Torna Louise Nevelson. Fondazione Puglisi Cosentino: riproponiamo l’intervista a Bruno Corà

Conclusasi con grande successo il 21 luglio a Roma, alla  la mostra dedicata a Louise Nevelson (all’anagrafe Leah Berliawsky, Pereyaslav, Ukraina 1899-New York 1988) approda negli spazi espositivi della Fondazione Puglisi-Cosentino a Catania, dove sarà ospitata dal 28 settembre 2013 al 19 gennaio 2104.
Riproponiamo l’articolo di Manuela De Leonardis con una parte dell’intervista a Bruno Corà, curatore di questa importante retrospettiva che ripercorre le tappe più significative della lunga carriera dell’artista:

(…) La stessa energia che sprigiona lo sguardo della scultrice, la determinazione che trapela, li ritroviamo nel catalogo anche in altri ritratti in bianco e nero, firmati da grandi fotografi come Richard Avedon, Ugo Mulas, Ara Güler, Michico Matsumoto.

Lei stessa affermò nel 1973 di sentirsi una vincitrice:

 “Sono una vincitrice. Alla fine, a mano a mano che si invecchia, la tua vita è la tua vita e tu sei sola con essa. Sei sola con essa, e non penso che il mondo esterno sia necessario. Non ha molta influenza su di me come artista, o su di noi come individui, perché una cosa non può essere scissa dallʼaltra. È la vita totale. La mia è una vita totale.” (…)

Bruno Corà, quale è, secondo te, la modernità di Louise Nevelson?

“La sua modernità è anche il suo vincolo con l’antichità. Consiste nel ricordarsi che il meglio sta nel semplice e, nonostante nella sua composizione vi sia la complessità, è una complessità semplice, dovuta agli elementi primari come quelle antinomie presenti nella scultura di Brancusi, così come nelle sculture, negli assemblage e collage di Picasso o in quelli dei Dada. I rapporti di queste antinomie primarie – ombra/luce, aperto/chiuso, chiaro/scuro e così via – da un certo punto di vista hanno dato anche la stura o, se vogliamo l’opportunità, ai giovani della generazione successiva alla sua, come i minimalisti, di sviluppare tutto questo: immaginiamo Sol LeWitt, Donald Judd ed altri.”

L’uso del nero sollecita un parallelo con Burri…

“Un parallelo innegabile, come fa pensare anche alla grande intuizione del quadrato nero di Malevič. Da questo punto di vista la valenza del monocromatismo trova interesse negli stessi anni in cui viene sottolineato il problema dell’assemblaggio. Nel 1961, negli Stati Uniti, William Seitz cura la mostra The Art of Assemblage, mentre il tedesco Udo Kulterman, che ora vive negli Stati Uniti, nel ’60 organizza Monochrome Malerei nel castello di Morsbroich di Leverkusen. Due tendenze, quindi, una americana e l’altra tedesca che la Nevelson prende entrambe, in grado di coprire le due grandi intuizioni del momento.”

Hai conosciuto personalmente l’artista?

“No, non l’ho mai incontrata, nonostante abbia visto la sua mostra da Iolas (Hommage to the Universe) a Roma, nel ’68, ma lei non c’era. E ho mancato di incrociarla nel ’73, per la mostra da Marconi a Milano.”

Curare un’antologica vuol dire addentrarsi in profondità nel personaggio dell’artista, non solo attraverso le sue opere, ma anche gli scritti, i documenti, le testimonianze…

“E’ stata un’esperienza interessante, anche perché sia io che gli altri colleghi ci siamo confrontati con decine di altri studi e punti di vista. La Nevelson ha una pubblicistica smisurata intorno a sé, oramai celebrata ovunque, e dal punto di vista dello studio si offriva su vari fronti. Ad esempio il fronte della sua militanza di donna, non femminista dichiarata ma certamente di appoggio al movimento femminista. Lei ha sempre rivendicato una sorta di extraterritorialità anche rispetto al femminismo. Si è considerata una donna consapevole, presiedendo ad associazioni e fondazioni per la donna, ma non è mai stata in primo piano nella lotta femminista, perché voleva rivendicare il suo ruolo di artista a tutto tondo e non amava molto l’espressione artista donna. Diceva di essere artista già quando aveva 9 anni. Era già così disperatamente consapevole. Poi tutta la sua vita è stato un dramma, un’altalena tra rinunciare a questa identità e poi affermarla con più veemenza, fino alle depressioni e ai tentati suicidi. E’ stata una donna straordinaria e fortissima, un esempio importante di cui tutti – uomini e donne – devono tenere conto.”

La grande mostra, fortemente voluta, ideata e realizzata dalla Fondazione Roma – Mediterraneo e organizzata da Civita Sicilia, è realizzata con il patrocinio dell’Ambasciata Americana e in collaborazione con la Nevelson Foundation di Philadelphia e la Fondazione Marconi di Milano.

Il cursore diretto sulle immagini visualizzerà le didascalie; cliccare sulle stesse per ingrandire.

Info mostra

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Manuela De Leonardis (Roma 1966), storica dell’arte, giornalista e curatrice indipendente. Scrive di fotografia e arti visive sulle pagine culturali de il manifesto (e sui supplementi Alias, Alias Domenica e L’ExtraTerrestre), art a part of cult(ure), Il Fotografo, Exibart. È autrice dei libri A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (Postcart 2011); A tu per tu con grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (Postcart 2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (Postcart 2013); A tu per tu. Fotografi a confronto - Vol. IV (Postcart 2017); Isernia. L’altra memoria (Volturnia Edizioni 2017); Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco (Postmedia Books 2019); Jack Sal. Chrom/A (Danilo Montanari Editore 2019).
Ha esplorato il rapporto arte/cibo pubblicando Kakushiaji, il gusto nascosto (Gangemi 2008), CAKE. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (Postcart 2013), Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (Ali&No 2015), Jack Sal. Half Empty/Half Full - Food Culture Ritual (2019) e Ginger House (2019). Dal 2016 è nel comitato scientifico del festival Castelnuovo Fotografia, Castelnuovo di Porto, Roma.

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