Flying Photo Book Carpet. Un tempo, un luogo, Eudora Welty, Homai Vyarawalla e Marianne Sin Pfältzer

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Flying Photo Book Carpet #6 (ph Manuela De Leonardis)

Incontri che non sono mai casuali. Da un viaggio a Nuoro porto a casa la scoperta di una fotografa molto interessante che non conoscevo Marianne Sin Pfältzer (Hanau 1926-Nuoro 2015). Il libro Sardegna, paesaggi umani (pubblicato da Ilisso) è anche una mostra che ho avuto modo di visitare nel villino liberty (ma con innesti architettonici più antichi) che la casa editrice nuorese ha trasformato in accogliente spazio espositivo. Così come da uno dei miei soggiorni newyorkesi arriva Eudora Welty, Photographs. Proprio lei che prima di essere considerata una delle più importanti voci femminili della letteratura statunitense, vincitrice del Premio Pulitzer con La figlia dell’ottimista (1972), era una fotografa. 

Che sorpresa, poi, quando ho preso in mano il libro curato da Alessandra Mauro Un tempo, un luogo. Racconti di fotografia e, voltandolo sulla facciata posteriore, ho ritrovato la stessa immagine fotografica (Saturday off, Jackson anni ‘30) scattata proprio da Eudora Welty (Jackson, Mississippi 1909-2001) pubblicata nella copertina del suo libro fotografico! 

Casualità non casuali… forse. Quanto al catalogo dedicato alla prima fotoreporter indiana Homai Vyarawalla (Navsari 1913-Vadodara 2012) è, invece, il risultato di una ricerca più mirata. 

Decisamente tre figure molto diverse tra loro accomunate dalla passione per una professione appartenente tradizionalmente alla sfera maschile.

Un tempo, un luogo. Racconti di fotografia (copertina)

Un altro elemento di collegamento è l’intreccio che si legge nel loro lavoro tra scrittura e fotografia. Insomma quel riflesso del “potere visivo delle parole” così sapientemente elaborato nei piacevoli racconti (undici storie) selezionati nel libro Un tempo, un luogo.

Seguendo l’ordine cronologico il volume inizia con lo scritto di Lewis Carroll Fotografia stupefacente (1855) per concludersi ai nostri giorni con Una lettera ritrovata (2011) di Antonio Tabucchi. 

In mezzo c’è il racconto di Eudora Welty Un tempo, un luogo (1971) che dà il titolo anche alla raccolta antologica in cui l’autrice ripercorre la sua esperienza di fotografa negli anni della Depressione, alla scoperta del suo Mississippi lavorando a tempo pieno per la WPA – Works Progress Administration ma portandosi con sé l’inseparabile macchina fotografica. 

Nell’ambizioso programma del New Deal, le riforme economiche e sociali volute dal presidente Roosevelt per risollevare gli Stati Uniti dalla grande depressione che aveva travolto il paese a partire dal 1929, la WPA – creata nel ’35 – ebbe un ruolo decisivo nella realizzazione di progetti destinati all’occupazione, alfabetizzazione, distribuzione alimenti e opere pubbliche soprattutto nelle aree rurali, criticità emerse anche grazie al contributo decisivo della FSA – Farm Security Administration proprio attraverso la fotografia documentaria.

Scrive Eudora Welty:

“Ho imparato dalle mie stesse foto, una dopo l’altra, e lo dovevo fare; perché credo che siamo noi stessi a darci le lezioni più dure.

Ho imparato alla svelta quando scattare, ma più lentamente ho capito la verità del narratore: la cosa che aspetti, quella per cui devi arrivare in tempo, è il momento in cui la gente di rivela. Devi essere pronto, dentro di te; devi riconoscere il momento quando lo vedi. I volti e i corpi umani sono eloquenti in sé, e ostinati e ribelli, e un’istantanea è l’apparizione di un momento (come un racconto può essere uno sguardo lungo, una contemplazione che va crescendo) di ciò che non si ferma mai, non smette mai di dire per sé qualcosa del nostro comune sentire. Ogni emozione aspetta il gesto che la esprimerà. Un gesto che, quando si compie, si rivela in fin dei conti, del tutto imprevedibile”. 

