Amarena che passione. 100 anni e 13 di storia della Fabbri celebrati con l’omonimo Premio

Siamo a Bologna. Lungo la Via Emilia, nel quartiere di Borgo Panigale, uscendo dalla città, ci si imbatte in un gigantesco vaso di Amarena Fabbri. Posto sulla piccola portineria all’ingresso della storica sede aziendale, con i caratteristici colori bianco/blu che richiamano le ceramiche faentine, è una delle icone più conosciute dell’industria alimentare italiana dal 1905 ad oggi e in molte occasioni, elemento consolidato e condiviso dell’urbanistica bolognese, molto più chiaro e visibile di tante indicazioni stradali.

Momentaneamente è in fase di restauro e la sua assenza ha provocato preoccupazione tra gli abitanti del quartiere e anche qualche malinteso, proprio in chi faceva riferimento al “vasone” per orientarsi.

“Ma tornerà presto al proprio posto!”, assicura Nino Migliori, maestro della fotografia internazionale, qui in veste di curatore del Premio Fabbri, giunto quest’anno alla sesta edizione (in collaborazione con il Polo Museale dell’Emilia Romagna e la Pinacoteca Nazionale di Bologna), riservato per la prima volta solo ad artisti che usano la fotografia.

Incontriamo Nino Migliori in occasione della presentazione delle 19 opere, in mostra fino al 13 gennaio a Palazzo Pepoli Campogrande, nel pieno centro di Bologna e domandiamo quale sia il criterio applicato nell’invitare i partecipanti.

“Non ho scelto i lavori ma gli artisti, spaziando in ambito internazionale dagli emergenti a quelli più affermati, così da avere una miscellanea di tipologie diverse, accomunati dalla stima che ho nei loro confronti. Ho riposto in loro la massima fiducia, basata sulla conoscenza del loro lavoro e li ho lasciati liberi di declinare il tema legato al Premio Fabbri secondo il proprio stile.”

Come hanno risposto, gli artisti, alla richiesta di produrre un’opera ispirata alla storia e alla simbologia dell’azienda?

Alcuni dei lavori presentati sono di scrittura, altri di estetizzazione… sono molto soddisfatto delle opere in mostra, trovo molto interessante come gli artisti abbiano affrontato la committenza, mantenendo ognuno la propria poetica specifica, con il gusto della ricerca e la disponibilità a mettersi in gioco.”

E in effetti, nelle diciannove opere esposte, ispirate alla storia della Fabbri, radicata nel territorio e parte dell’esperienza “golosa” di molti, il medium fotografico interpreta un’ampia gamma di possibilità. In un continuo oscillare tra passato e presente, fra tradizione e sperimentazione, troviamo mise-en-scène, letture metaforiche e oniriche, richiami alla moda, fino a realizzazioni di tipo documentario come l’opera di Massimiliano Camellini che riprende le catene di produzione, protagoniste anche dell’opera di Joe Oppedisano, ma in un’astrazione ottenuta con sovrapposizioni di immagini selettivamente messe a fuoco, a sottolineare sia la serialità che l’unicità del soggetto.

Alcuni artisti hanno pienamente accolto l’invito giocoso, aggiungendovi una pizzico di provocazione: è il caso ad esempio di Mataro da Vergato, autore molto legato alla danza e all’espressione corporea, che traccia le decorazioni dell’iconico contenitore, usando i corpi femminili e maschili nudi di danzatori ed acrobati su fondo nero, moderna rilettura degli antichi vasi greci ed etruschi.

L’opera surreale di Stefano Scheda, intitolata Peccati di gola, ritrae un classico confessionale di legno scuro, ma la tenda, chiusa come un sipario maliziosamente perturbante, ha i disegni blu e bianchi dell’azienda.

Chiediamo allo stesso Scheda, una lettura dell’immagine:

“Nella mia opera  l’oggetto viene desacralizzato, umanizzato. Basta poco per cambiare l’approccio, la rigida struttura di un rituale. Quasi che una tendina fosse sufficiente ad abbattere quell’atmosfera  in cui il potere temporale ci sovrasta: da una parte il giudicante, dall’altra il peccato. Mentre le confessioni più  profonde, spontanee, inaspettate si rivelano in luoghi più umani, magari in cucina, perché no!”.

Tre sono i vincitori ex-aequo di questa edizione del premio, Paola Binante e Alessia De Montis, bolognesi d’adozione e Rui Wu, che vive e lavora tra la nativa Cina e l’Italia.

Paola Binante con il dittico Marena, una Polaroid e una stampa da negativo Polaroid, accosta il vaso di Amarena Fabbri a elementi antichi e a una mano femminile.

Alessia De Montis con LAYERS-Fabbri, poetica evocazione di ricordi d’infanzia, pone sulla decorazione del vaso di Amarena Fabbri, la scritta “Ricorda me da piccola” in lettere di carta ritagliate. E’ evidente da parte della Fabbri, il riconoscimento dell’importanza della figura femminile nella società e nell’azienda, dove a creare la famosa “marena con frutto” fu Rachele Buriani, moglie del fondatore.

Infine Rui Wu con .txt, partendo da una riproduzione fotografica del vaso, ha ritagliato particolari, frammenti e prospettive curvilinee dei motivi decorativi e li ha poi  ricomposti in “finti ideogrammi”, in un’immaginaria ed elegante calligrafia inventata.

  • 13 anni e un secolo – Fotografia
  • a cura di Nino Migliori
  • Bologna, Palazzo Pepoli Campogrande, via Castiglione 7
  • Fino al 13 gennaio 2019
  • Tutti i giorni dalle 9:00 alle 19:00, escluso il lunedì
  • Ingresso libero
  • www.premiofabbri.it
  • Catalogo ed. Quinlan con testi a cura di Lucia Miodini

Gli artisti:

Angelo Anzalone, Linda Bertazza, Paola Binante, Massimiliano Camellini, Silvio Canini, Alessia De Montis, Vincenza De Nigris, Franco Fontana, Giovani Gastel, Piero Gemelli, Mataro da Vergato, Stefano Mazzali, Brigitte Niedermair, Joe Oppedisano, Pierpaolo Pagano, Gianni Pezzani, Stefano Scheda, Pio Tarantini, Rui Wu.

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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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