Ciao, Jean Claude Risset tra musica e tecnologia.

Jean Claude Risset. Sound and music computing meets philosophy. Athens, Greece 2014 (Speech from the conference)

La storia della musica elettronica corre parallela alla storia delle tecnologie musicali impiegate nel corso del suo sviluppo: il coinvolgimento di entrambe va considerato come il materiale che si sedimenta nella composizione, come mutuo adeguamento del mezzo, mai neutro, al fine perseguito. La presenza sul mercato di innumerevoli software musicali ha cancellato in un sol colpo la memoria di quella storia dalla lunga durata in cui raccogliere gli stimoli propri della musica elettronica, nata da una volontà sovversiva di piegare il mezzo tecnologico ad un fine musicale. Oggi si contano più musicisti elettronici di quanti ce ne siano stati dal principio fino agli anni ’90, eppure la traccia dei secondi è molto più profonda che il tratto dei primi.

Il 21 novembre scorso  è venuto a mancare Jean Claude Risset (n. Le Puy, Francia, 1938, m. Marsiglia, Francia, 21 novembre 2016) uno di quelli che ha fatto la storia di questa disciplina, soprattutto da quando il rapporto tra musica e tecnologia ha coinvolto l’utilizzo del calcolatore numerico. La stagione informatica infatti ha rappresentato, e rappresenta ancora, un autentico punto di svolta nella ricerca e nella prassi musicali del nostro tempo. Siamo passati dalle notte intere passate ad aspettare il minimo risultato musicale delle tante operazioni al tempo reale dei software dedicati che con poche informazioni fanno tanto, tantissimo. Il carattere di novità va rintracciato soprattutto in queste diverse tempistiche e non nelle possibilità del mezzo. Anche perché, fateci caso, la povertà del mezzo è stata proporzionale alla qualità del fare e del fine musicale, spesso e volentieri.

Dall’utilizzo del calcolatore numerico deriva una prassi marcatamente euristica in grado di dare impulso ad una metodologia compositiva fortemente sperimentale. In pratica, l’esperienza informatica produce un mutamento del lavoro tale che il sistema tecnologico rifletta il pensiero musicale testimoniando da un lato una osmosi tra pensiero musicale e pensiero scientifico, dall’altro il trasferimento di un problema musicale in un ambito tecnologico.

Risset è stato uno studioso di fisica, oltre che un musicista. Nel 1964 ottiene la borsa di studio come ricercatore nei Bell Teleephone Laboratories. In questi spazi, che per importanza conservano un’affinità elettiva con i più recenti garage della silicon valley, piano piano le informazioni cambiano dominio: la codifica digitale delle informazioni, resa possibile dalla tecnologia del calcolatore, apre alla discretizzazione del suono, che può essere dunque opportunamente manipolato permettendo al musicista di lavorare sulla struttura fisica e percettiva della materia sonora.

La sensibilità compositiva lo porterà a lavorare sul timbro, data la grande novità derivata dal programmare il suono digitalmente, dunque la guadagnata grande precisione operativa. Lavorare e comporre il timbro in maniera microscopica decide della possibilità di comporre il suono, e non col suono; il tutto in due piani tanto distinti quanto interconnessi quali quello macro della struttura formale della composizione e micro dell’articolazione interna al materiale impiegato.

Possiamo definire l’esplorazione del timbro come la personale direzione della sua ricerca, tanto nell’analisi quanto nella sintesi digitale. Nonché della sua percezione. Negli anni ’60 porta a compimento gli studi sulla sintesi digitali intrapresi da Max Mathews, assicurando loro un rapido sviluppo. Questi anni riportano in nuce tutti gli spunti del lavoro compositivo del ricercatore transalpino nei decenni successivi.

Ci soffermeremo ora su alcune composizioni, in grado di testimoniare la bontà di quanto finora è stato riportato.

Computer suite from Little Boy (nastro magnetico, soprano e orchestra) è un’opera giocata tra la sintesi additiva e i paradossi percettivi. Organizzata in tre movimenti e pensata per un’opera teatrale di Pierre Halet, tra i tanti elementi montati viene ricordata per la presenza dei suoni paradossali in grado di portare all’attenzione le illusioni acustiche sfruttando la scala di Shepard: sinusoidi sovrapposte che salgono o scendono in maniera continua o discreta in modo da rendere effettiva questa illusione, dimostrando dunque che la percezione del fenomeno acustico è diversa da come oggettivamente è. Si  tratta di un’opera del 1965, realizzata 20 anni dopo lo sgancio delle atomiche sulle città di Hiroshima. Non spetta a me ricordare il valore politico di  un gesto compositivo  simile.

Su commissione del GRM (groupe de recherches musicales) sempre ai Bell Labs compone Mutations nel 1969: l’armonia che si trasforma in timbro. Il titolo fa allusione alle trasformazioni graduali che si operano nel corso dei segmenti, ed in particolare il passaggio da una scala di ordine discontinuo a delle variazioni di frequenza continue. Questo passaggio avviene sviluppandosi secondo mutazioni, da intendere come giochi o misture: l’aggiunta graduale di armoniche sempre più alte dà luogo a una rete di intervalli sempre più serrati. I suoni continui glissano verso l’acuto secondo una salita a spirale che può avanzare indefinitivamente – altro paradosso o illusione acustica.

I suoni sintetizzati in queste composizioni sono conservati nel Catalog of computer-synthesized sound, terminato nello stesso anno. Si tratta della “prima collezione di suoni che fossero completamente conosciuti nella loro struttura fisica – per costruzione, per così dire – e tuttavia di una complessità sufficiente perché avessero potenzialmente un interesse musicale, a differenza dei meri toni quasi periodici o delle bande di rumore”. La dedica del lavoro è a Max Mathews per il suo programma di lavoro MUSIC V, il cui design ed implementazione furono fondamentali nel garantire questi risultati

Insomma, mi auguro aver detto qualcosina di utile per restituire Risset alla complessità delle sue ricerche, fermandomi sul periodo iniziale delle sue composizioni, senza addentrarmi negli stimolantissimi contatti tra i suoi studi e la musica concreta (in questo senso si vedano le composizioni più tarde; su tutte, Sud). In conclusione vorrei ricordare la dedizione e l’interesse di compositori che hanno gettato le basi della nostra formazione e didattica come studenti di musica elettronica, partendo proprio dalle sue parole:

“la mia prima motivazione ad entrare nel campo della computer music fu musicale piuttosto che tecnica, nonostante disponessi di un background sia musicale che scientifico. Volevo incrementare la funzionalità del timbro nel mio modo di comporre. […] Ritenevo che la musica elettronica producesse suoni noiosi che potevano essere resi vivaci solo attraverso manipolazioni il cui uso estensivo avrebbe rovinato il controllo del compositore su di essi. Dall’altra parte era anche vero che la musique concrète aveva aperto un mondo di sonorità infinito per la musica, ma il controllo e la manipolazione che si poteva esercitare su di essi era rudimentale rispetto alla ricchezza del suono, cosa che avrebbe finito col favorire un’estetica del collage.”

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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