MANN di Napoli. Attenzione ritrovata e pubblico in aumento

Napoli, Museo Archeologico. Scalone monumentale

Da un po’ di tempo a questa parte la sensibilizzazione culturale mossa mediante pratica pubblicitaria si è fatta più pervasiva in città: i benefici di un parco visitatori non più esclusivamente cittadino iniziano a segnare i ritmi serrati dell’offerta proposta.

Napoli, Museo Archeologico. Scalone monumentale

La dicitura di casa di sogno della collettività sembra rappresentare una declinazione adatta per contestualizzare la tendenza sotto osservazione. In effetti, l’ultima vera stagione di riforme –  la legge 4/93 detta “legge Ronchey” – ha avuto il merito di definire una  diversa concezione del museo, inteso finalmente come un centro culturale orientato a svolgere una pluralità di servizi, anche con l’ausilio di organizzazioni esterne alla struttura. Quello che più stuzzica, in questo senso, sono i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba e di vendita di altri beni correlati all’informazione museale, veri attori della invocata rifunzionalizzazione dell’abito museale. Con una certa lentezza, anche gli spazi dedicati partenopei hanno recepito il dettato legislativo ed oggi possono vantare tutta la filiera dell’outsourcing.

Emblematico può essere il caso del MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Da creatura dell’Europa del XVIII secolo –  il termine greco designa un modello istituzionale che avrà definizione nel settecento erudito e riformatore e che andrà sempre più caratterizzandosi in una dimensione civile – a museo contemporaneo, la storia di questo museo valga come sintesi delle transizioni occorse. Infatti, le sue vicende istituzionali snodano diversi passaggi che riferiscono della natura dialettica e del rapporto ancipite tra arte e società anche nei rapporti di fruizione del bene culturale.

Già galleria principesca, poi luogo di conservazione e di esposizione per pubblica utilità, è nel 1957 che diventa Museo Archeologico Nazionale, quando la pinacoteca viene trasferita alla Reggia di Capodimonte nell’ottica di una separazione che, pur sconfessando la completezza della collezione, implicitamente permetteva un controllo migliore dei diversi poli dell’arte in città. Questo avveniva molto prima della proliferazione in città di musei locali (che di fatto interrompevano la funzione d’ò Museo come Museo del Regno costringendolo ad un ripensamento delle sue finalità) cioè tutti quelli che sono stati intrappolati nella ragnatela della Campania Arte Card, per intenderci. A sessant’anni di distanza, dopo un lavoro attento e certosino da un lato di consolidamento della struttura, dall’altro di riordino delle esposizioni, il MANN può finalmente continuare il suo dialogo con un pubblico non più esclusivamente cittadino.

Tanti, diversi fattori compartecipano dell’attenzione ritrovata. Forse, l’Alta velocità ha permesso un traffico di romani mai visto prima? Forse, l’adesione ad un modello turistico della gita fuori porta – con annessa permanenza a casa di uno sconosciuto di cui conosco i dati utili grazie alla rete? Forse, la scelta di una città italiana a scapito dei paradisi mediorientali per via del terrorismo? Fatto sta che se non conoscessimo bene le arterie dei decumani, resteremmo tutti intrappolati nell’isterico traffico pedonale.

Nelle domeniche gratuite il museo fa registrare sempre il tutto esaurito – le file interminabili documentate dagli ottimisti della rinascita ne sono traccia. Inoltre la collaborazioni con altre realtà museali permettono una scambio di pezzi forti ed incoraggiano una temporaneità dei beni che entusiasma anche gli habituè – si veda la recente collaborazione col museo egizio di Torino. Tantissime poi le iniziative extra, con concerti di musica barocca e temporanee di arte contemporanea – che da una decina d’anni scandiscono il surplus dell’offerta museale, facendo da vetrina tanto per artisti navigati quanto per artisti da lanciare. E poi fuoriclassico; e gli incontri di archeologia.

Restano gli spot lanciati nelle diverse stazioni cittadine. Infatti, le finanze disposte sono ben spese: dati i ritardi e i malfunzionamenti del trasporto pubblico, la pubblicità risulta ossessiva e ripetitiva al punto giusto da far breccia nell’attenzione del passeggero. Così, nel raggiungere Bagnoli a mezzo Cumana, ho notato come il MANN abbia puntato molto su questa rete di diffusione: dallo spot di inizio anno per la diffusione del calendario del calcio Napoli ai break pubblicitario-fumettistici fino all’uovo gigante da 300 kg e alto 2 metri di Gay Odin dedicato alla rinascita del museo. Sono questi i simboli di un dialogo ricercato con la cittadinanza, ora fatalmente corrisposto.

Non ultimo, il nuovo festival MANN / Muse al Museo, aperto il 19 aprile per chiudersi il 25 aprile, in una settimana strategica per via del ponte della liberazione. Infatti, l’azione della politica culturale dispiegata chirurgicamente sul calendario sigla un ritrovato interesse nel rapporto tra tempo libero e passeggiate museali. Così, questa prima edizione del festival ospita qualsiasi prodotto culturale nelle mura di quello che non è più soltanto un museo. Cinema, musica, teatro, danza, letteratura. Insomma, ce n’è per tutti i gusti.

Solo per far decantare la connessione iniziale, vale la pena interrogarsi sulla neutralità di operazioni del genere quando iniziative della stessa natura vengono pensate e disposte per le gallerie commerciali, siano esse il Campania o la Galleria Ipogea di Piazza Garibaldi. Gli echi della cartella L dei Passages –  casa di sogno della collettività – si fanno sempre più stringenti.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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