Bach to Naples per Pietà de Turchini

Fabio Bonizzoni, direttore e clavicembalista

Stacco di lavorare e faccio le bizze pur di raggiungere tempestivamente palazzo Zevallos Stigliano: sono entusiasta di ascoltare per la prima volta nella mia vita – dal vivo ed in tempo reale – l’esecuzione di brani tra i più noti della letteratura musicale, eppure di così rara programmazione, vuoi per la difficoltà della stessa vuoi per la carenza di organici musicali in grado di affrontare la partitura. In effetti, se non fosse per youtube, gran parte della musica così definita colta sarebbe difficilmente ascoltabile.

Faccio le corse perché devo raggiungere via Toledo da Bagnoli – devo quindi rimettermi alla clemenza del traffico partenopeo. Fortunatamente, al mio arrivo nell’arteria napoletana principe quanto ad arte della passeggiata noto che c’è una fila considerevole a rallentare le operazioni in biglietteria e così ho anche il tempo per servirmi dell’unico bagno a disposizione per un complesso così sontuoso. Un po’ di fila anche qui, ma tutto passa.

Festeggia 20 anni di attività il Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini, Associazione senza scopo di lucro nata nel 1997 per dare forma coerente al progetto di valorizzazione artistica e di ricerca interdisciplinare dedicato al patrimonio musicale e teatrale napoletano dei secoli XVI-XVIII e ai suoi riflessi nella contemporanea produzione musicale europea. L’intensa attività della fondazione permette a noi altri di disporre dell’esecuzione di musiche la cui esecuzione dal vivo è veramente rara. Insomma, di certo farà i salti mortali per assicurarlo a noi del pubblico, ma meno male che qualcuno lo avverte ancora come una urgenza. In effetti, se non fosse per gli sforzi di pochi cosa raccoglierebbero i molti? Così ha organizzato – in coproduzione con Palazzina Liberty di Milano – per martedì 23 maggio il secondo dei due appuntamenti della stagione 2016-17 presso la sede museale di Intesa Sanpaolo a Palazzo Zevallos Stigliano (via Toledo 185, Napoli) chiudendo il ciclo Bach to Naples. Dopo il sold out dello scorso 15 maggio (di scena il giardino armonico) raccoglie un altro sold out, pur dando davvero a tutti la possibilità di prender parte al concerto: nessuno è escluso.

Il tutto avviene mentre non poteva soggiornare ospite illustre migliore in Galleria: in prestito da New York c’è quel bel tipo di Caravaggio che raggiunge il Martirio di Sant’Orsola con i suoi Musici. Appunto, quale opera migliore? Al primo piano se ne sta a spargere intorno la sua aura cromatica il Black Vesuvio di Andy Warhol, in prestito fino al 4 giugno. Ogni tanto il mio sguardo lo andava cercando come calamitato. Ma devo parlare di musica.

Lo spazio si confa particolarmente alla presenza di un pubblico. Certo, ogni mercoledì la galleria propone è aperto a tutti, uno spazio per riempire di soave musica la pausa pranzo di lavoratori della city partenopea o turisti della buon’ora. Ma vederlo allestito per questa occasione suscita particolare emozione.

Nel programma troviamo il massimo rappresentante del barocco musicale tedesco, Johann Sebastian Bach. Sappiate che per tutto il ‘700 di lui restò un ricordo imponente più come organista che come compositore (tanto che la sua vedova finì in miseria nella fossa comune). Infatti, solo grazie ad una rivalutazione posta in essere dallo storico Forkel in quanto compositore e alla riproposizione da parte di Mendelssohn (fa eseguire a Belino la Passione secondo S. Matteo) inizia la parabola ascendente della fama di Bach. E non ha mai da diminuire.