Il momento della “rivelazione” scorre nelle pagine di Photographs che raccoglie anche quei primi scatti che la fotografa realizzò in bianco e nero nei primi anni ’30 dando voce alla comunità afroamericana di Jackson, ai più poveri, ai lavoratori, ai contadini, ai bambini. 

Homai Vyarawalla, parsi del Gujarat, dopo aver imparato la tecnica fotografica da Maneckshaw (diventato successivamente suo marito) trova un suo proprio linguaggio praticando la professione di fotogiornalista nella fase storica irripetibile della fine dell’impero coloniale britannico e della nascita del nuovo stato dell’India.

Non c’è momento di quel periodo, felice o doloroso, che non sia stato immortalato da Vyarawalla con la sua macchina fotografica (Rolleiflex o Contax) su cui è sempre montato il voluminoso lampeggiatore al tungsteno.

I suoi servizi escono su testate come The Bombay Chronicle, The Illustrated Weekly of India, Indian Information, a partire dal primo discorso di Nehru come primo ministro, il 16 agosto 1947 alle visite dei vip, l’arrivo del Dalai Lama nel ’56, Elisabetta II e Soraya nel 1961, Jackie Kennedy nel ’62. 

In quegli stessi anni, in Europa, la giovane Marianne Sin Pfältzer comincia ad avvicinarsi alla fotografia. Nel 1950 quando parte dalla Germania per andare a La Maddalena come educatrice presso la famiglia di un ufficiale scatta anche alcune fotografie. 

Un duplice amore con un destino comune: la fotografia e la Sardegna, dove l’autrice torna nel ’55 con la Rolleicord 6×6. Fotografa sia in bianco e nero che a colori: proprio la vendita di un lavoro in diapositive a colori le permetterà di acquistare una station wagon con cui spostarsi più liberamente per l’isola. 

Il suo racconto della Sardegna continuerà nel tempo parallelamente ai reportage realizzati in giro per il mondo. Le sue foto documentano anche l’arrivo a Cagliari di Elisabetta II d’Inghilterra sempre nel ’61, proprio nello stesso anno in cui la regina viene ritratta in India da Homai Vyarawalla. 

Negli scatti di Sin Pfältzer c’è empatia, amore, rispetto per la gente, la cultura, il lavoro, gli animali, la pregnanza della terra e del mare. Numerosi sono stati gli incontri significativi, a partire dall’editore Guido Fossataro con cui pubblica Sardegna quasi un continente (1958) con il testo dello scrittore Marcello Serra e, stesso team, Memorie di Sardegna. Venticinque foto-grafiche (1976) e quando, nel ’76, le viene rubata l’intera attrezzatura fotografica Marianne Sin Pfältzer troverà una nuova forma creativa inventando la tecnica del Foto-Batik, matrici per la stampa su tessuto e ceramica ottenute da negativi fotografici di dettagli di pattern. 

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Flying Photo Book Carpet #6 (ph Manuela De Leonardis)
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Manuela De Leonardis (Roma 1966), storica dell’arte, giornalista e curatrice indipendente. Scrive di fotografia e arti visive sulle pagine culturali de il manifesto (e sui supplementi Alias, Alias Domenica e L’ExtraTerrestre), art a part of cult(ure), Il Fotografo, Exibart. È autrice dei libri A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (Postcart 2011); A tu per tu con grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (Postcart 2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (Postcart 2013); A tu per tu. Fotografi a confronto - Vol. IV (Postcart 2017); Isernia. L’altra memoria (Volturnia Edizioni 2017); Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco (Postmedia Books 2019); Jack Sal. Chrom/A (Danilo Montanari Editore 2019).
Ha esplorato il rapporto arte/cibo pubblicando Kakushiaji, il gusto nascosto (Gangemi 2008), CAKE. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (Postcart 2013), Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (Ali&No 2015), Jack Sal. Half Empty/Half Full - Food Culture Ritual (2019) e Ginger House (2019). Dal 2016 è nel comitato scientifico del festival Castelnuovo Fotografia, Castelnuovo di Porto, Roma.

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