David Lynch, la visione oscura del mondo.

MAST - David Lynch, Untitled 2 (Lodz), 2000 - Collection of the artist

“Non saprei cosa fare del colore. Il colore per me, vincola troppo alla realtà. E’ limitante, non concede spazio al sogno. Più aggiungi nero ad un colore, più questo diventa surreale. Il nero ha profondità. E’ come un piccolo anfratto, lo imbocchi ed è buio e continua ad esserlo anche andando avanti. Ma è proprio per questo che la nostra capacità percettiva si fa più acuta e a poco a poco, gran parte di ciò che accade lì dentro, diviene manifesto e cominci a vedere ciò che ti spaventa, cominci a vedere ciò che ami. Ed è come sognare.”

Con queste parole di David Lynch (Missoula, Montana, 1946) si apre la corposa esposizione di oltre 100 scatti a lui dedicata dalla Fondazione MAST, Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia di Bologna, in prima assoluta per l’Italia, con 14 inediti in grande formato, pensati appositamente per gli spazi del nuovo museo.

Celebre regista, ha diretto, tra gli altri, “The Elephant Man” 1980, “Velluto Blu” 1986, “Mulholland Drive” 2001, “Dune” 1984, “Cuore selvaggio” 1990 e la serie televisiva “Twin Peaks” nel1990 –1991). Ed è proprio dopo aver girato “The Elephant Man” che Lynch comincia a fotografare. Per formazione (è diplomato alla Pennsylvania Academy of Fine Arts di Philadelphia) sperimenta varie forme di espressione artistica, è pittore, scultore, designer, musicista, sceneggiatore, produttore. Molti mezzi, ma un unico filo conduttore, costituito da tre elementi che considera il fulcro della propria poetica: Bellezza, Atmosfera, Storia.
La curatrice Petra Giloy-Hirtz presenta l’artista:

“un narratore di emozioni, di desiderio, di sogno e di realtà, che indaga i lati oscuri della mente umana. Questa mostra vi condurrà in viaggio attraverso ciò che resta di un mondo perduto, quando le fabbriche erano le pietre miliari del progresso, veri e propri monumenti. Oggi le stesse sono terre desolate; scenografie popolate da aure sensoriali, rimandano immagini magiche, surreali, che si presentano come sequenze oniriche, per le loro atmosfere e ci riportano al regista visionario e labirintico a noi noto. Non ci si faccia sorprendere, quindi, dalla preponderanza del buio.”

Oltre che dall’oscurità, Lynch è affascinato dalle fabbriche e molto attratto dai particolari, dagli elementi e dagli oggetti trovati nella sua ricerca di fabbriche abbandonate, viaggiando tra Stati Uniti, Polonia, Inghilterra, Berlino, negli anni che vanno dal 1980 al 2000:

“Vedere quei macchinari giganteschi, vederli – come dire – alle prese con il metallo fuso, mi fa sentire bene. Mi piace il fuoco, il fumo. E i rumori. Così potenti. Tutto è semplicemente grandioso. Tutto mi dice che si sta creando qualcosa.”

Cavi, ciminiere, finestre e macchine, non avrebbero potuto trovare luogo più affine del MAST, specializzato proprio nella fotografia industriale e del lavoro, con una ricca collezione permanente, a cura di Urs Stahel, che vede autori come Margaret Bourke-White, Bill Brant, Robert Doisneau, Walker Evans, W. Eugene Smith, Andreas Gursky, Lee Friedlander, Naoya Hatakeyama.
E prosegue Petra Giloy-Hirtz:

“guardate attentamente le pregiate stampe alla gelatina d’argento, pare che la polvere finissima, la fuliggine, i vapori, si siano depositati sulla superficie, come un disegno a carboncino. Vedrete che sono i particolari in apparenza più normali che attraggono Lynch, vetri rotti, cavi tagliati, tubature arrugginite, intonaco sgretolato, macchie, lampade, interruttori. La luce invernale è perfetta per queste riprese, perché garantisce la tonalità ricercata dall’artista, rivela le linee grafiche naturali di un intreccio di rami o le ombre della terra. La medesima atmosfera fa da sfondo alla tipica narrazione, inquietante e claustrofobica, come si trattasse del fermo-immagine di uno dei suoi film.”

La narrazione, dunque al centro del progetto: ogni scatto pare il set scelto per una storia da raccontare, pervasa da emozioni, ma dalla quale viene separato l’aspetto sociale o politico, come sottolinea la curatrice:

“Lynch non vuole analizzare l’architettura, non è importante, non vuole ricordare come l’industrializzazione abbia trasformato il paesaggio o abbia creato disastri ambientali. Cerca luoghi magici, irreali che ci risuonano perché si collegano ad un archetipo latente che ognuno di noi ha in mente, la nostra coscienza onirica. Alcune immagini fanno parte della memoria collettiva, ci riportano per esempio a “Deserto Rosso” di Michelangelo Antonioni o “Stalker” di Andrej Tarkovskij, ambientati in misteriosi paesaggi industriali che sembrano generare loro stessi la narrazione di una civiltà in rovina. Ma Lynch non è questo: non ci sono esseri umani ritratti e quest’assenza ha una qualità tragica, la sua atmosfera è invisibile, il mistero è accessibile solo con l’esperienza, non si traduce in parole e lui stesso dice delle sue fotografie, guardatele e osservate attentamente gli effetti che vi procurano”.

Info

  • Factory Photographs di David Lynch
  • 17 SETTEMBRE – 31 DICEMBRE 2014,
  • MARTEDÌ – DOMENICA ORE 10.00 – 19.
  • curata da Petra Giloy-Hirtz, in collaborazione con MAST e The Photographer’s Gallery.
  • MAST.GALLERY:
  • Fondazione MAST
Via Speranza, 42
40133 Bologna
  • Organizzazione: staff@fondazionemast.org
  • Ufficio Stampa: Lucia Crespi, Lucia@LuciaCrespi.it
  • Catalogo Fondazione MAST
  • Testi Urs Stahel e Petra Giloy-Hirtz
+ ARTICOLI

Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.