La perfetta imperfezione del paesaggio italiano. Intervista a Silvia Camporesi

Colonia Cesenatico Emilia-Romagna-Courtesy Silvia Camporesi

Sembra quasi un inno al Wabi Sabi giapponese, il nuovo progetto di Silvia Camporesi (Forlì, 1973) e invece ci troviamo a Forlì. La casa, nel centro della città, ha il soggiorno che si apre su un grande giardino. Alle pareti tra le foto di Silvia, anche Il Tuffatore di Nino Migliori e in braccio a lei, la piccola Giuni, che movimenta la nostra intervista, con vocalizzi entusiastici e musica di carillon…

Chiediamo a Silvia: cominciamo dalla fine, raccontaci le novità…

“La novità, oltre a quella che tengo in braccio, è il libro appena uscito, Atlas Italiae, edito da Mario Peliti, che racchiude un lavoro durato due anni, svolto in giro per l’Italia. Il progetto è nato dalla suggestione di una lettura a proposito di un paese in provincia di Lucca, Vagli, sommerso dalle acque per creare un bacino idroelettrico. L’obiettivo era fotografare edifici e paesi abbandonati in tutte le regioni italiane.”

È risaputo che il territorio italiano sia ricchissimo di luoghi di questo genere, alcuni molto famosi. Hai incontrato difficoltà nell’organizzare la logistica?

“La ricerca si è svolta seguendo un programma a tappe e ho dovuto prefissarmi alcune regole da seguire, nella scelta dei luoghi da fotografare. Ho dato la priorità a quelli che conservano tracce di memoria, ai paesi con le case ancora intatte, con mobili, carte da parati, tavole apparecchiate. Volevo sentire echeggiare le storie di chi vi ha vissuto. Lo stesso per edifici, ospedali, manicomi, ville, colonie, scuole. In questo viaggio ho scoperto un’Italia meravigliosa, per citare Luigi Ghirri un’Italia Ailati, un palindromo che avrei tanto voluto usare. Il lavoro è stato realizzato grazie ad un crowdfounding: quindici collezionisti che hanno finanziato il progetto completo.”

Quindi nel libro c’è una testimonianza per ogni regione?

“Sì, sono un centinaio di scatti e c’è almeno una foto per ogni regione, per esempio della Val D’Aosta ne ho una, della Toscana invece moltissime, tra cui una selezione che è stata esposta a Fotografia Europea di Reggio Emilia del 2014, uno speciale sull’Isola di Pianosa (Planasia, dall’antico nome romano), la cui storia è legata al carcere. Ho avuto modo di conoscere molto meglio il territorio, per esempio mi aspettavo di trovare nel Lazio molti luoghi abbandonati, invece questi sono spesso recuperati o acquistati da stranieri. Il sud è stato molto generoso: Calabria, Basilicata, Puglia, dove tra l’altro, è meno presente il fenomeno del vandalismo, largamente praticato invece al nord…”

Nel senso che c’è più rispetto o ci si tiene più lontani per paura?

“Io penso sia anche a causa dell’abitudine al non finito… è normale, è abbastanza tipico del paesaggio e tra non finito e abbandonato c’è poca differenza… mentre al nord quando un edificio viene lasciato, entro breve si scatenano i writers o i vandali con azioni distruttive, dinamica a me ancora incomprensibile… al sud ho trovato molti edifici e addirittura interi paesi intatti, come per esempio Alianello, vicino a Matera, arrampicato su una collina, abbandonato a causa di una frana. Sembra che gli abitanti se ne siano andati da un momento all’altro, lasciando abiti, letti con le lenzuola, bauli pieni di suppellettili…”

Sei stata anche a L’Aquila o l’hai considerata un altro tipo di abbandono, secondario al terremoto?

“No, non sono andata a L’Aquila proprio per questo motivo, ma in Abruzzo ho trovato molti altri paesi interessanti.”

