Spira mirabilis in concerto a Napoli

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L'Orchestra Spira Mirabilis

Dare una cadenza agli appuntamenti, soprattutto se musicali, resta uno sforzo importante da parte di qualsiasi organizzatore: quando c’è da mettere in piedi una stagione, scegliere il giorno giusto è davvero importante. Bisogna accordarsi con chi ti ospita, ad esempio. E considerare gli orientamenti del pubblico. L’Associazione Alessandro Scarlatti di Napoli ogni settimana propone un appuntamento diverso. Questa il giovedì; è il 22 febbraio. Stavolta gioca pure il Napoli, in Europa contro il Lipsia. Piove. Arriviamo anche prima del dovuto spinti a percorrere al più presto il freddo. Prendiamo posto nel palchetto; ci guardiamo intorno, come ad intercettare la risposta del pubblico. Un bel po’ di ragazzi nei palchetti mentre gli affezionati prendono piano piano posto in platea. Spira mirabilis è protagonista della serata.

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La formazione musicale Spira mirabilis

Si tratta di una formazione musicale quasi informe, dato il suo abitare su misura il programma musicale da performare: in altre parole, sono un gruppo di musicisti europei che pratica la dimensione d’insieme della musica a dispetto della direzione di un direttore – come se il suono fosse deposto nell’intenzione collettiva – dedicandosi ad un solo brano del repertorio.

Si tratta dunque di un percorso lontano dai tempi che ritmano l’attuale vita delle orchestre, la cui dimensione didattica tanto nei confronti del suono quanto nei confronti dell’altro si apre come motivo di indagine sulla vita musicale.

Il posizionamento sul palco da parte dell’orchestra è veloce, attento e silenzioso. Il pubblico potrebbe imparare qualcosa, data la recente vivacità con cui si intrattiene nei minuti che precedono.

Prende parola il primo violino, una ragazza italiana dalla lunga esperienza che saluta il pubblico; anzi, lo riabbraccia 5 anni dopo il primo concerto di Spira Mirabilis nella città di Napoli. Anticipa il momento finale del concerto: un dibattito tra musicisti e pubblico che è nota quanto mai soave per gli intervenuti al teatro Sannazzaro.

La sesta sinfonia di Beethoven – conosciuta anche come La Pastorale – è stata intesa dai musicisti quindi come “punto di riferimento per creare quel modo comune di leggere la partitura per una interpretazione condivisa su valori e basi comuni, contro il collage e l’arlecchino”. Ripetiamolo: a seconda della partitura la formazione trova una condizione diversa per uno studio e una interpretazione condivisa.

Si parte dal la, quello canonico di intonazione – procedura stavolta piuttosto lunga, con il violoncello che indugia non poco sul momento; è davvero gradevole il gioco di sguardi che lega gli interpreti della serata, un’orchestra di ragazze e ragazzi che brandiscono strumenti anche antichi (il caso dei corni e delle trombe) per dare luogo ad una sinfonia tra quelle passate più volte per le orecchie distratte degli ascoltatori (almeno il primo tempo).

«La sesta è un inno di pace, un quadro limpido e ben disegnato della vita campestre, dove sembra penetrare in certi momenti una convivialità di sapore arcadico. E se parliamo di immagini della vita campestre, lo facciamo in perfetta armonia con gli intenti dell’autore, che ha fatto di questa sinfonia in un certo senso il capostipite dei pezzi di musica “a programma” (ma, si badi, lo stesso Beethoven ha avvertito che si tratta “più di sentimenti che di pittura dei suoni,” mentre lascia all’ascoltatore “di stabilire a suo piacere le singole situazioni” suggerite dalla musica) » – suggerisce Giacomo Manzoni, tra le voci più importanti della musica del Novecento, nel suo libro Guida all’ascolto della musica sinfonica.

Li guardo e li ascolto: non vi nascondo che le loro gestualità sono davvero marcate, si muovono insieme ognuno con il suo strumento, quasi a ricercare nel respiro comune il momento di massima intenzione musicale, quello che assegna la punteggiatura alle frasi.

Le dinamiche pure sono belle evidenti, ed ogni strumento riesce sonoro. Ad esempio, il rapporto tra oboe e flauto sostenuto dai fagotti è davvero ben dialogato e la musica guadagna una sua componente quasi tattile a guardarli suonare. Ho letto alcuni tratti di una più giovane evidenza nel suonare che mi fa riflettere sui modelli adottati. Ad ogni modo, una esecuzione da vivere, il più possibile con attenzione per quanto i pensieri ci possano distrarre.

Quando finisce il concerto, le domande del pubblico non si fanno attendere: di chi nota l’esperienza del solista prestato alla forza del collettivo, di chi chiede cosa succeda al gruppo dopo ogni concerto, quando si torna alla vita di tutti i giorni (rispondono di averlo definito sindrome post spira; si placa ogni qual volta si ritrovano a Formigine – cittadina del modenese non lontana da Sassuolo dove studiano tutti insieme).

Oltre al problema di una lingua comune da parlare quale l’inglese declinato ognuno secondo il suo accento, rimarcano con serietà che l’importante per loro non è il concerto pubblico, il concerto in pubblico, ma tutto quello che lo procede; come a dire che gli importa non l’opera, ma il processo che la porta a compimento.

Quando lasciamo la sala, apprendiamo con rammarico dell’eliminazione dalle competizioni europee del Napoli, nonostante la vittoria per 2 a 0 a Lipsia. Così i giovedì restano liberi da una sovrapposizione calcistica che ha ripercussioni, almeno umorali, sul seguace pubblico partenopeo.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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