Il tempo nella fotografia: le tre nuove mostre a Fondazione Fotografia di Modena

Fondazione Fotografia Modena - Jorge Villacorta e Kenro Izu (a destra) - ph. Federica Casetti

L’effetto, ottenuto con una leggera rotazione della manovella dell’ingranditore in camera oscura, dà alle foto di Mimmo Jodice, un senso di vertigine e un’idea di movimento. Paradossale, se si pensa che i soggetti sono per lo più di pietra… Eppure l’artista napoletano insiste nell’affermare che considera le statue, le figure scolpite nel marmo, alla stregua di persone in carne ed ossa. A confermare la riuscita dell’intenzione, con un’espressività fuori dal comune, questi volti urlano, stupiscono, affascinano. Molto lontano dall’essere inanimati, sono anzi depositari e custodi di anime, tanto che attraversando le sale del Foro Boario, sede temporanea di Fondazione Fotografia, a Modena, ci si sente addosso lo sguardo dei protagonisti dell’“Arcipelago del Mondo Antico”, una cinquantina di foto, tutte in bianco e nero, molte delle quali mai esposte prima, a cura di Filippo Maggia, titolo della sezione riguardante proprio Mimmo Jodice (le altre due sono riservate al giapponese Kenro Izu e ad una raccolta di fotografi andini). Sguardi sgomenti, si diceva e strade, colonnati, ruderi, edifici deserti, ma densi di presenze struggenti. Al suo esordio Jodice trattava temi legati al sociale, ambientando soprattutto nella propria città, una ricerca che ha incluso tra gli altri, i ragazzi di strada, i movimenti politici degli anni ‘70, il terremoto, il colera, i malati di mente, la denuncia insomma delle condizioni di vita di chi è in difficoltà. Deluso dai risultati di questo lavoro, decide di escludere la figura umana dagli scatti, per lasciare parlare l’antichità. Ed è proprio da quel momento che l’umanità popola l’immagine, raggiungendo il massimo grado di efficacia nella denuncia, per ricordarci lo stato pietoso dei beni artistici italiani e non solo e le vicende del mare Mediterraneo. Naturalmente il pensiero va innanzitutto a Pompei, attualissimo e tragico problema di conservazione del nostro patrimonio artistico e culturale.

L’effetto di dissolvenza sul contorno della figura ritratta richiama il destino segnato di molte di queste immense opere d’arte. Il profilo dei soggetti, donne e uomini bellissimi, eroi e figure del Mito, si dissolve nella luce dello scatto, ma anche materialmente nell’incuria di chi dovrebbe tutelarli. Rivolgendo lo sguardo al passato Jodice ha saputo proseguire nella naturale evoluzione della propria poetica e l’espressione sui volti di pietra, anche quando sono corrosi e frammentati dal tempo, è un’invocazione d’aiuto, un invito ad aprire gli occhi, a salvare assieme ai tesori anche il nostro futuro, in termini di bellezza e ricchezza.

Proseguendo nel percorso espositivo, troviamo “Territori dello Spirito”, a cura di Filippo Maggia, quella che lo stesso autore definisce come la retrospettiva più completa di oltre 30 anni di lavoro. Parliamo di Kenro Izu, giapponese di nascita ma americano d’adozione (vive a New York dagli anni ’70), che al centro del proprio progetto pone la ricerca della spiritualità. Anche in questo lavoro, come in quello precedente, non esiste figura umana, ma sono ritratti i luoghi più impregnati dal senso di sacro e di eterno. Il tutto parte dal suo primo viaggio in Egitto, nel 1979, alla ricerca dell’unica rimasta tra le sette meraviglie del mondo, la piramide di Cheope a Giza. Precedentemente Izu aveva lavorato come fotografo di moda, poi di oggetti preziosi e nature morte. La cifra stilistica che lo contraddistingue fin dall’inizio della carriera, è l’altissima qualità tecnica e di stampa.
L’incontro con i “Sacred Places” (titolo di una delle serie di immagini), ha un impatto molto forte e lui stesso dice, nella conversazione con Claudia Fini (riportata nel catalogo della mostra):

