London Shadow a Napoli. Quella rivoluzione inglese negli anni ’90

La mostra intitolata London Shadow la rivoluzione inglese negli anni ’90 (19 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019) realizza il secondo appuntamento dedicato all’arte contemporanea – dopo le Mille luci di New York  (2017) dello stesso curatore Luca Beatrice, negli spazi di Palazzo Zevallos, sede napoletana di Gallerie d’Italia.

immagine per London Shadow
London Shadow, napoli

Dalla Napoli protagonista dell’espressione artistica, del rapporto tra artisti e galleristi e appassionati d’arte negli anni 80, si passa ad indagare come Napoli e i galleristi napoletani siano stati capaci di essere al centro dell’attenzione e dell’interesse del decennio successivo in un’altra grande capitale mondiale, stavolta europea.

Anche in questo esperimento di Gallerie d’Italia c’è senza dubbio una componente di originalità dovuta alla messa in relazione del luogo che ospita con gli artisti in esposizione: la prima mostra pubblica di Damien Hirst si è tenuta a Napoli, presso il museo archeologico nazionale.

La capacità rabdomantica di Napoli di intercettare i fenomeni artistici nel momento del loro farsi viene presentata in un contesto aulico quale Palazzo Zevallos, lontana dal white cube che involucra asetticamente le collezioni (in aperto accordo con Sensation, la mostra che tenne a battesimo questi giovani artisti presso la Royal Academy, luogo segnante dell’arte britannica).

Un gruppo di ragazzi più che ventenni che studiano insieme al Goldsmith college, uniti da una voglia piuttosto forte che di arte non si parli soltanto nelle riviste specializzate, rivendica una continuità fortissima con la generazione degli anni ’60, vero spartiacque degli usi e consumi della società di massa (basta pensare alla rivoluzione musicale). Questo gruppo di ragazze e ragazzi, più che fare la mostra di fine corso – una sorta di ballo delle debuttanti accademico –, decide di organizzare una mostra che avrebbe fatto la storia: Freeze, allestita a Londra nel luglio del 1988 all’interno dei Dock Offices, ex uffici portuali abbandonati della London Docklands. Nasce il gruppo poi definito Young British Artists. Grazie al passaparola questa esposizione divenne un vero e proprio must: con l’intervento di Charles Saatchi, già pubblicitario delle campagne politiche della signora Tatcher, tutte queste opere vengono acquistate ed è lo stesso Damien Hirst a convincere il già noto Saatchi per 50mila sterline a farsi portare uno squadro dall’Oceania per poi metterlo in una teca riempita di formaldeide e proporlo nella sua collezione: The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living.

Sono 16 gli artisti ospiti di questo singolare percorso nel cuore di via Toledo. Oltre al già citato Hirts, ci sono Gilbert & George ad aprire la visita con l’opera che titola l’esposizione, London Shadow, singolare intreccio di colore e simboli derivati dall’impiego dell’Union Jack che fa da cornice ad un’altra Union Jack.

immagine per London Shadow
Tracey Emin – “Be faithful to your dreams”, 1998 ©Tracey Emin by SIAE 2018

Insomma, una occasione importante per confrontarsi con artisti ancora in vita, che lavorano nel campo dell’arte contemporanea a partire dai temi della vita quotidiana (come nel caso di Problems, di Hirst, dove ci troviamo proprio di fronte a supposte soluzioni in pillole), della riproposizione dei temi della storia dell’arte (come in Ophelia di Mat Collishaw), all’installazione video angolare di Sam Taylor-Wood in Travesty of a Mockery. Senza dimenticare il passaggio obbligato per la tradizionale arte visuale fatta di superficie e colori (come in Poured Lines: December 20, di Ian Davenport), fotomanomissioni (come nelle fotografie in bianco e nero su superficie specchiante di Douglas Gordon). Sono così diversi problemi e soluzioni da risultare evidentemente in linea con la proposta di un’arte che si rinnova a partire dal contatto immediato con i temi e i tempi del pubblico.

La Young British art si sviluppa in un contesto favorevole, dovuto alla forza di trascinante di Londra: basta pensare alla forza di una guadagnata attenzione musicale, tra Blur e Oasis, tra clubbing e trip pop. E con questa freschezza e frizzantezza arrivano a Palazzo Zevallos, si posizionano lungo tutto il piano terra del signorile contesto bancario, a partire dall’opera che dà il titolo all’esposizione.

Così, la visita resta incredibilmente piacevole, a tratti spiazzante per la continuità della proposta del palazzo rispetto alla mostra dedicata a New York, in aperto anticipo con la mostra che sarà nel 2019 tappa conclusiva di questo percorso dedicato all’arte contemporanea.

la mostra fino la 20 gennaio 2019 www.gallerieditalia.com

 

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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