Come hai raccolto le informazioni per reperire le mete dei tuoi viaggi?

“Ho dovuto definire un metodo per evitare di fare giri a vuoto, per cui prima ho individuato su internet le località per ogni regione, poi con l’aiuto dei social network ho cercato un riscontro reale sulle informazioni, su quanto fossero aggiornate, visto che questi luoghi sono estremamente fragili, deperiscono molto rapidamente… i primi viaggi sono stati un po’ improvvisati, poi ho affinato la ricerca, ma mi è successo per esempio in Lazio, di fare un centinaio di chilometri per arrivare ad un paese e non trovarlo perché proprio la settimana prima era stato smontato, con l’idea di ricostruirlo completamente.”

Prima di concentrarti solo sull’Italia, hai viaggiato anche all’estero, in Armenia per esempio

“Sì, sono andata per realizzare Journey to Armenia, nel 2013 (che ha prodotto una pubblicazione con Gente di Fotografia e una mostra con Photographica Fine Art di Lugano). Anche là avevo trovato un affascinante paese abbandonato Aghdam, in Nagorno Karabakh che però non ho potuto visitare perché minato durante la guerra con l’Azerbaijan.”

All’inizio della tua carriera affrontavi progetti e soggetti estremamente diversi ed erano molto presenti i ritratti e gli autoritratti. Il tuo stile, la pulizia e l’eleganza dell’immagine ti distinguono sempre, ma ora sei più orientata all’esplorazione del paesaggio, quando hai iniziato?

“Nel 2011 con La Terza Venezia; prima lavoravo sul paesaggio in relazione alla figura umana, poi piano piano questa è uscita dalla cornice fotografica per lasciare spazio al mio preponderante interesse per il paesaggio, la città con Venezia, il territorio allargato con l’Armenia, poi l’Italia. E devo ammettere che dopo anni di peregrinazioni in giro per il mondo, il nostro Paese mi ha riservato bellissime sorprese e ho avuto modo di interagire più profondamente con le persone, con chi mi accompagnava o chi ho incontrato, è stato un lavoro collettivo.”

Come hai detto, questa specie di tour ti ha dato l’occasione di incontri con le persone, come hai vissuto per esempio l’esperienza di Pianosa, probabilmente un luogo non semplice in cui lavorare…

“È stata un’esperienza molto positiva. La direzione di Fotografia Europea mi ha commissionato questo lavoro perché l’isola ha diversi legami archeologici con Reggio Emilia. Il problema principale è stato lavorare d’inverno, quando i collegamenti con Pianosa sono difficoltosi. A livello fotografico, però è meravigliosa e nessun fotografo prima è mai entrato nel carcere, ancora attivo sull’isola. Ho trovato quindi un luogo intatto, fermo agli anni ’80, ho avuto accesso alle case del paese, anch’esse abbandonate in seguito alla parziale chiusura del carcere, alle scuole e ho trovato un mondo carico di storie e di emozioni. Ho vissuto per brevi periodi sull’isola in compagnia di un naturalista che stava raccogliendo materiale per una guida su Pianosa, dell’Ispettore di Polizia Penitenziaria che mi accompagnava e di tredici detenuti. La loro presenza è molto importante, si occupano di ristrutturare gli edifici, di pulire e curare l’ambiente. Certo raggiungere Pianosa ha comportato diversi disagi, tra cui mare in tempesta e i pochissimi traghetti che raggiungono l’Isola d’Elba, in mancanza dei quali ho dovuto approfittare di un passaggio “forzato” sulla motovedetta della Polizia…”

Hai scelto l’inverno per il tipo di luce?

“Avere tutti i permessi regolari per accedere alle strutture ha richiesto un certo tempo, quindi il periodo utile è stato tra gennaio e aprile, ottimale per me così ho potuto evitare la presenza di turisti e avere ambienti e luci perfetti, che mi hanno regalato anche affascinanti fioriture di orchidee e danze notturne di barracuda nel porticciolo.”

