Luci e ombre della multimedialità

Da alcuni mesi conduco una ricerca piuttosto silenziosa indagando le formule impiegate dalla multimedialità negli spazi museali alla ricerca di una didattica in qualche modo interattiva a surclassare la vecchia esposizione di pezzi da museo che ancora oggi sembra farla da padrona – al netto delle experiences che hanno almeno il merito di creare frattura epistemologica sul valore delle riproduzioni.

immagine per multimedialità
The countless aspects of Beauty, Atene

Senza riportare tutte le diverse indicazioni raccolte da queste incursioni nella vita organizzata del bene culturale, ad Atene ho avuto modo di riflettere in maniera determinante sul rapporto che lega la multimedialità all’oscurità, laddove la luminosità degli schermi ha paura della luce del sole.

Visitando il monumentale Museo archeologico di Atene, vero cuore pulsante delle ricerche documentarie condotte da Heinrich Schliemann e compagnia cantante, oltre al peso specifico dei diversi materiali conservati (la maschera di Atreo a dare il benvenuto, vasi come il lamento del dypilon nella loro mastodontica presenza fisica, Zeus o Poseidone nella sua plastica posa bronzea and much more) deve esserci sempre una qualche novità inserita attraverso la formula della temporary exibition, qualcosa che possa dialogare non solo con quanto ospitato lì dentro ma anche con tutto quello che in qualche modo dialoga intermittentemente dall’esterno con la collezione permanente.

Così, oltre ad un percorso specifico dedicato ai contagi greci sulla cultura latina attraverso la vicenda di alcuni imperatori – è nella presenza della barba o meno che si rintraccia una certa filiazione culturale – è il percorso espositivo in qualche modo temporaneo The countless aspects of Beauty (dal 26 maggio 2018 fino al 31 dicembre 2019) che organizza due ambienti piuttosto grandi in una sala delle luci artificiali insieme alla più o meno velata presenza multimediale.

Si tratta verosimilmente di una occasione altra per fare i conti con la bellezza secondo una modalità che insiste sull’individuo, sulle formule che coniugano cura personale e bellezza: così oggetti della vita quotidiana in qualche modo ritualizzati dal loro effettivo impiego vengono distribuiti nello spazio in verticale; introdotti dal solito di video che ne testimonia tanto la realizzazione quanto l’allestimento, il multimediale in qualità di montaggio audiovisivo intermediale può essere esposto solo se al buio: a differenza di tutte le altre sale, in qualche modo tagliate dalla luce vuoi artificiale vuoi solare, le due sale in questione sono proprio buie buie. E mi sembra poter raccogliere questo dato come fisiologico della multimedialità all’interno degli ambienti museali.

Se parto proprio da Atene per indicare questa relazione è proprio perché sono stato facilmente attratto dall’impostazione regalata dall’architetto svizzero Bernard Tschumi (in collaborazione con Michalis Fotiadis) al museo dell’acropoli di Atene.

Proprio per assicurare al museo il contatto visivo con l’acropoli da cui viene il conservato, ampi finestroni dialogano col contesto in qualche modo sospeso tra l’urbano e il paesaggistico, la tanta luce permette di cogliere al meglio l’esposizione di tutto ciò che è stato certosinamente organizzato, al punto da poter addirittura lavorare in sinergia con le guide del museo e farsi raccontare una storia al posto di scattare una fotografia: una formula realmente altra che l’offerta silenziosa di set in qualche modo fotografici.

Così, anche le indicazioni sono pensate sempre nella formula audiovisiva, ovviamente con sottotitoli in lingua inglese per sviare dai caratteri alfabetici – filologicamente parlando.

Certo, Atene è una città fantastica, dal fascino ancora più immediato che Roma, almeno per chi come lo scrivente, si sente più magno-greco che europeo. Eppure, ha avuto il merito di ripensare il patrimonio da farne davvero tesoro dei padri, al netto di una contemporaneità ancora da conquistare pienamente – il museo di arte contemporanea, dopo l’apertura dello scorso anno, è chiuso per inventario relativo all’introduzione di nuovi investimenti in fase di allestimento.

Così, l’occasione di una visita alla città di Atene mi ha permesso di iniziare a considerare preliminarmente la multimedialità come il regno delle ombre, laddove il digitale ritrova nella luminosità – e non nella luce – la sua ragione espositiva.

Sebbene possa sembrare una scoperta similare all’acqua calda, non è detto che non abbia il suo valore di verità: l’acqua calda accompagna la nostra vita quotidiana senza tanti compromessi, un po’ come il multimediale.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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