Rimini – Girando e vedendo

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C’ero stato una sola volta, erano i tempi del liceo: si trattava di una di quelle festeradunagentedatuttitalia in funzione di una rivista mensile dal nome Blog che facesse da organo di informazione delle consulte studentesche. Al tempo non immaginavo esistesse una Rimini altra che non quella delle lunghe spiagge, dei cocktail, degli ape.

Poco più che dieci anni dopo torno a Rimini per una cosa seria, interessato a godermi la città di Sigismondo Malatesta come non feci al liceo. Carico delle mie aspettative la raggiungevo facilmente alternando alta velocità e regionali, prima di percorrere via Gambalunga ed entrare trionfalmente a Piazza Cavour.

La toponomastica ricorrente soddisfa la memoria, lasciando spazio altresì a diverse forme di intervento locale come a definirle di denominazione protetta. Una volta esauriti i miei oneri da convenuto, mi dedico alla piena avanscoperta della cittadina romagnola a partire da una lunga passeggiata per l’ormai poco frequentata lunga spiaggia: c’è qualche turista evidentemente russo, qualche bagnante ma soprattutto amanti del benessere in tenuta da running.

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Ponte Tiberio a Rimini

Intorno a me la stagione balneare da poco definitivamente conclusa lascia presagire gli interventi che saranno, a decretare l’eterno ritorno dei bagnanti. Così, pieno della mia personale colonna sonora autoattivatasi mentre lascio le mie impronte sulla sabbia (ndr, Rimini, Fabrizio De Andrè), riconquisto l’urbanesimo tra alberghi a poche stelle e diversi esercizi commerciali prima di orientarmi nuovamente percorrendo la via Flaminia, superare l’arco di Augusto e fare in mio ingresso in Ariminum.

Quand’ero più piccino, sono state le targhe ad insegnarmi la prima differenza tra la città di Roma e tutte le altre, laddove la prima ci entrava per esteso mentre il resto doveva stare in due lettere: RN stava per Rimini. Certo, una strana assonanza lega le due città al punto da leggerne intuitivamente qualcosa, dell’una nell’altra.

Così a Rimini c’è un sacco di Roma al punto che la Rimini romana merita l’attenzione di un museo multimediale che grazie a ricostruzioni audiovisive in lingua italiana mira a fornire delle informazioni utili a chi possa dirsi incuriosito dal percorrere la città.

Si tratta di Ariminum Caput Viarum, uno spazio che confina la centralità del capoluogo nell’assetto delle comunicazioni dedicate per raggiungere da Roma senza dubbio l’adriatico ma anche per attraversare la pianura padana (giungendo a Milano) e l’Istria (dunque Aquileia).

Le ricostruzioni sono niente male, peccato per la relativa esponibilità dei video che può soddisfare un certo numero di spettatori volutamente interessati: non c’è un modo per esperire singolarmente il tutto.

Oltre a questi quattro pannelli, ce n’è uno interamente dedicato al tempio malatestiano, uno navigabile con le mani che radicalizza l’intervento di google maps al tempo della rimini romana mentre una sala contigua è dedicata ai turisti, così da permettere loro una riduzione di quanto opportunamente disposto per gli italiani.

Non lontano da questo plesso faccio una camminata fino al monumentale ponte di Tiberio che, posizionato sulla Marecchia, resta un’opera decisamente robusta con la sua capacità di rubare la tua attenzione, quando pensi che sta lì da due millenni.

Così mi lascio andare nel suggestivo e colorato borgo di San Giuliano, un tempo presidio dei pescatori e oggi quartierino chic dove mangiare e bere un prosecchino.

Non mi resta che affacciarmi sullo splendido tempio malatestiano per ritrovare il fascino di una costruzione che spicca all’esterno per la sua linea così volutamente aurea, all’interno per la sua efficace sacralità. Ecco, guadagno la visita a dispetto della visuale; e mi rendo conto che senza un suo attraversamento ogni opera architettonica resta tutt’al più fotografabile ma lontana dalla sua verità.

Mentre fervono in città i preparativi per la riapertura del Teatro Galli, atteso ed invocato tempio della cultura riminese e dopo aver dato una sbirciatina al Cinema Fulgor, mi muovo convinto verso il museo della città, struttura decisamente imponente prospiciente la casa del Chirurgo che si offre all’attraversamento ottico da parte del viandante.

Ci trovo un museo decisamente ben organizzato e pensato nel documentare e raccontare la rimini archeologica – davvero ben fatto, un vero piacere attraversare la collezione -, piuttosto superficiale nell’organizzare la pinacoteca, a partire dalle didascalie.

Certo, i pezzi pregiati sono pochi e bello è davvero tutta quell’area dedicata all’autoritratto ad inizio Novecento – che anticipa la ricorsività riproducibile del selfie contemporaneo – ma un percorso più curato sarebbe davvero utile per ripercorrere con estrema puntualità la storia tutta della città, e non solo.

Il museo della città prova poi a farsi carico di un continuo rapporto con la popolazione riminese e le temporanee si spiegano solo alla luce di questo pubblico comunque presente, oltre ai turisti di passaggio. Per questo le mostre fotografiche devono essere una panacea rispetto ad una supposta economia di mezzi e fini.

E trovo decisamente bella l’iniziativa Alleanza dei corpi_Ragazze nel ’68 (a  cura di Raffaella Baldelli, Fabio Bruschi, Piero Delucca In collaborazione con gli archivi di Davide Minghini e dello studio Morosetti) laddove è proprio l’esposizione a catturare la mia attenzione, oltre al soggetto che anticipa la ricorsività di un museo dedicato a gente senza storia eppure partecipe.

Ci ho ritrovato una umanità che alle volte sembra scomparire al cospetto dei grandi nomi dell’arte. Così quegli striscioni, quelle fotografie stampate su a4, quelle frasi estrapolate – si parte da una citazione delle tesi sul concetto di storia di Benjamin – mi fanno pensare che si possono organizzare cose belle anche a costi ridotti.

A Rimini ci torno pure perché sarà pur vero che la pizza buona la mangi a Napoli, ma posso dirvi che tutte le piadine che ho mangiato non meritavano questo nome.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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