fotografo, sparito dalle scene dopo una lunga carriera, ricca di successi.

“Nel 1972 a Londra, incontrai lo storico della fotografia Bill Jay, che mi riferì di avere da poco conosciuto Hoppé (allora novantaquattrenne), da quanto risultava dalla letteratura e dalle numerose testimonianze dell’epoca, uno dei fotografi più famosi al mondo negli anni ‘20 e ‘30. Grazie alla mia formazione sapevo che gli esponenti di spicco di quel periodo erano Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Paul Strand ma non avevo mai sentito nominare questo artista, quindi non prestai la dovuta attenzione al suo suggerimento di approfondirne lo studio. Una ventina d’anni dopo conobbi il nipote di Hoppé: si tornò sull’argomento, mi confermò le parole di Jay e decisi allora di avviare le ricerche dell’archivio del fotografo. Ne recuperai una gran parte all’agenzia Mansell, lo studio di Londra al quale lo stesso Hoppé, nel 1954, aveva venduto quasi tutta la propria collezione, quando a 76 anni prese la decisione di concludere la propria carriera di fotografo. Un vero e proprio tesoro di seimila stampe, frammentato e disperso tra altre decine di migliaia, catalogate per argomento invece che per autore.

Nella sezione danza, per esempio, trovai i ritratti di Margot Fonteyn a quindici anni, di una giovane Martha Graham, una serie di immagini di Tamara Karsavina e Vaslav Nijinski dei Ballets Russes di Serge Diaghilev e del costumista Leon Bakst. Individuai altro materiale a New York e nell’archivio di famiglia. Il corpus dell’imponente lavoro faticosamente riunito, ci svela un Hoppé ritrattista, fotografo industriale, di paesaggi e di grandi viaggi tra Africa, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Indonesia, India, Romania, Germania, Austria, Italia, che aveva avuto la possibilità di raccogliere la propria opera in decine di importanti pubblicazioni. Ma tutto è rimasto nascosto per oltre quarant’anni ed è ancora difficile capire come ciò sia avvenuto.”

Phillip Prodger della National Portrait Gallery di Londra ci aiuta a conoscere meglio l’uomo e l’artista, ripercorrendone la biografia:

“Ho avuto l’opportunità di lavorare per dieci anni sul materiale di E. O. Hoppé, un fotografo estremamente versatile, capace di passare da un genere all’altro senza difficoltà. Esordisce come ritrattista, poi si dedica sempre con successo alla street photography, alla fotografia industriale, al nudo, seguendo un percorso arduo da classificare, per gli storici d’arte.

Non si può far rientrare la sua opera nel modernismo in senso stretto, poiché manca l’atteggiamento distaccato che lascia parlare solo la macchina fotografica e usa il meccanismo della fotografia per creare un prodotto slegato dalla relazione diretta con l’essere umano. Hoppé riteneva, a differenza dei colleghi suoi contemporanei, che una fotografia dovesse comunque trasmettere una sensazione. Stilisticamente il suo lavoro era modernista, però lasciava trapelare il coinvolgimento emotivo e la sensibilità profonda, il ritratto della danzatrice Tilly Losch ne è un perfetto esempio. Probabilmente l’analisi della biografia può aiutarci a comprenderlo meglio.

Hoppé nasce nel 1878 a Monaco. Il padre, banchiere, desidera e pianifica per il figlio la stessa carriera, perciò viene educato nelle migliori scuole di Monaco, Parigi e Vienna. Il giovane Hoppé, al contrario, mostra presto grande interesse per l’arte e quando per affari viene mandato da uno zio a Shangai, fa tappa a Londra e qui decide di fermarsi per dedicarsi alla propria passione. Sposa una donna tedesca emigrata in Inghilterra e inizia a lavorare alla sede della Deutsche Bank di Londra, ma se ne allontana gradualmente fino a lasciarla nel 1907. Approfondisce la propria formazione artistica in modo molto articolato, includendo anche lo studio del disegno; è costumista teatrale e usa tessuti che lui stesso realizza. In fotografia sperimenta il Pittorialismo, ma poi lo abbandona per trovare il suo personale stile, nel quale si fondono la morbidezza di questa tecnica con il rigore del modernismo.

È dunque un artista completo e di successo, ma due esperienze in particolare lo portano all’apice della fama: dal 1911 al 1921 è il fotografo delle stelle dei Ballets Russes, la più importante compagnia del mondo dello spettacolo del XX Secolo e la pubblicazione nel 1922 del libro intitolato Book of Fair Women, un compendio delle più belle donne da lui riprese nel corso dei viaggi e dei vari set, una sorta di atlante dell’universo femminile. Questo lavoro lo rende celebre e richiestissimo, tanto da essere invitato in ogni sede possibile in qualità di arbitro della bellezza e dell’estetica. È curioso e attratto dalla conoscenza del mondo, quindi viaggia molto, non tralasciando nessun continente. Tra il ‘25 e il ‘26 pubblica Romantic America e Orbis Terrarum, le testimonianze dei Paesi conosciuti, estese a persone, paesaggi, architettura, cultura, sviluppo, un’anticipazione rispetto a ciò che vedremo con Edward Weston o Walker Evans“.