Entro il 24 marzo 1721 viene terminata l’elaborazione di quei concerti che ci sono familiarmente noti come brandeburghesi – un termine coniato nel 1873 all’interno di una fondamentale monografia bachiana curata dal musicologo tedesco Philipp Siitta. In questa raccolta Bach voleva senza dubbio dare sfoggio della sua impressionante abilità nel trattamento della forma. Criterio guida era la varietà infinita, quasi spettacolare, della tipologia costruttiva. La forza dei Brandeburghesi sta infatti nella libera mescolanza di scritture musicali, nelle svariate possibilità offerte dal dialogo strumentale e dal trattamento del contrappunto, nella felice varietà di combinazioni timbriche, di organi strumentali e polifonie imitative. La varietas che induce a considerare il concerto come forma aperta trova riscontro in approcci differenti.

La Risonanza di Fabio Bonizzoni, direttore e clavicembalista, esegue i Concerti brandeburghesi n. 3, 5, e 6 e la seconda delle Suite per orchestra. Il clavicembalo al centro e gli strumentisti in semicerchio: una orchestra di fuoriclasse. In gergo giovanile, il top. Per la prima volta sento il contrabbasso muoversi con agilità in questi brani e mi interrogo sul fruire live di una musica memorizzata grazie alla diffusione di un suono fissato rintracciando affinità e divergenze.

Si inizia col quinto, si passa al sesto, poi la suite n° 2 in SI minore e si chiude col terzo concerto.

Con la lunghissima cadenza del clavicembalo varchiamo le soglie di un’altra epoca, lontani dalla vita che ansima di via toledo, pieni delle vibrazioni che invadono le mura. E se lo ascolti bene, non ti stupisci che Bach fosse un grande improvvisatore. L’impianto è magistrale e il gioco delle parti produce un effetto vorticoso. Dopo il movimento lento, quando torna l’insieme dell’allegro conclusivo, quanta energia si sprigiona. Segnalo solo l’incredibile numero di persone che muovono la testa per assecondare il suono. Fermarli non si può.

Il sesto richiederebbe uno strumentale fuori dal comune e sarebbero necessari per l’esecuzione gli strumenti della famiglia dell’antica viola. Lo si esegue oggi con una normale orchestra d’archi. Mi permetto di segnalare da un lato come l’elemento tematico diventi anche principale fattore di propulsione ritmica nel primo tempo, dall’altro il vasto affresco timbrico dell’insieme che chiude la composizione.

Passiamo così alla Ouverture n.2 in si Minore. Più avanti sarebbe prevalso il titolo di suite, meglio adatto ad una raccolta di danze stilizzate secondo la tradizione europea. Lo spirito delle nazioni, cioè la girandola di forme legate alla geografia del continente (allemanda germanica, corrente francese, sarabanda spagnola, giga inglese) rende piuttosto bene il senso di una musica sgorgata dalle convenzioni del primo Settecento. Si pone come musica d’uso, perfettamente adatta all’intrattenimento festoso e al consumo quotidiano. Musica piacevole, brillante e con qualche venatura sperimentale: un divertimento di incomparabile raffinatezza formale in cui le danze (preludio, Rondeau, Sarabande, Bourrée I, Bourrée II, Polonaise, Minuetto e Badinerie) vengono trasfigurate in un discorso che ne fa piccoli gioielli d eleganza e di accuratezza timbrica e formale.

Il 3 concerto chiude le danze. Elemento più vistoso resta il colore strumentale: un blocco compatto e timbricamente omogeneo. L’allegro si sviluppa in un decorso polifonicamente serrato e quasi fluviale, con una sorta di ostinato pulsante, mentre l’allegro conclusivo è bipartito e si rinnova con una intensità circolare che sembrerebbe non avere mai fine.

Ed invece arriva, puntuale. Dopo un concerto senza tempi morti – no intervallo, pubblico composto e a suo posto – l’abbraccio degli intervenuti si esprime in forti, fragorosi applausi.

Prima di lasciarsi per sempre, due bis. Poi un grazie, sincero, dal pubblico.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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