Too early, Too late. Middle East and Modernity

Akram Zatari (sx) Emily Jacir (dx) - mostra Too Early Too Late (foto Manuela De Leonardis)

Ancora una volta, parlando di Medio Oriente attraverso i linguaggi dell’arte visiva, partiamo da un titolo che è una citazione. Per Too early, Too late. Middle East and Modernity – allestita nelle sale della Pinacoteca Nazionale di Bologna, secondo appuntamento di Arte Fiera Collezionismi, dopo quello inaugurale (Il Piedistallo Vuoto) del 2014 – il curatore Marco Scotini (con la consulenza di Lorenzo Paini) ha guardato a Trop tôt/Trop tard (1981): un film in cui la coppia di cineasti francesi Jean-Marie Straub e Danièle Huillet ridefinisce i confini del tempo storico, parlando di paesaggio e della connessione della gente che lo vive, focalizzandosi sulle lotte contadine della Francia del 1789 e dell’Egitto del 1952.

Anche in un’altra grande mostra dedicata agli artisti arabi contemporanei, Here and Elsewhere, inaugurata al New Museum di New York nel luglio 2014 l’ispirazione del titolo, è arrivata dal film-documentario Ici et ailleurs (1976) di Jean-Luc Godard, Jean-Pierre Gorin e Anne-Marie Miéville. Egitto e Palestina sono, del resto, due punti focali della riflessione  che investe un’area territoriale e culturale che si estende dal Caucaso al Nord Africa, passando per l’Asia Minore e che riveste tuttora un carattere di urgenza.

Riflessioni che, parlando della mostra bolognese, sono approfondite nel volume che la accompagna (Mousse Publishing), dove troviamo importanti testi, tra cui Islam e Modernità di Hamad Redissi (tratto dal saggio edito da Ombre Corte nel 2014) e Taccuino Persiano di Michel Foucault.

Partiamo, intanto, dall’invenzione del termine “medio oriente”, usato in ambito cartografico dagli inglesi per definire i territori dell’ex impero ottomano, che nel corso del tempo è stato sempre più investito di significati geo-politici, ed è già di per sé un nodo fondamentale della questione.

Ma, procedendo a ritroso, la data che mette il medio oriente a confronto con la modernità risale alla campagna d’Egitto dell’epopea napoleonica (1798-1801) che, benché, conclusasi con l’insuccesso francese segnò il ritorno dell’occidente nel mondo dai tempi delle crociate (Wael Shawky in Cabaret Crusades analizza il dato storico mostrandone la natura manipolatoria) e, contestualmente, il successo stesso dell’Orientalismo, inteso come interpretazione dell’oriente attraverso lo sguardo occidentale.

Ecco, allora, un punto fondamentale affrontato in mostra. Sebbene siamo ormai lontani dalle visioni edulcorate di un Orientalismo stereotipato, gli artisti mediorientali contemporanei insistono sulla riappropriazione del proprio passato. Quindi sulla rilettura della propria identità e storia, affrancata dai vincoli dell’immaginazione/prevaricazione di stampo coloniale. Nel ribaltare i luoghi comuni, l’uniformità di un già detto reiterato, non si può che andare a scartabellare i documenti stessi, consultando gli archivi, operando quella necessaria ricucitura.

Lo fa il libanese Akram Zaatari (co-fondatore dell’Arab Image Foundation di Beirut) che, in un gioco di rimandi, che è prima di tutto personale, rende omaggio al suo mentore: il fotografo Hashem El Madani. Nella videoinstallazione Twenty Eight Nights: ENDNOTE (2014) vengono inquadrati loro due, occupati a guardare lo schermo di un computer. Un fascio di luce taglia l’oscurità dell’ambiente che li accoglie, lo Studio Sheherazade (descritto più analiticamente nella serie fotografica Objects of Study/ Studio Sheherazade – Reception Space del 2006), poi entrano luci colorate, rosse e blu che diventano sempre più presenti e danzanti.

La palestinese Emily Jacir, con un’operazione analoga, nel lavoro ex libris (2010-2012) ristabilisce il legame tra i libri e la terra del popolo a cui appartiene:

“una commemorazione dei circa 30.000 libri che appartenevano a case, biblioteche e istituzioni che sono state saccheggiate dalle autorità israeliane nel 1948.”

Volumi che sono in parte conservati e catalogati alla Biblioteca Nazionale e Universitaria Ebraica di Gerusalemme e che l’artista osserva e studia concentrandosi, soprattutto sulle tracce del vissuto: macchie, scarabocchi, segni, note.

Le ferite – fisiche e metaforiche – di un territorio destinato a diventare, all’indomani del crollo del blocco sovietico, da periferico a centrale in un nuovo scenario che contrappone Islam e Occidente (quello consunto e disgregato che vediamo nel tappeto di Mona Hatoum, Bukhara (multicoloured), 2008, ma anche nel lavoro di Lamia Joreige che in A Journey ripercorre una storia famigliare), sono visibili in momenti storici precisi, come i postumi della guerra civile in Libano raccontati attraverso le straordinarie fotografie in bianco e nero di Gabriele Basilico della serie Beirut 1991, che lui stesso definì “un lavoro storicizzato,che è diventato un simbolo.”.