Da questa ultima esperienza è uscita la pubblicazione Atlas Italiae; seguiranno naturalmente delle mostre…

“Sì, una serie di mostre, le prime delle quali sono state a Rimini al Museo della Città con un focus sull’Emilia Romagna, in Lussemburgo al Mese europeo della fotografia, a Bari alla galleria Artcore incentrata sui paesi del sud. A Imola fino al 10 gennaio ho esposto Tabula: Imola; poi sarò a Roma alla Galleria del Cembalo, a Napoli, a Milano da Micamera e avrò una serie di presentazioni del libro in giro per l’Italia.”

Dunque dopo esserti così arricchita di esperienze, ritieni questo lavoro concluso o avrà un seguito?

“Mentre tutto il progetto era ancora in essere, vivevo una specie di travaglio continuo, alternavo la voglia di partire con il desiderio di tornare… ora lo ritengo concluso e sono soddisfatta.
L’ultimissima tranche che ho realizzato è Le Città del Pensiero, un lavoro su De Chirico (iniziativa collegata alla grande mostra a Palazzo dei Diamanti di Ferrara), per cui ho realizzato una serie di opere per la MLB Gallery, ricreando modelli di edifici che citano le architetture presenti nelle opere dell’artista e del periodo razionalista.”

Oltre alla fotografia, hai sperimentato vari interventi sulle tue opere, come quello appena citato di costruzione di modelli in studio. Nella Terza Venezia hai introdotto le ricostruzioni in scala, poi la coloritura a mano, il kirigami… è un uso della fotografia molto ampliato.

“Nella Terza Venezia ho fotografato anche alcuni modelli della Venezia in Miniatura di Rimini, mentre con Atlas ho introdotto la colorazione manuale, che nasce da un’esigenza stilistica: il mio viaggio si è realizzato in tutte le stagioni, per cui ho dovuto sfruttare la luce del momento, era impensabile attendere le stesse condizioni per ogni scatto. Alla fine, mi sono ritrovata le foto con tutte le luci diverse, calde e fredde, estive e invernali mischiate, senza la possibilità di dare quell’uniformità che è nel mio stile. Ricorrere unicamente alla post produzione sarebbe risultato troppo invadente, quindi con il mio stampatore ho deciso di fare tutte stampe in bianco e nero e colorarle poi con speciali pastelli morbidi, cercando di riprodurre la luce voluta. L’idea ha risolto completamente il lavoro, perché questa tecnica dona l’opacità e la morbidezza che cercavo. Il mio obiettivo è ottenere un intervento invisibile, quindi posso applicarlo solo per formati entro il 50×70. Invece per la resa tridimensionale della fotografia ho usato anche il kirigami, una tecnica giapponese di taglio e piegatura della carta che rende tridimensionale ciò che per definizione di dimensioni ne ha due. Vivo la fotografia come un punto di partenza che poi io tiro in tante direzioni, spostandola dove non andrebbe di suo, per esempio verso la pittura o la scultura.”

Dicevi prima che le persone sono andate via via sparendo, dalle tue foto. Pensi che torneranno?

“Non lo so, penso di no… sto lavorando a un nuovo progetto, che ha già un titolo, Almanacco Sentimentale. È l’idea di un libro che raccoglie tutte le ricerche che ho collezionato negli anni di storie strane, curiose, eccentriche, paranormali. È stata sempre una mia passione… nei mercatini dell’usato ho comprato una raccolta di Reader’s Digest, con l’idea di farci qualcosa, anche durante i viaggi ho cercato nelle varie regioni storie o leggende legate ai luoghi. Per esempio nell’Almanacco entrerà la storia di Vagli, visto che non sono riuscita a fotografarlo, perché ancora sommerso. Dopo tanto paesaggio, tanta terra, tanta concretezza, ho bisogno di qualcosa di surreale e questo progetto ha le caratteristiche giuste.”

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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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