“Sono rimasto affascinato da una foto in particolare, che era riuscita a catturare la forte aura spirituale del luogo. Era l’immagine della piramide a gradoni di Sakkara. Sembrava che le sue pietre emanassero una luce abbagliante proveniente dall’interno. Da allora l’architettura sacra in pietra è diventata il mio soggetto preferito; ho così iniziato la mia ricerca di luoghi ricchi di energia spirituale, per visitarli e fotografarli uno ad uno. Appena ne ritraevo uno, sembrava che quello mi indicasse naturalmente il successivo; era come se il “sacro spirito” mi guidasse attraverso i luoghi per farmi cogliere più a fondo l’essenza della spiritualità”

E di viaggi successivi alla prima esperienza egiziana, ne compie numerosi: Tibet, Bhutan, Laos, Siria, Cambogia, Nepal, Messico, Perù, Cile, Stati Uniti, Stonenge e Carnac in Europa e naturalmente l’India. Negli spostamenti, pur viaggiando sempre solo, porta con sè la gigantesca attrezzatura che gli permette di applicare e sperimentare nuove tecniche, sempre raffinatissime. Si fa costruire un banco ottico per negativi 35×50, circa 90 chili di materiale da trasportare nei deserti e sulle montagne, l’unico in grado di realizzare immagini di grande formato, che poi sviluppa “a contatto” e stampa al platino-palladio, per ottenere un aspetto “retrò” ed una definizione straordinaria nei dettagli. L’aura di misticismo e spiritualità è così tradotta in fotografia, in un ponte ideale tra la divinità e l’uomo, che di recente ha reintrodotto negli scatti.

La terza parte della nuova esposizione modenese, “Fotografìa de los Andes”, è curata da Jorge Villacorta, studioso di fotografia sudamericana e direttore della seconda Biennale di Fotografia di Lima.
Lo stesso curatore la definisce come:

“il risultato di 12 anni di ricerca, tuttora in corso, avente come mandato, anche quello di scoprire nuovi autori e la prima occasione in cui si presenta il gruppo di fotografi del periodo che va dal 1890 al 1940, riconducibili alla città di Arequipa, dove si è sviluppata una vera e propria scuola di fotografia, della quale hanno fatto parte innanzitutto Max T. Vargas e il fratello (il loro atelier era intitolato a los Hermanos Vargas) e Martin Chambi, probabilmente il più celebre fotografo andino”.

Oltre che ad Arequipa, sono molto attive, da questo punto di vista, anche le città di Cuzco e Puno. Le immagini esposte provengono da raccolte private e ci rimandano scene di vita, ritratti, paesaggi e città. Al contrario delle due mostre che la precedono, questa è densa di personaggi, illustri o meno, indios e bianchi, riuniti in un delizioso album di famiglia. I fotografi scelti, oltre ai già citati, sono Emilio Diaz (che istaurò una vera e propria competizione a colpi di tecnica e di maestria, con Max T. Vargas), Enrique Masìas, Guillermo Montesinos e anche l’italiano Luigi Domenico Gismondi, emigrato in Perù nel 1891 da San Remo.
Due celebri fotografi con i loro lavori più famosi, in parte mai esposti prima, precedono questa piccola “chicca” alla quale consigliamo di riservare il tempo necessario per godere della ghiotta e particolare occasione, una pagina certamente poco conosciuta, ma che rientra a pieno titolo nella storia della fotografia.

Info:

  • Mimmo Jodice. Arcipelago del mondo antico
  • Kenro Izu. Sacred Places
  • Fotografia de los Andes
  • 12 settembre 2014 – 11 gennaio 2015
  • Foro Boario – Modena, Via Bono da Nonantola, 2
  • Per informazioni: Fondazione Fotografia Modena – Via Emilia Centro 283, Modena
  • tel. 059 239888 – 335 1621739 – mostre@fondazionefotografia.org
  • www.fondazionefotografia.org
  • Cataloghi:
  • Fotografia de los Andes. Ed. Fondazione Fotografia Modena
  • Kenro Izu. Territori dello spirito. Ed. Skira
  • Mimmo Jodice. Arcipelago del mondo antico. Ed Skira
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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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