Parlando di simboli, certamente lo è anche Piazza Tahrir, nelle diverse fasi della rivoluzione egiziana, come vediamo nell’installazione Tahrir Square (2014) di Hany Rashed, nonché nel lavoro in ceramica di Moataz Nasr (El Shaab, 2012), realizzato modellando figure che restituiscono un’immagine caleidoscopica del popolo egiziano. Nasr si asofferma a descrivere anche la brutalità dei poliziotti su una manifestante. Scene che, del resto, l’artista ha vissuto in prima persona, essendo sceso in piazza fin dal momento caldo delle contestazioni, nel gennaio 2011, seguito dalla cacciata di Mubarak e dalle contraddizioni del periodo successivo.

Afghanistan, Turchia, Iran… in Too early, Too late si dà voce anche alle donne iraniane, attraverso l’ironia di Shadi Ghadirian (alla fotografa iraniana le Officine dell’Immagine, a Milano, dedicheranno la personale curata da Silvia Cirelli che inaugurerà il 23 aprile) nelle note immagini seppiate della serie Qajar (1998), già esposte in occasione di varie mostre internazionali, tra cui She who tells a story: women photographers from Iran and Arab world al Museum of Fine Arts di Boston (2014) e Light from the Middle East: New Photography al Victoria & Albert Museum di Londra (2013). Umorismo e ironia alleggeriscono la pesantezza di una battaglia quotidiana che le donne iraniane affrontano con tenacia per affermare diritti che, altrove, sono un dato di fatto.

Interessante riflettere anche sull’ascesa del mediooriente in quanto protagonista dello scenario artistico internazionale (anche l’edizione 2014 del biennale FotoFest International di Houston, ad eesempio) era dedicata a 49 artisti arabi e nordafricani. Anche in Italia questo interesse è confermato dai collezionisti, grazie ai quali – “last but not least” – è stata possibile la realizzazione di questa mostra. Tra le grandi collezioni private che hanno concesso prestiti vanno ricordate la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Fondazione Fotografia Modena, Fondazione Giuliani, Collezione Agiverona, Collezione Palmigiano, Fondazione Nomas, la Collezione Enea Righi. Inoltre, tra le novità della 39esima edizione di Arte Fiera appena conclusasi, anche vari premi, incluso il Videoinsight Prize per la mostra Too Early. Too Late assegnato all’artista iracheno Hiwa K. per l’opera Star Cross (2009). Anche Shadi Ghadirian con la foto della serie Miss Butterfly 6 (2011) ha conseguito il Videoinsight Award: entrambe le opere sono state acquisite dalla Fondazione Arte Scienza Videoinsight.

Info:

  • 22 gennaio – 12 aprile 2015
  • Too early, Too late. Middle East and Modernity
  • Lida Abdul, Mustafa Abu Ali, Bisan Abu Eisheh, Etel Adnan, Vyacheslav Akhunov, Can Altay, Omar Amiralay, Ayreen Anastas, Said Atabekov, Kutlug Ataman, Fikret Atay, Kader Attia, Vahap Avsar, Mahmoud Bakhshi, Gabriele Basilico, Neil Beloufa, CANAN, Céline Condorelli, Dina Danish, Cem Dinlenmiş, Peter Friedl, Rene Gabri, Sadhi Ghadirian, Yervan Gianikian – Angela Ricci Lucchi, Barbad Golshiri, Mona Hatoum, Malak Helmy, Emily Jacir, Khaled Jarrar, Lamia Joreige, Alimjan Jorobaev, Hiwa K., Hassan Khan, Abbas Kiarostami, Taus Makhacheva, Mona Marzouk, Ahmed Mater, Sabah Naim, Moataz Nasr, Navid Nuur, Walid Raad, Koka Ramishvili, Hany Rashed, Mario Rizzi, Ahmed Sabry, Roy Samaha, Hrair Sarkissian, Ariel Schlesinger, Hassan Sharif, Wael Shawky, Ahlam Shibli, Eyal Sivan, Jean Marie Straub-Danièle Huillet, Jinoos Taghizadeh, Lawrence Weiner, Mohanad Yaqubi, Amir Yatziv, Akram Zaatari.
  • a cura di Marco Scotini
  • Pinacoteca Nazionale di Bologna
  • catalogo Mousse Publishing 2015

Si legga anche: http://www.artapartofculture.net/2015/02/03/bologna-oltre-artefiera-le-mostre-i-numeri-leconomia-dellarte/

+ ARTICOLI

Manuela De Leonardis (Roma 1966), storica dell’arte, giornalista e curatrice indipendente. Scrive di fotografia e arti visive sulle pagine culturali de il manifesto (e sui supplementi Alias, Alias Domenica e L’ExtraTerrestre), art a part of cult(ure), Il Fotografo, Exibart. È autrice dei libri A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (Postcart 2011); A tu per tu con grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (Postcart 2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (Postcart 2013); A tu per tu. Fotografi a confronto - Vol. IV (Postcart 2017); Isernia. L’altra memoria (Volturnia Edizioni 2017); Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco (Postmedia Books 2019); Jack Sal. Chrom/A (Danilo Montanari Editore 2019).
Ha esplorato il rapporto arte/cibo pubblicando Kakushiaji, il gusto nascosto (Gangemi 2008), CAKE. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (Postcart 2013), Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (Ali&No 2015), Jack Sal. Half Empty/Half Full - Food Culture Ritual (2019) e Ginger House (2019). Dal 2016 è nel comitato scientifico del festival Castelnuovo Fotografia, Castelnuovo di Porto, Roma.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.