Eppure… eppure quest’uomo, conclude la propria brillante carriera vendendo tutto ciò che aveva realizzato e letteralmente sparisce. Perché?

Urs Stahel, curatore del MAST e di questa mostra, propone alcune solide ipotesi, che vanno dalla frammentazione dell’archivio, condizione che ne ha disperso le tracce per quasi quarant’anni, alla difficoltà di inserire la figura di Hoppé tra quelle più conformi al periodo in cui visse. Era un esponente della ricca borghesia, di certo non un bohemièn, non viveva ai margini della società eppure aveva la sensibilità dell’artista.

Lui stesso afferma:

“Non vedo alcun motivo per pensare che un uomo sia un artista migliore se ignora il gusto comune, disprezza il principio della domanda e dell’offerta e ha le unghie sporche. […] Allo stesso modo, non posso trovarmi in accordo con lo snobismo intellettuale che vuole che un uomo con indosso una camicia pulita e con un conto in banca sia necessariamente un commerciante e non possa essere un artista”.

Forse E.O. Hoppé sfugge davvero alle definizioni e ai cliché e questo destabilizza.

Continua Stahel:

“È allo stesso tempo moderno e conservatore, idealista, romantico e pragmatico, artista e uomo d’affari, ha interesse per le cose pratiche, la fotografia, il denaro, la condizione umana; è ugonotto, ma anche tedesco, austriaco, inglese. E in questo ineguagliabile connubio di elementi è iscritta la sua assoluta unicità, oltre che nella grande potenza visiva delle immagini.

Le opere in mostra al MAST sono una celebrazione dell’industria a tutto tondo, dalle fonderie fino all’assemblaggio delle macchine, in un processo che esalta la potenza e l’energia e comprende anche chi rende possibile tutto ciò, i minatori, gli operai, i dirigenti, i banchieri che finanziano l’industria colti durante la propria attività e i disoccupati che ne rimangono al margine. In questo lavoro, però, il successo dell’industria, il suo valore estetico per il paesaggio, l’aspetto astratto dei treni, i vapori delle fabbriche, hanno per Hoppé (anche in questo differente dall’ideologia del periodo) un’attrattiva maggiore degli aspetti sociologici o politici. Scrisse:

“L’abbigliamento, gli usi e i costumi della gente delle campagne incontaminate mi hanno offerto soggetti interessantissimi mentre l’industria moderna e l’architettura fungevano da perfetta controparte al paesaggio pittorico. Sembrava infatti di essere perennemente in viaggio ai confini tra passato e futuro”.

Per Hoppé tutte le grandi innovazioni industriali e tutti i progressi che ne conseguono, sono un insieme di arte e scienza, di conquista umana e dono divino. Il suo approccio e la sua fotografia riflettono una concezione dell’uomo e delle sue conquiste sulla natura profondamente esistenziale e romantica, a volte persino spirituale:

“Nessuno può starsene in piedi sotto l’arcata di un ponte gigantesco con i suoi piloni svettanti e non sentire quella forza originaria che lo spinge al di sopra della pura fisicità, raggiungendo immensità nascoste alla piena comprensione” .

Contempla quindi un idealismo e anche un romanticismo, nell’industria. Il fascino di avviare qualcosa d’immenso e del potere che l’uomo ha sulla macchina, dell’ingegneria e della sua capacità di far funzionare perfettamente un intero sistema. Il riassunto della sua filosofia può rispecchiare il pensiero futurista, ma a questo aggiunge entusiasmo per l’invenzione, per la produzione, per il futuro che va di pari passo con la percezione spirituale della natura e dell’uomo; ha un grande senso della realtà, della vita, un approccio fresco e libero, mai artificioso. Nelle sue immagini cerca l’unione tra uomo, paesaggio, fabbrica con la sostanza dell’essere, capace di unire mondo esteriore e interiore”.

Emil Otto Hoppé, in conclusione, sembra rappresentare l’elemento di congiunzione tra gli estremi del suo tempo e non solo, capace di sfruttare le possibilità offerte dalla sua condizione economica e tecnica, mettendole al servizio della conoscenza e dell’arte e di aggiungere una pagina importante nella storia della fotografia.

Info mostra

  • EMIL OTTO HOPPÉ: Il Segreto Svelato
  • Fotografie industriali, 1912-1937
  • A cura di Urs Stahel
  • 21 gennaio – 3 maggio 2015
  •  MAST – Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia.
  • Via Speranza, 42 – Bologna
  • Orari d’apertura: martedì – domenica 10.00 – 19.00
  • Informazioni: segreteria@fondazionemast.org
  • Sito: www.mast.org
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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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