NTA, Nuove Tecnologie dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Napoli

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Accademia di Belle Arti di Napoli

Da sempre la pratica artistica trova una sua codifica ed attende la propria diffusione nelle accademie di belle arti. Le stesse, ridefinite dall’ordinamento legislativo grazie alla formula del credito formativo, rappresentano infatti un polo di formazione non trascurabile nell’attuale mercato delle competenze. Rappresentano ancora oggi un luogo dove la creatività sembra essere benvenuta, dove l’empatia riesce ancora a creare legami tra studenti e docenti e il collettivo anima le sorti della didattica in maniera del tutto radicale.

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Accademia di Belle Arti di Napoli

Mi permetto di notare come, in accordo alla pervasività dei nuovi media nel decidere delle nuove abitudini culturali, disponiamo di un immaginario in continua muta dovuto alla presa di potere della creatività nella produzione di simboli, immagini, visioni – insomma, tutto quel che Riccardo Falcinelli arriva a definire visual design in un suo testo di cui consiglio la lettura a chiunque (Critica portatile al visual design. Da Gutenberg ai social network, 2014, Ed. Eiaudi, Stile libero Extra, pp. 328 € 17,00 – ISBN 9788806217716).

A ragione di ciò, penso sia opportuno raccontare di chi prova a fare dell’arte un momento di condivisione sociale lontano dagli spazi chiusi dei musei e delle gallerie.

Questo qualcuno è un soggetto decisamente plurale, accogliente già dal suo patto formativo che trova sede nell’Accademia di Belle Arti di Napoli con il nome di Nuove Tecnologie dell’Arte; in breve, NTA.

Ho attraversato sovente i loro spazi a cavallo tra il 2017 e il 2018, provando a studiare il loro esperimento antropologico di prossimità didattica e di produzione dal basso rintracciando nella loro esperienza alcuni punti che voglio portare alla vostra attenzione per dichiarare un manifesto dell’arte a misura di tutti:

no barriere significa reciprocità nell’ascolto e disposizione all’attraversamento dell’altro: il numero di matricola trova spazio solo per irrorare i fiumi di inchiostro a riparo nella burocrazia, altrimenti i ragazzi si danno tutti una mano tra di loro mettendo a disposizione le proprie competenze ed incompetenze, non temendo il fallimento ma curandolo semmai insieme;

modello assembleare nel valutare l’iter laboratoriale: un briefing mattutino inaugura ogni seduta di lavoro che, tanto per dare uno schiaffo ai dictact dettati dai calendari, si mantiene costante da mattina a sera durante tutta la settimana: in pratica, si viene assorbiti dal laboratorio. E la cosa non sembra pesare affatto lasciando invece spazio all’autorganizzazione come tutela del proprio tempo e dei propri spazi. La guida progettuale è affidata ai tesisti di turno che provano a responsabilizzarsi dinanzi ad una platea che si offre spontanea ma che deve assolutamente essere guidata;

nomadismo artistico: NTA non produce se non per portare quello che fa ad un pubblico; cioè, le opere non devono stare nel museo ma nelle strade: il pubblico diventa tale solo grazie alle loro operazioni: quasi non sceglie di esserlo. Lavorano molto sulla comunicazione di quello che fanno cercando delle forme altre di scrittura, reimpiegando simboli che vengono piegati ad altra funzione. Insomma, si attivano per avvicinare l’altro quasi come protesi del proprio fare artistico;

– tecnologia come mezzo e non come fine: è vero che usano la tecnologie in tutte le sue possibili declinazioni, dalla semplice documentazione delle azioni all’impiego creativo della stessa per creare connessioni di luce, suoni, forme, ma lo fanno non per assecondare feticismi tecnologici dell’ultima ora bensì per produrre forme di contatto inclusive, sfruttando la radicalità dell’offerta open source quale principio della forma tecnologica: programmano da soli, sanno fare adv autonomamente e riescono a gestire tutto in un clima di pura autarchia;

– intelligenza emotiva: la convinzione che non è la conoscenza a salvare il mondo, ma l’apertura al mondo a renderlo conoscibile. Così, non c’è pedagogia migliore che quella che pratichi – e non predichi – l’inclusione. Insomma, affidarsi agli altri per dare sè stessi nella pura spontaneità significa mettersi in gioco. Ed è questo quello che succede di continuo.

Altre annotazioni le porto con me, sullo stare insieme e il rispettarsi reciproco, sulla definizione del tempo per scherzare e del tempo per lavorare, ma sempre animati da uno spirito cooperativo, mai competitivo.

Tale atmosfera regna, pari, anche tra i docenti, disposti a fare e a farsi gruppo. Se non mi credete, fate un salto al dipartimento di NTA: sta proprio in alto, oltre lo scalone che domina la struttura dell’Accademia in Via Costantinopoli. Scoprirete che fare arte a costo zero significa far guadagnare tutti.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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